Un'esperienza cristiana con i divorziati
Un'esperienza cristiana con i divorziati
Sì, le storie d’amore possono finire. E sia che ci si lasci di comune accordo, senza insulti, né avvocati, sia che una delle parti venga piantata in asso, non si tratta mai di un semplice dolore curabile con qualche pillola o due gocce di anestetico. A volte l’angoscia che subentra e che allaga completamente tutto il vissuto della persona può divenire una vera malattia capace di mandare a gambe all’aria l’equilibrio umano, psicologico, religioso, frantumando l’esistenza e lasciando svuotati e confusi anche i figli, i familiari e gli amici.
Mi scrive un uomo: “Proprio venerdì scorso ho saputo che i testimoni di nozze di mia moglie si sono separati dopo sei anni di convivenza e quattro di matrimonio. Sono rimasto scioccato, perché non immaginavo che sarebbe andata così…Davanti a questi amici divisi, mi pare che siamo tutti così fragili...”. È vero: oggi sembra che l’amore di coppia sia divenuto più fragile. Per questo c’è bisogno di riferimenti stabili e di basi solide per i partner. Per questo c’è bisogno di un “punto d’incontro”. Il gruppo, nato nel 2004, si chiama semplicemente così: “Punto d’incontro”. La motivazione che spinge una decina di persone a riunirsi è il desiderio di condividere, ma ancor di più è la richiesta di poter esistere davanti a Dio come divorziati e di essere accettati e riconosciuti nella propria dignità anche dalla comunità cristiana.
Quello che dico a ciascuno di loro è: “Cara sorella, caro fratello, se crolla il tuo matrimonio, Dio non ti abbandona, non ti giudica, ma continua ad amarti e a credere in te! Se hai seriamente constatato la fine della tua unione di coppia e hai visto naufragare il tuo amore, non pietrificarti nella tristezza di questo lutto, non perderti nel piangere su ciò che hai perduto e soprattutto non usare l’espressione ‘fallimento’. Se la porta dell’amore si è chiusa di colpo, girati verso la finestra spalancata”. Chi viene al gruppo “Punto d’incontro” cerca anzitutto un sostegno spirituale condiviso con persone che si trovano nelle più svariate situazioni: separati, divorziati, risposati, coppie in crisi, persone ferite, genitori e familiari di figli divorziati…
Lo stile delle riunioni è quello dell’accoglienza e dell’ascolto. Nessuno deve sentirsi giudicato. Nessuno viene per mettersi in mostra o per spettegolare… Non è un confessionale a cielo aperto. Ciascuno viene rispettato anche nel suo anonimato. Non ci sono elenchi con nomi, indirizzi, telefoni. Ognuno deve sentirsi libero di venire e di andare via. Il gruppo ha sempre volti e storie nuovi. Ma ogni presenza non è considerata un numero in più. Date le distanze geografiche da cui provengono i partecipanti, ci si incontra più o meno ogni due mesi, di sera, in una sala di un centro parrocchiale. Le responsabilità nel gruppo sono suddivise tra il sacerdote che svolge la parte di assistente spirituale, una coppia di sposi che sta ad indicare il valore stupendo del sacramento del matrimonio, e una persona divorziata che si pone come punto di riferimento per il gruppo.
Di solito la conduzione della serata è tenuta da uno di loro. Il tema viene trattato sotto diverse angolature: biblica, psicologica, musicale, poetica, letteraria ed esperienziale. A quest’ultima si lascia sempre un certo spazio. Tutti possono parlare, dire la loro opinione o starsene in silenzio, portare un contributo personale, un articolo di giornale, una pagina di un libro, una foto, una canzone, una preghiera… Insieme si cerca di condividere e di scoprire quel modo nuovo e inconsueto con cui Dio chiede di incontrarsi con chi ha avuto un divorzio. Insieme ci si sente ancora parte della comunità cristiana che non dovrebbe rifiutare mai nessuno, perché chiamata da Gesù ad accogliere tutti a braccia aperte. “Punto d’incontro” non tenta di ricucire le fratture psicologiche, religiose, sociali, bensì si propone molto di più e cioè di scorgere in esse il lato “positivo” di un’esperienza dolorosa e sconvolgente. Un po’ come racconta questa storiella: “Un giorno una scimmia lanciò da un albero una noce di cocco in testa ad un uomo. L’uomo raccolse la noce, bevve il latte, mangiò la polpa del frutto e con la corteccia si fece una scodella”. Anche una “botta in testa” come un divorzio può presentare altre possibilità di vita.
Don Angelo Saporiti – Missione Cattolica Italiana - Stäfa