Nell'anno del Giubileo, in cammino verso Berna


 Incontro interzone pastorali Basilea - Berna -Svizzera Romanda Zurigo - San Gallo - Argovia - Lucerna - marzo 2000
Nell'anno del Giubileo,
in cammino verso Berna
 
 
a cura di P. Giovanni Graziano Tassello
 
Rifletteremo insieme su due aspetti che ci riguardano.
Il primo concerne il Giubileo: "Quale il nesso tra Giubileo e Migrazioni?". In tutti i bollettini delle MCI e a livello formativo il Giubileo è uno dei temi più trattati.
Al termine delle annotazioni sarà opportuno condividere le iniziative che le singole Missioni, le zone, le Unità Pastorali stanno portando o intendono portare avanti durante questo "Anno di grazia".
La seconda parte è dedicata ad una raccolta dei termini di pastorale migratoria più usati in questi anni nei convegni e negli incontri che possono offrire degli spunti immediati per l'incontro di Berna. Stiamo facendo un cammino di scoperta e di approfondimento per poi metterci in dialogo con altre istituzioni ed enti della chiesa locale, forti di un lessico comune.
Ovviamente il "Lessico" è una costruzione in continua evoluzione e va arricchito di sempre nuovi lemmi che, a livello di singole zone, danno una coloratura particolare all'impegno pastorale delle Missioni.
Giubileo e migrazioni

Introduzione

Le migrazioni (ci riferiamo al movimento di persone e comunità "costrette" a cercare altrove ragioni per vivere) costituiscono un chiaro indicatore del divario esistente e, attualmente, crescente tra situazioni di povertà e situazioni di ricchezza. Questo iato economico e culturale che perdura nel tempo e il rifiuto da parte da parte di tanti paesi di instaurare processi democratici sono il frutto più amaro della mancata condivisione dei beni della terra, dell'assenza di modelli di sviluppo solidale, dell'attuazione di una pseudo-cooperazione gestita con intenti e prospettive che non collocano la persona al centro degli interessi. L'aggravarsi di situazioni di ingiustizia, di guerra, di conflitti e tensioni razziali ed etniche, di nazionalismi esasperati, continua a riproporre l'esodo come unica soluzione possibile.

I richiedenti asilo, gli immigrati e i profughi che bussano alla porta di nazioni percepite come isole di benessere e di libertà sono, pertanto, icone viventi di colpe personali e di endemiche strutture sociali di peccato che affliggono una umanità che non ha ancora imparato ad apprezzare la sua originaria vocazione ad essere un'unica famiglia, a garantire fratellanza e libertà per tutti, a coniugare un ordine economico e politico con modelli in cui nessuno sia costretto ad uscire dalla propria terra.

Il Giubileo costituisce allora un tempo propizio per un serio esame di coscienza che porterà a riconoscere le colpe personali e sociali nei confronti di tante persone coinvolte nella mobilità e ad impegnarsi per trovare soluzioni adeguate.

I peccati di non accoglienza

Le colpe personali e sociali sono tante. Non si tratta solo di scelte economiche e politiche che creano emarginazione e determinano nuovi esodi verso altri paesi. Accanto alle fila dei migranti e dei profughi, dobbiamo aggiungere quella "gente di nessuno", costretta ad abbandonare terra ed abitazioni, pur rimanendo all'interno della stessa nazione: gente priva di protezione da parte di organismi internazionali e beneficiaria soltanto di "compassione" da parte di alcune organizzazioni non governative, qualora sia loro concesso il permesso di operare dove si concentrano gli sfollati. Ma, come sta avvenendo in questi gironi nei campi di raccolta e filtraggio della popolazione civile cecena, l'esercito russo, ad esempio, non concede a nessun organismo umanitario il permesso di alleviare le sofferenze immani degli sfollati, tra l'apatia generale delle altre nazioni e nonostante si sia appena concluso il secolo dei lager e dei gulag.

Uno sguardo, sebbene veloce alle condizioni in cui sono costretti a vivere tanti immigrati, rivela come omissioni e colpevolezze verso l'altro costituiscano spesso il filo conduttore che accomuna paesi di partenza e di arrivo.

I paesi di accoglienza

Non sempre i diritti fondamentali degli immigrati sono prioritari nell'agenda delle nazioni ospitanti. La negazione o le difficoltà frapposte al ricongiungimento dei nuclei familiari si abbinano a condizioni di lavoro e di alloggio che non rispettano la dignità umana. Si registrano abusi di ogni genere ed in alcune nazioni sono comuni contratti capestro per i lavoratori stranieri con permessi di soggiorno temporanei. Lo sfruttamento del lavoro minorile o femminile e l'ampio utilizzo di manodopera immigrata nel lavoro nero, protetto talvolta da una assurda connivenza tra datori ed ispettori del lavoro, sono realtà ormai note in tutti gli ambienti, ma spesso taciute e ignorate. La tratta degli esseri umani a scopo sessuale e la perdurante latitanza di tanti nei confronti di questi schiavi del ventunesimo secolo è il più recente campanello d'allarme di una situazione di peccato che lede la dignità umana.

Sono ancora in tanti, anche tra i cristiani, coloro che sfruttano la fame di un lavoro ad ogni costo da parte dei nuovi arrivati. Le testimonianze di numerose collaboratrici domestiche sulle condizioni di lavoro cui devono quotidianamente sottoporsi dovrebbero tormentare la coscienza di più di una persona.

Ma le colpe non si riscontrano soltanto a livello salariale e non concernono soltanto condizioni di lavoro.

I paesi che accolgono i lavoratori stranieri spesso ne ignorano i diritti religiosi e culturali. Non sempre è garantita la libertà di culto; anzi la pratica della propria religione in alcuni casi comporta persecuzione e carcere e non viene praticata la norma della reciprocità. Per quanto poi concerne il diritto al rispetto della propria lingua e cultura, si riscontra una strategia che, a parole, punta sulla integrazione, ma di fatto obbliga il migrante ad accettare supinamente un processo di omologazione alla cultura dominante.

Il poco rispetto per la cultura materna, di cui sono portatori gli immigrati, non fa che accrescere la paura dell'alterità. Le inchieste indicano un trend in salita di pregiudizi atavici verso lo straniero, la scarsa accettazione istituzionale del progetto per una società multiculturale, la chiusura a riccio in difesa del benessere raggiunto, la spinta al nazionalismo esasperato e la paura dell'inquinamento della propria identità. Il vivere quotidiano dei paesi di accoglienza si rivela, non di rado, una monotona ripetizione di modi di pensare e di vivere che trasudano di pulizia etnica.

Stentano a decollare i diritti concernenti la partecipazione democratica alla gestione politica ed amministrativa di una nazione. Vaga per la terra una miriade di persone condannate all'invisibilità politica. Si sviluppa una sorta di schizofrenia sociale in cui si ribadisce il proprio credo in una democrazia dove è di vitale interesse il coinvolgimento di tutti nella cosa pubblica. Ma sulla interpretazione della parola "tutti" sono molti i "distinguo". Si preferisce limitarsi a "gestire una immigrazione funzionale al nostro solo benessere che avvalla l'equazione immigrato-forza lavoro e non persona con un proprio specifico vissuto… e dei diritti che gli devono essere riconosciuti" (E. Damoli, in Avvenire, 26.2.2000, p. 20).

Per i marittimi la situazione di invisibilità è ancora più drammatica. Ma sono soprattutto le categorie dei circensi, dei rom e dei sinti ad essere quotidianamente confrontate o con norme restrittive o con atteggiamenti di disprezzo, di non accettazione e di respingimento. Ciò obbliga la nazione "ospitante" ad un serio esame di coscienza personale e sociale per le colpe contro queste persone condannati a girovagare sulla faccia della terra senza che sia loro riconosciuto un briciolo di dignità.

I paesi di partenza

Ma anche i paesi di partenza non sono esenti da colpe. L'ignoranza o il disinteresse di politici ed intellettuali verso il fenomeno emigratorio, l'ignavia nella preservazione di una memoria storica, il non invio di nuovi sacerdoti, religiosi e laici per la cura pastorale delle comunità emigrate, lo scarso impegno a voler risolvere le cause strutturali dell'esodo, l'utilizzo non produttivo delle rimesse degli emigrati, il perseguimento di una visione meramente assistenzialistica delle strategie politiche in campo emigratorio allungano la lista dei "mea culpa" per i peccati contro i migranti.

Le comunità immigrate

Si perpetuano situazioni di peccato, di chiusura e di egoismi anche nelle comunità immigrate quando si irrigidiscono nei loro schemi di vita, non intendono confrontarsi con la società ospitante ed accettare una etica comune dei diritti, preferendo una condotta integralista ad una società aperta e dialogante.

Il Giubileo del perdono e della festa

Il Giubileo è un tempo prezioso per riflettere sulle colpe personali e sociali che il mondo della mobilità umana mette in luce e per intraprendere il cammino di perdono e di riconciliazione. Ciò comporta la volontà di sanare situazioni di ingiustizia, riconoscendo in mezzo a noi una presenza diversa dalla nostra, accettandone l'alterità, incamminandoci sui sentieri della scoperta del volto dell'altro. La richiesta di perdono comporta insomma un mutamento radicale del nostro modo di percepire la categoria della "gente in movimento".

Non si tratta di persone cui offrire un'assistenza momentanea, purché non intacchino il nostro modo di pensare, di programmare e di vivere: persone su cui riversare il nostro know-how caritativo. Abbiamo di fronte a noi uomini e donne giunti "da lontano portando i loro doni" e desiderosi di ricevere i nostri doni. L'immigrazione, se amata, si trasforma in una autentica risorsa per il paese ospitante e per la chiesa locale e ci rimanda al valore dell'accoglienza, di cui la Bibbia è così ricca di esemplificazioni: accoglienza utilizzata come metro di giudizio della nostra fedeltà al piano di Dio.

La volontà di cancellare le proprie colpe fa esplodere la gioia di chi scopre la fratellanza universale poiché figli di un unico Padre misericordioso. Si gusta l'ebbrezza delle differenze, si tocca con mano la grazia di vivere una diversità riconciliata, si uniscono le forze per la costruzione di un progetto che dia risalto alle diversità culturali e alle peculiarità della religiosità per vivere in pienezza l'unità.

La festa giubilare proviene anche dalla scoperta e dalla frequentazione di persone ed organismi le cui ragioni di vita sono la pratica quotidiana del precetto dell'accoglienza dello "straniero" ed il cui impegno nella chiesa e nel mondo diventa un richiamo forte alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nell'accettazione dell'"altro".

Giubileo come tempo di riconciliazione

La festa esplode in gesti di riconciliazione. L'impegno del cristiano è quello di seminare l'Anno giubilare di segni e di azioni che parlino di riconciliazione, di relazione e di incontro. Nella Bolla di indizione "Incarnationis Mysterium", Giovanni Paolo II di "visite ai fratelli che si trovino in necessità… quasi compiendo un pellegrinaggio verso Cristo presente in loro (cf Mt 25, 34-36).

Il cammino di riconciliazione deve coinvolgere anzitutto i migranti, i quali devono imparare a riconciliarsi con se stessi e con la loro storia. L'amarezza per i sogni infranti, l'amore-odio per una patria matrigna che ha costretto tante persone a prendere le vie dell'esodo alla ricerca di un lavoro e che non li sostiene nella valorizzazione delle loro radici culturali, la rabbia del profugo e del richiedente asilo che si confrontano con nazioni che si definiscono democratiche ma che non sanno apprezzare fino in fondo la voglia e la ricerca di libertà, la percezione di tante persone costrette alla mobilità di non essere annoverate tra gli esseri umani "normali", esigono una lettura sapienziale della storia di ognuno per cogliere il senso che Dio vuole imprimere alla vita e per accettare la provvidenzialità della croce dell'emigrazione che Egli sa trasformare in risurrezione.

Le persone coinvolte nella mobilità devono prendere coscienza della loro storia, delle risorse reali da immettere nella società di accoglienza, delle tracce positive che lasciano lungo il loro incedere in terra straniera.
Il cammino di riconciliazione intrapreso dal migrante significa anche apprendere ad apprezzare una terra che gli ha dato un lavoro e che gli ha permesso di sperare.

Gesti di riconciliazione sono richiesti anche da parte di tutte quelle strutture che si propongono di aiutare il migrante, il profugo e il nomade a vivere con dignità la sua vita e a praticare la sua fede.

In questa ricerca, le Missioni linguistiche si trasformano in cantieri aperti dove la riconciliazione tra tutte le forze vive operanti in emigrazione (religiose, missionari, laici) si traduce in una progettualità d'insieme e ad una reale collaborazione.

Riconciliazione significa anche imboccare con decisione la strada della cooperazione con le missioni limitrofe, operando per un consolidamento delle unità pastorali -l'espressione più matura delle attività dei consigli pastorali a livello interzonale - senza trascurare il dialogo incessante con le missioni linguistiche di altre nazioni.

Il cammino di riconciliazione si allarga alle parrocchie locali, superando la concezione di chiese parallele composte da missioni-rifugio e da parrocchie monoculturali dove ogni diversità è apertamente o implicitamente osteggiata. Fioriranno tra le missioni linguistiche e le parrocchie locali momenti di incontro, feste e pellegrinaggi celebrati come unico popolo di Dio, liturgie intercumunitarie per occasioni speciali, approfondimenti comuni su temi vitali per la crescita di ogni gruppo della comunità.

Il cammino di riconciliazione si estende, infine, all'ambito socio-politico, spingendo alla valorizzare dei piccoli o grandi gesti portati avanti da organismi di volontariato o comunque non legati ad istituzioni o enti "ufficiali" che stentano a dialogare con una rete che va ben al di là della strategia e delle visioni ufficiali. Riconciliazione significa, infatti, investire sempre nuove energie in quella carità della cultura che mira a sensibilizzare le istituzioni perché intraprendano gesti politici di riconciliazione che si traducono in una legislazione migratoria lungimirante, in scelte generose di accoglienza quando si devono stabilire le quote per i nuovi ingressi, nella eliminazione di obsoleti fardelli burocratici che ledono la dignità dei migranti e dei rifugiati, in aperture magnanimi verso i richiedenti asilo, in campagne di educazione contro ogni forma di discriminazione e di razzismo e per il rispetto di tutte le minoranze etniche, in un sostegno incisivo degli sforzi portati avanti da organismi umanitari a favore dei profughi e degli sfollati. Riconciliazione può significare una maggiore funzionalità dei consolati, più impegno nel contrastare l'omologazione culturale in atto, la non riduzione della gestione politica migratoria in una oculata salvaguardia degli interessi commerciali.

Riconciliazione diviene un impegno serio ad attuare una politica di cooperazione internazionale che porti, seppure con la necessari gradualità, al risanamento del divario che spacca l'umanità in due, trasformando la fuga di braccia e di cervelli in una libera scelta.

Il perdono chiesto ed ottenuto non è quindi qualche cosa di avulso dalla realtà. Per un cristiano attivo nel campo della mobilità umana, il Giubileo denota una rinnovata assunzione di responsabilità nel tutelare i diritti e le esigenze di tutte le persone coinvolte in questo processo.

Alcuni gesti, fra i tanti possibili, renderebbero ancora più credibile questo spirito di riconciliazione: una oculata sanatoria per quanti da tempo contribuiscono con il loro lavoro alla crescita economica del paese ospite, la ratifica da parte dei governi e dei parlamenti della Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori emigrati e delle loro famiglie, la revisione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, una sanatoria fiscale per tanti emigrati che sono risultati inadempienti, spesso per scarsa conoscenza delle normative vigenti, nel versamento di alcune tasse nei paesi di origine.

Conclusione

Riconciliarci con il mondo della mobilità significa accettare che il fenomeno della mobilità umana, che costituisce un aspetto strutturale del nostro sviluppo globale, è paradigmatico della vita dei cristiani. Per un cristiano è sempre tempo di emigrare dalle sue sicurezze, di mettersi in discussione e di render nuova la sua vita personale e comunitaria di modo che sia l'altro al centro dei loro interessi e delle loro premure. Questo pellegrinaggio verso l'altro, in attesa di raggiungere la patria dove la comunione più autentica sarà vissuta nella accettazione della unicità di ognuno, cancella un passato in cui possono essersi verificate chiusure, omissioni e disinteresse per la causa migratoria ed accelera il cammino dell'attenzione, della solidarietà e della comunione.

La Porta Santa, spalancata la notte di Natale, diventa per tutti i credenti un invito alla loro apertura mentale e alla loro volontà di accoglienza. Il ventesimo secolo ha visto cadere tanti muri e cortine, ma è stato anche testimone di innumerevoli chiusure nei confronti di quanti per necessità hanno dovuto intraprendere il cammino della speranza. Vi sono ancora tante porte che attendono di essere spalancate. Attraverso la soglia varcata fluirà la comunione ritrovata.

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Lessico di pastorale migratoria

L'incontro di Berna costituirà il momento conclusivo di un cammino di riconciliazione e di formazione allo spirito comunionale, ma anche il frutto di una riflessione teologica che deve vedere coinvolti tutti i settori della chiesa locale e di un rinnovato impegno per una presenza significativa al suo interno da parte delle Missioni linguistiche.

Vogliamo riprendere alcune parole chiave utilizzate in questi anni nei nostri interventi, apparse sulla nostra stampa, presenti nei nostri progetti pastorali e che fanno ormai parte integrante del nostro patrimonio e del lessico della nostra pastorale specializzata e specifica all'interno della chiesa locale.

Animazione missionaria

Si tratta di un ruolo che ha visto le MCI impegnate attivamente nella promozione umana e cristiana dei migranti. La persona migrante è stata posta al centro dei nostri interessi e delle nostre attenzioni. Questo ha portato le MCI ad impegnarsi nella tutela dei diritti dei migranti soprattutto in ambito culturale, formativo ed informativo e nella crescita della sua personalità religiosa.

L'animazione missionaria ha significato la trasformazione lenta ma estremamente produttiva nella nostra percezione del migrante. L'impegno portato avanti in passato verso persone cui offrire una assistenza, si è ora tramutato in un processo di coscientizzazione del migrante tale da renderlo protagonista, responsabile in prima persona della crescita della Chiesa e della società.

Il nostro invio ai migranti - oggi quasi più necessario che in passato per l'estrema urgenza di una "prima" o "seconda" evangelizzazione, o di una "rievangelizzazione", delle comunità di origine italiana residenti nella Confederazione elvetica - è quindi sempre abbinato ad una presa di coscienza della vocazione del migrante.

La riflessione sull'animazione missionaria comporta non solo una rinnovata programmazione pastorale, ma anche una trasformazione profonda della concezione delle mostre Missioni linguistiche non più intese soltanto come un focolare, il luogo dell'intimità, la Betania dell'accoglienza, del fervore spirituale, ma anche il cenacolo da cui si è inviati.

Questo stile incide anche sul tipo di strutture da ipotizzare, sulla centralità di una sede da cui parte a raggiera l'animazione verso le tante periferie geografiche e spirituali, sull'impegno a fortificare comunità animatrici nelle varie aree dove risiedono gruppi di immigrati.
Cattolicità

Cf. testi di riflessioni precedenti.

Comunione

Non mi addentro sull'aspetto teologico della pastorale comunionale (la nostra pastorale specifica è di natura sua una pastorale di comunione) che verrà trattato nell'incontro di maggio. Mi limito a riportare alcune frasi captate qua e là negli incontri o lette sui nostri bollettini e che ci aiutano a cogliere i passi fatti lungo il sentiero della comunione.

"Occorre trovare dei punti di interesse comuni tra cattolici svizzeri e cattolici italiani".
"Non possiamo più restare arroccati in difese delle proprie posizioni".
"Dobbiamo tutti fare il passo verso l'altro".

Risulta evidente che la strada della comunione fatta di dialogo, di accettazione reciproca è l'unica percorribile.

Il cammino comunionale va dalle differenze alla comunione, ma anche dalla comunione alla diversità.

Diritti dei migranti nella chiesa e nella società

Partiamo dal diritto ad essere diversi, dal diritto ad essere noi stessi perché Dio ci ha creati unici e irrepetibili. In passato abbiamo posto l'accento sui diritti fondamentali applicabili a tutti, senza distinzione di passaporto o residenza. Il ruolo della Chiesa nella difesa di tutti gli uomini è stato assai prezioso. Forse, però, non tutti gli uomini e donne di chiesa sono stati davvero disponibili ad approfondire i diritti in ambito religioso (reciprocità). La tendenza assimilatoria a livello religioso è una delle tentazioni più ricorrenti, mentre la diversità va scoperta e valorizzata, non colpevolizzata o punita.

Pertanto è ancora strano sentire oggi alcuni immigrati ripetere: "Siamo in casa loro. Non bisogna mai parlare di diritti perché gli svizzeri sono molti suscettibili a questo".

Noi abbiamo il diritto di essere parte viva della chiesa locale con la nostra diversità. "Nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessuno".

Il rispetto pieno per il paese che ci ha accolto e la volontà di accettare le norme fondamentali della coesistenza pacifica (cf. il discorso del Card. Martini a Milano sull'immigrazione il giorno di sant'Ambrogio) non devono significare sudditanza e assopimento in una condizione di cattolici assistiti di serie B. Comunione non deve significare annacquamento.

Doveri dei migranti

Abbiamo superato la fase assistenzialistica, il tempo cioè in cui i migranti venivano trattati come persone da assistere (in sociologia si parla di una profezia che si autoadempie).

La presa di coscienza della propria identità, la riscoperta della fede, il valore della gratuità, la ricchezza della religiosità, portano il migrante e la MCI ad accettare le responsabilità e gli obblighi che questo status comporta.

Formare i migranti al rispetto dei doveri verso la Chiesa e la società di accoglienza comporta anche la determinazione a renderli coscienti della loro vocazione specifica nella Chiesa.

Ma l'insistenza sui doveri da parte dei migranti non deve costituire una scusa da parte della chiesa locale per non recepirne l'originalità e la creatività. L'omologazione non fa parte della pastorale della chiesa. "Abbiamo bisogno di voi" è un principio che resta sempre valido.

Estraneità

L'estraneità - l'essere straniero - ci rende consci del valore paradigmatico del migrante.

Non abbiamo qui una casa permanente, ma siamo tutti in cammino verso la patria.

La casa per tutti è un'altra. Questa temporaneità di permanenza deve guidarci tutti a relativizzare culture e strategie.

Eucaristia

Cf. note precedenti.

Formazione

Formazione alla fede, ad una fede praticata in emigrazione.

Formazione dei laici alla assunzione di responsabilità all'interno della Chiesa locale.

Formazione ad un servizio che non si limiti agli ambito di una singola Missione.

Formazione di leaders, persone ponte tra due culture: un aspetto sempre più necessario nell'attuale fase che sta vivendo la comunità dove l'associazionismo tradizionale, le battaglie di bottega, l'importazione tout-court del partitismo italiano, le chiusure, ecc. fanno temere un futuro senza animatori.

Gratuità

Parliamo di una qualità esercitata ampiamente in emigrazione che contrasta con il senso del pagamento per ogni prestazione adottata in numerose strutture locali.

Se, da un lato, esiste la necessità di qualificare questo volontariato, dall'altro la diffusione di un cristianesimo autentico non può prescindere dalla gratuità.

Questo ci porta anche ad indagare sulle motivazioni che spingono ad una crescente attenzione per le Missioni linguistiche. Quali sono i motivi veri per questa attenzione, quale futuro è previsto per le strutture di Chiesa in Svizzera, quali sono i metri di giudizio adottati per giudicare la validità di una Missione. Sono forse di interesse esclusivamente economico? Ma allora crediamo nella gratuità o nell'utilitarismo?

Integrazione

Si tratta di un concetto discusso, ripreso, abbandonato, rispolverato e che segue, quindi, molto il trend sociologico del momento, ma corre il rischio, come per tutte le mode, di essere un concetto effimero o per lo meno inadeguato - in ambito religioso - ad esprimere una realtà molto più complessa.

Le nuove politiche di integrazione dibattute a Basilea e a Zurigo, le recenti vicende della Commissione federale per gli stranieri, il significato che consigli di amministrazione, vescovi, pastoralisti, preti, politici, catechisti danno al termine "integrazione", ci fanno intuire l'inadeguatezza o l'uso strumentale di questa parola.

Esiste un pericolo reale di fondamentalismo religioso quando si vuole negare un cammino di gradualità nell'inserimento nella Chiesa locale.

Preferiamo il termine "comunione" perché motivante e più rispettoso delle diversità di ognuno: non crediamo nella biodegradabilità dei cattolici di lingua italiana, come altresì nella impermeabilità delle varie componenti ecclesiali e non dobbiamo imboccare un cammino che porta alla invisibilità.

Non crediamo che la Chiesa locale debba vivere di attesa che il ciclo si completi per poter riemergere come chiesa monoculturale: noi crediamo in una chiesa missionaria.

Laicato

Il futuro delle Missioni verterà su un cammino di insieme della comunità in tutte le sue componenti (religiose, sacerdoti e laici. Nella Chiesa "popolo di Dio" tutti sono corresponsabili nella costruzione del Regno. La nostra storia ci parla di alcuni valori del Regno a noi cari e che vogliamo immettere nella società civile e religiosa in cui viviamo.

Missione linguistica

Si riscontra in alcuni settori una tendenza al superamento della Missione linguistica
(cf. ad esempio l'incontro dei "Cappellani dei migranti" provenienti da tutta Europa a Milano i giorni 6-10 marzo 1999. Articolo apparso su "Africa" 3/99 di Geert Groenewegen "Migrante nell'Europa unita del 2000). Ci si imbatte in una ideologia della integrazione a tutti i costi, abbastanza tipica della pastorale di alcune nazioni negli anni '70 e '80. o di chiesa dove la comunità cattolica è minoritaria, e sposata da alcuni gruppi anche in Italia…mentre i missionari ad gentes stanno sempre più accorgendosi in Africa della necessità di approcci diversificati per far fronte alle enormi immigrazioni interne verso le megalopoli del continente).

Ma è davvero superata da un punto di vista concettuale la Missione linguistica?

Non vi è alcun bisogno di giustificare una presenza specifica e specializzata tra i migranti. La base di ogni pastorale è sempre "etnica". L'inculturazione del Vangelo ha costituito la metodologia di base dell'attività apostolica della Chiesa e quando essa si è allontanata da questo valore, sono subentrati errori e discriminazioni.

Dare per liquidata la pastorale migratoria è davvero andare contro tutto per cui la Chiesa si è battuta.(Sarebbe assai utile allora fare una analisi di contenuto dei testi di catechismo, delle omelie dove manca quasi sempre il concetto del pluralismo nella evangelizzazione. Ritengo emergerebbero spesso il concetto elitario della pratica religiosa del gruppo dominante e la mancanza di sensibilità in nozioni di insegnamento religioso che parlano molto del rispetto per la natura e per tutte le specie animali e ben poco del rispetto per le diversità dell'uomo).

La pastorale vera non può che essere "etnica"!

Col tempo si è verificata una trasformazione profonda nello spirito che anima le scelte pastorali delle Missioni linguistiche: la Missio cum cura animarum da stazione di servizio, missione focolare, centro di rifugio, centro di scoperta della propria identità e di formazione religiosa si evolve in missione laboratorio, cantiere di comunione.

Superata la tentazione o la fase dei corpi estranei o delle strutture parallele, la pastorale specializzata e specifica messa in atto per i migranti in una Missione linguistica - cioè una pastorale comunionale - non si colloca sulla linea di un accanimento pastorale. È il migrante a decidere in quale ambito desidera operare all'interno della chiesa locale. (non possiamo non registrare una certa schizofrenia religiosa quando veniamo interpellati da un atteggiamento concertato che porta a concludere che sempre e dovunque tutte le scelte suggerite o indicate da "Roma" sono erronee, proponendo l'ideale della libera scelta a tutti i livelli. Questo però non viene applicato in campo migratorio dove i cattolici di origine straniera devono sempre comportarsi secondo il dettame del gruppo dominante).

Il futuro della Missione linguistica è legato a tante varianti (diminuzione del numero dei missionari, decisioni finanziarie). Le prospettive, oltre alla continuazione di missioni-tipo, possono variare da luogo a luogo:

- Missione senza missionario: un luogo di identificazione, gruppi di animazione visitati ed animatori pastorali laici, guidati spiritualmente da missionari itineranti (come nelle "terre di missione" tradizionali)
- Una comunità di missioni
- Inserimento del missionario come cappellano o parroco di una parrocchia svizzera
- Parrocchie multiculturali

Ma la di là della evoluzione della Missione linguistica in quanto struttura (è difficile tenere conto di tutte le possibili variabili intervenienti), lo sforzo di questi anni ha avuto una rilevanza notevole a vari livelli:

- Fondamenti biblici e teologici
- Progetto pastorale
- Pastorale specifica e specializzata
- Profeti e ministri di comunione

Pellegrinaggio

È un momento forte utile per rileggere la propria storia in chiave sapienziale ed abbracciare un pellegrinaggio spirituale che da esodo in esodo porti alla casa del Padre.

Il pellegrinaggio ci ricorda anche che dobbiamo armarci di molta pazienza e tenacia nel continuare in questo cammino nuovo che si apre davanti a noi, sapendo che non succederanno, esternamente, grandi cose, ma che Dio continua ad operare a livello personale.

Il pellegrinaggio è lungo!


Pentecoste

Cf. incontri precedenti.

La nostra pastorale e la nostra spiritualità migratoria sono basate su un emigrare da noi stessi per andare verso l'altro.

Questo uscire dal cenacolo, mossi dallo Spirito di Cristo risorto, ci porta a guardare con gli occhi di Dio e a percorre la via dell'attenzione, la via della condivisione, la via dell'accoglienza, la via della testimonianza.

Progetto pastorale

Se ne è parlato a lungo e si è dato risalto ad alcuni principi guida che devono permeare ogni scelta pastorale. È stata fatto circolare uno schema predisposto don Domenico Locatelli e discusso nella Svizzera romanda. Esso offre basi comuni per un cammino di riflessione e di attuazione.

(Cf. allegato)

Sensibilizzazione

Corriamo il rischio di dare per scontato che gli altri "ascoltino il nostro grido" e continuiamo a pensare che la nostra riflessione teologica, maturata nel giro di tanti anni, e le nostre sperimentazioni, siano state recepite da tutti. Ci accorgiamo purtroppo che ciò non corrisponde a verità. L'impegno della chiesa locale sul fronte ecumenico non sempre va di pari passo con "l'ecumenismo" verso i nuovi vicini di casa!

Abbiamo intuito la necessità di basi teologiche e bibliche sicure, abbiamo dibattuto tra di noi e abbiamo invitato esperti ad illuminarci. Ora spetta a noi travasare questa ricchezza e diffonderla, iniziando un dibattito ed un approfondimento perché intuiamo che questo è quello di cui ha bisogno la chiesa locale.

Occorrono traghettatori di pensieri e di idealità per lasciare traccia del nostro passaggio (cfr. gli interventi di Mons. Correco sulla "evangelizzazione delle culture").

Si tratta di un cammino complesso, con accentuazioni che intaccano diversi mondi culturali, con l'intento di creare un consenso:è l'unico modo possibile. Il dopo Berna dovrà significare anche questo.

Non si tratta, pertanto, solo di aiutare un gruppo immigrato a vivere la comunione con altri gruppi etnici e con la chiesa locale, ma a riflettere sulla comunione e su un lessico comune che raccolga le linee guida per il futuro di tutti.

Storia delle Missioni

Non si intende offrire una elencazione di date storiche, o una descrizione delle strutture erette a sevizio dei migranti nel corso degli anni, o un menologio di missionari e missionarie che hanno trascorso del tempo presso una determinata Missione, ma di cogliere la valenza che tale presenza ha significato per la crescita della chiesa in Svizzera e di esaminare il ruolo della MCI in un ottica comunionale.

(Cf. Allegato)

Trinità

Cf. incontri precedenti.

Unità pastorale

Un piano pastorale che vuole accentuare il cammino di comunione, vissuto attraverso gesti significativi ad intra e ad extra, frutto di una conversione radicale di tutti dall'isolamento alla condivisione.

Le Unità pastorali:
- si rivelano un grande strumento per dare risalto alla vocazione laicale;
- obbligano le Missioni ad uscire dal cerchio ristretto di casa propria ed adottare una visione più ampia;
- tutti sono tenuti a praticare la messa in comune di beni e modelli.

L'iter delle unità pastorali è diverso da zona a zona e le sperimentazioni in atto con le parrocchie locali non sempre si rivela facili ed inizialmente fruttuose. La reciprocità non sempre è vissuta pienamente.

Universalità

Cf. incontri precedenti.