L'evoluzione della presenza della M.C.I. in Svizzera


L'evoluzione della presenza delle Missioni Cattoliche Italiane in Svizzera

Riflessioni a cura di Padre Silvano Guglielmi

Gli appunti seguenti sono schematici, al punto che più schematici non si può. Si sa che negli schemi resta l'essenziale.
Quindi alcuni aspetti della pastorale degli emigranti in Svizzera sono ignorati. Sono convinto, tuttavia che in questa sintesi ci siano le indicazioni di massima di un cammino che testimonia lo sforzo di adeguamento al mutare delle situazioni e delle domande e dei bisogni.

1. Fase delle " Missioni volanti "
Siamo negli anni Cinquanta. Uomini soli, giovani e ragazze arrivano in massa dal Nord Italia; pensano a un breve soggiorno. Dormitori comuni, pensionati, baracche. Pochi i missionari, scarse le strutture: la gente si incontra dove vive.
Le Missioni sono là in quegli alloggi. Il missionario è un po' di tutto e fa di tutto; tempo di pionieri, di figure popolari.

2. Fase dell'assetto logistico.
Dopo gli anni Sessanta: il numero cresce, aumentano i nuclei familiari, gli emigranti del Sud rimpiazzano in buona parte quelli del Nord.
Sono cresciuti anche i missionari e si impone la necessità di attività di maggior stabilità. Si creano centri dove si sviluppano attività sociali, assistenziali, religiose, culturali.
Sono le persone che vanno dal missionario, che da " cursore " si trasforma in " organizzatore ".
Attività di supplenza in molti casi, condotte non sempre con mezzi adeguati, ma quella era la situazione e quella sembrava la soluzione migliore.

3. Fase dei gruppi impegnati.
Siamo nel dopo Concilio. Molte cose rimangono uguali, ma si sente forte l'urgenza di qualcosa di nuovo: si discute, si consultano e si invitano specialisti, si fanno indagini, si dà importanza al metodo: il tutto in un clima di grande entusiasmo. In questo clima nasce la domanda: massa od élite? I gruppi di ogni genere, con le denominazioni più diverse, diventano protagonisti col missionario.

4. Fase della solidarietà di base.
L'emigrazione è maturata, si organizza in proprio, convinta di non poter contare sulle istituzioni ufficiali. Si serrano le fila, si alzano le voci che difendono i diritti dell'emigrato, nascono associazioni, si collegano, si federano per difendersi dalla nascente xenofobia.
Il missionario è in mezzo, spesso protagonista di alleanze, di battaglie.
In prima fila sale la seconda generazione coi suoi problemi.

5. Tempo della routine?
Non saprei come meglio definire quello che è venuto dopo. Impegno sempre alto e multiforme, ma con un ritmo di abitualità, parrocchiale o quasi, che porta a partire verso scelte ancora confuse, non sempre condivise, ma che indicano la volontà di essere ancora a servizio di una comunità che non possiamo di punto in bianco lasciare sola, senza un preciso e chiaro punto di riferimento religioso/sociale/culturale.
C'è un grande sforzo per la formazione del laicato.
E' il tempo di un ...

6. .... dinamismo pentecostale?

Piacerebbe poterlo confermare.

Abbiamo certezze:
- le missioni linguistiche/etniche sono di loro natura provvisorie
- dobbiamo essere uomini/comunità ponte verso la chiesa locale
- siamo segno per il maturare di una coscienza " cattolica " in questa chiesa svizzera.
- non confondiamo integrazione linguistica con integrazione tout-court

E abbiamo dubbi:
In particolare: traghettare la nostra gente verso quale chiesa? Problema forse meno sentito in Svizzera Romanda, ma carico di perplessità altrove.
Traghettare = confondersi, annullare le diversità?...
Ci sembra chiaro che si impone un diverso modo di essere e di fare pastorale.
Siamo capaci di fare scelte?
In questa fase sono più gli interrogativi che le risposte.

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