Essere liberi dai ruoli per sentire la vita


don Marco Pedron
XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Vangelo: Lc 10,25-37   

 

Il vangelo di oggi ci presenta il dialogo tra Gesù e un dottore della legge. Il dottore della legge è un ruolo classico della società ebraica: è l'uomo delle regole, colui che sa con esattezza cosa fare, cosa è buono e cosa no, colui che ti dice: "Così stai sbagliando; così fai bene".
1. Le sue intenzioni sono malevoli: parla in piedi (solo i maestri parlavano in piedi). Ciò vuol dire che lui che si ritiene maestro si rivolge ad un altro maestro Gesù: è una sfida tra maestri.
2. Il testo dice: "Per metterlo alla prova". Il verbo "ek-peirazo" è il verbo delle tentazioni. La domanda che gli fa non è per amore della verità ma per tendergli un tranello, per screditarlo.
"Perché tuo figlio non ha fatto i vaccini? Perché voi fate così? Perché voi vi comportate così? Perché fai così? Perché non ti vesti come tutti gli altri preti? Perché non sei venuto? Vuoi più bene alla mamma o al papà?": sono quelle domande dove la gente non vuole sapere, capire, approfondire, imparare. Vuole giudicare, vuole solo dirti: "Ma non vedi che stai sbagliando!". Ha già deciso! Ma chiedi, prima di definire, di giudicare, di sentenziare! Ascolta i motivi, ascolta le scelte, ascolta il perché. Che ne sai tu? C'è solo il tuo modo di vivere?
3. Lo chiama maestro: è molto probabile che lo stia prendendo in giro. Gli chiede qualcosa che lui sapeva bene e su cui aveva idee ben chiare. Se lo chiama "maestro" è come dirgli: "Vediamo un po' tu che ti definisci maestro come te la cavi con questa questione".

È una domanda classica, ovvia per quel tempo. E' la domanda che tutti si ponevano: che cosa devo fare per andare in Paradiso? Come devo comportarmi per essere un buon cristiano? Cosa dicono le regole? Insomma: dimmi come devo fare.
Il termine usato (kleronomeso) vuol dire proprio "avere in sorte secondo la legge; ciò che è giusto che mi tocchi". E' la domanda del bambino: cosa devo fare perché la mamma mi ami? Così lui farà il bravo o cercherà di fare quello che farà piacere alla mamma per essere "bravo per lei".
Arturo Paoli dice: "Fare dei bravi cristiani non vuol dire fare dei veri cristiani".
Molte persone hanno trasferito il genitore su Dio: potevano andare bene solo se il Grande Genitore (Dio) era contento di loro. Per questo hanno obbedito all'inverosimile, si sono piegati a leggi assurde, hanno svenduto la loro vita per "essere in regola" con Dio.
Ce la siamo presa con il Grande Fratello ma ci siamo dimenticati di ciò che abbiamo vissuto fino a ieri. Il Grande Genitore è la variabile del Grande Fratello televisivo: quel Dio lì (che non è il Dio del vangelo) ti spiava sempre e vedeva ogni cosa. Per cui sapeva benissimo quando sbagliavi e tutto quello che facevi; vedeva tutto e sentiva tutto. Eri sempre sul video di Dio.
La gente era terrorizzata dalla paura di sbagliare, di non essere in regola, di far peccato, di essere esclusa, di non essere ammessa in paradiso, insomma di non andare bene, di essere sbagliata.
Per cui lo scopo primo della vita non era vivere, non era amare, non era entrare nella vita e nelle relazioni con tutta la forza del sentimento, con tutta l'intensità possibile, con tutta la vibrazione possibile. No, lo scopo della vita era essere in regola. Per questo nessuno cercava Dio, nessuno cercava se stesso, nessuno cercava di vivere. Ciò che contava era "essere in regola; bravi" e la regola la stabilivano i funzionari.
Erano esistenze eteronome, guidate da altri. E il modello era l'ubbidiente, il servizievole, il generoso, il disponibile e non l'autonomo, il ricercatore, l'amante della verità e della vita.
La gente si sentiva in colpa per tutto e temeva di osare ogni cosa, perché la domanda di fondo era: "E se è sbagliato? E se Dio non vuole? E se faccio peccato? E che tipo di peccato è: veniale o mortale?".
Mia nonna diceva sempre: "E se prima di morire faccio un peccato, proprio il minuto prima? Cosa succede?". Per questo bisognava confessarsi sempre, almeno una volta la settimana.
Così, per assurdo, per trovare gli amanti della Vita bisognava andare fuori dalla chiesa e dal mondo religioso, perché lì tutto era pericoloso e sospettabile. Se volevi vivere in profondità, cercare la verità, fare un cammino dell'animo personale e non una strada prestabilita e già confezionata, dovevi andare fuori.
Se pensavi diversamente eri cattivo; se facevi diversamente eri cattivo; se non facevi come i funzionari stabilivano, Dio non ti voleva (dicevano loro). Per cui se volevi vivere veramente dovevi uscire!
Mio nonno diceva sempre: "Io in chiesa non ci vado perché lì non si può fare niente!". E quando la gente gli diceva: "Ma cosa dirà il parroco?". Lui rispondeva: "Dirà che sono un cattivo cristiano, ma intanto io vivo felice, vado a ballare e mi diverto".
Nessuno che crede in Dio senza averlo sperimentato è degno di Dio. Lo hai incontrato Dio? Lo hai toccato? Ti ha cambiato l'esistenza? Ti fa vivere? E' la forza delle tue scelte, la passione del tuo cuore?

Gesù in maniera furba gli fa un'altra domanda (è una sfida tra i due!). "Ma come? Proprio tu che sei un esperto della legge chiedi a me questa cosa? Dovrei essere io a chiederlo a te!". Facendo così Gesù lo smaschera: "Ma come? Mi fai una domanda e mi dai anche la risposta?". "Perché allora me l'hai chiesto?". Visto che sai la risposta, fallo!

Il dottore della legge è andato k.o. e cerca di "rimettersi in piedi". Così gli fa un'altra domanda: "Chi è il mio prossimo?". Ma è chiaro che il dottore non potrà mai capire. Viaggiano su due livelli diversi.
Quando lui gli chiede "chi è il mi prossimo" gli chiede: "Cosa dice la legge a riguardo del mio prossimo? Cosa ne pensi tu? Fino a quando? Fino a dove?". E' sempre quella logica lì: cosa è giusto. Perché per un ebreo era giusto considerare prossimi il connazionale e al massimo quelli convertiti. Gli altri no. Per cui un bravo ebreo era tenuto ad amare e rispettare gli altri ebrei.

Ma Gesù viaggia su un altro livello: non c'è più fino a dove o fino a quando. Se tu hai un cuore, seguilo. Chi ama non fa differenze tra chi ha davanti: chi ama segue il proprio cuore.
Nel "tu sì e tu no" sei determinato ancora dall'esterno. Chi ama solo i connazionali, solo quelli della propria religione o del proprio partito è un povero uomo che lascia ancora che siano delle regole (partito, religione, ecc.) a determinare cosa è giusto e cosa no.
Ma chi ama lascia che sia il proprio cuore a vivere. Se tu hai un cuore non fai più differenze, non dividi più tra questi e quelli, tra quelli degni e quelli indegni. Ami, punto e basta.

Il dottore della legge non può capire. Per questo Gesù gli racconta questa parabola. C'è un uomo che scende da Gerusalemme a Gerico. Gerusalemme distava ventisette chilometri da Gerico e c'era un dislivello di mille metri. Era una strada purtroppo molto conosciuta per la sua pericolosità, piena di agguati, rapine e imboscate.

A tutti noi nella vita capiterà qualche imboscata. Tutti noi ci imbatteremo nei predoni e nei briganti. La grande domanda non è: "Come evitare sempre i briganti?", perché l'unico modo (che poi non è affatto vero) per evitarli è quello di starsene sempre in casa. Ma starsene in casa vuol dire morire, non vivere.
La grande domanda e la prima scelta della vita è: "Vivere o non vivere? Rimanere a Gerusalemme o provare ad uscire?". Nella vita prima o poi qualcuno ci bastonerà, qualcuno ci spoglierà, qualcuno ci lascerà mezzi morti.

Spogliati. Un imprenditore molto ricco ha fallito con la sua azienda: un grande investimento che sembrava promettere bene è invece andato male perché è stato "fregato". Ha dovuto vendere tutto, perfino la casa. Vive in affitto in un mini appartamento, quasi sul lastrico.
A scuola: i compagni di classe, dopo che le loro madri hanno scoperto di chi era figlio, chiamano il loro ex amichetto: "Mafioso!". Lui sempre escluso e messo in disparte si sente il dito puntato sempre contro.
Non vi siete mai sentiti derisi, svergognati, messi alla berlina, nudi di fronte agli occhi della gente?

Percosso. Dopo tanti tentativi e relazioni fallimentari hai trovato il fidanzato, tutto sembrava procedere bene, iniziavi a cullare l'idea di farti una famiglia. Ma lui ti lascia per un'altra. Come ti senti? Non ti senti distrutta?
Pensavi di cambiare tua moglie: una bella persona, ma così visceralmente legata a sua madre. Ti dicevi: "Il mio amore sarà più forte". E invece no. Ti accorgi che lei continua a preferire sua madre a te. Non ti senti distrutto, abbattuto, percosso?
Ti sei separata da tuo marito, speravi per il bene dei figli che non vi sareste fatti la guerra. E invece lui non ti dà tregua, ti attacca in tutto, non lascia passare niente, ti mette sempre in cattiva luce con i figli e non vede l'ora di fartela pagare e della ripicca. Non ti senti a pezzi?
Quante volte nella vita ci capiterà di "prenderle", di essere bastonati, di aver le ossa rotte!

Se ne andarono... e tu ti ritrovi solo. Un uomo ha lasciato il suo lavoro e si è preso un anno per poter ripensare la propria vita. I genitori non lo vogliono neppure più vedere in casa: "Ma come? Hai lasciato un lavoro così?". La moglie non lo capisce: "Avevamo tutto (se aveva tutto non lo avrebbe fatto!)!". Gli amici: "Cosa cerchi?". Così ti ritrovi solo con te e con la tua sofferenza interna.
Ci capiterà di ritrovarci soli con noi, con nessuno vicino, con nessuno capace di capirci e di accoglierci.

Mezzo morto: un giorno ti rendi veramente conto della realtà e ti accorgi che tua moglie non ti ama più e che fa bene a non amarti perché sei un'ameba, un'amorfo. Pensi solo al lavoro e hai paura di tutto mentre lei è piena di vita; lei ha voglia d'amare e di vivere mentre tu dentro sei morto e non le dai altro che ansie e che assilli.
Ad un uomo di quarant'anni hanno diagnosticato un tumore molto aggressivo: possibilità di vivere 40%.
Non vi è mai venuta voglia di morire? Di farla finita? Non vi site mai sentiti degli stracci? Non vi è mai capitato di percepire che vivere o morire è un po' la stessa cosa? Non vi siete mai sentiti sull'orlo del baratro?

In queste situazioni, chi ci può aiutare? Chi può farsi vicino a noi? Uno pensa: "Mia madre, mio padre, gli amici, i colleghi, il prete, ecc". Ma Gesù risponderà: "Non farti ingannare. Non il ruolo ma solo chi ha un cuore pieno d'amore può farsi vicino (prossimo) a te". "Non aspettarti l'aiuto dove non può venire: non guardare alla funzione ma al cuore delle persone".

Se qualcuno non interviene quell'uomo della parabola muore. Chi l'ha ucciso? I briganti? Solo loro? O non l'ha ucciso anche chi potendo fare qualcosa non l'ha fatto?
Quante persone si giustificano con la famosa frase: "Io non ho fatto nulla di male!". Già, ma in certe situazioni non intervenire vuol dire condannare.

Passano tre personaggi. Entrambi passano per caso, come tutto (o forse niente) viene a caso nella vita.
Il sacerdote è l'addetto al culto (il prete di oggi), mentre il levita è addetto al tempio (il nostro sacrestano). C'era una legge che impediva ai sacerdoti di toccare persone morte. Ma quest'uomo non era morto; ma poteva sembrarlo! E il levita? Lui non era addetto al culto, ma toccava gli oggetti sacri! Come vedete c'è sempre una scusa quando non si vuole fare una cosa.

Il problema del sacerdote e del levita è che il loro ruolo uccide la loro anima. "Sei un sacerdote, non puoi fare queste cose, non sono permesse a te!", dice il ruolo del primo. "Sei un levita, uno vicino alle cose di Dio, devi comportarti in una certa maniera tu", dice il secondo.
Ma c'è pure un terzo personaggio rinchiuso nel suo ruolo: l'albergatore. Quando arriva l'uomo mezzo morto (e mezzo vivo!) non dice al samaritano: "Ma sì, non ti preoccupare, ma scherzi! Non se ne parla neanche in queste situazioni: mi prendo cura io di quest'uomo e non voglio assolutamente niente da te, che già ti sei fatto carico di quest'uomo e del rischio". No, no, quando arriva lui se ne sta zitto e incassa il tutto. Incassa i due denari e, fiutato l'affare, se dovesse spendere di più, gli chiederà di più. Anche lui è ucciso dal suo ruolo: "Io non guardo in faccia nessuno e faccio gli affari miei". Il suo ruolo gli impedisce di provare amore, compassione e di sentire la vita.
Il ruolo può uccidere il cuore, la vita.
Quando tu identifichi solo in un ruolo allora costringi a far passare la tua vitalità solo per un canale. E' come mangiare pasticcini tutto il giorno. Sì, buoni, ma se li mangi sempre ne hai la repulsione.
Il ruolo è un vestito: va bene alcune volte ma se lo indossi sempre allora ti uccide, diventa un cappio al collo. Se non stai attento il ruolo ti distacca da te, dal tuo sentire, da ciò che hai dentro. Per cui di fronte ad ogni situazione non ti ascolti più, ma dai sempre una risposta preconfezionata, già fatta, già stabilita dal tuo ruolo. Non sei più tu che senti ma il tuo ruolo che agisce in maniera automatica.
Non si può far sempre "quello che si dà per gli altri" perché poi ci si scarica e ci si esaurisce. Non si può far sempre "quello che manda giù e incassa", perché poi ci si deprime. Non si può far sempre i buoni e i pacificatori di ogni tensione perché poi ci viene l'ipertensione. Non si può far sempre la parte dei duri, degli insensibili ("che certe cose non ci toccano!") perché poi si muore dentro.
Non si può sempre approfittare della disponibilità degli altri perché si diventa dei cinici. C'è un uomo che lavora in ambito finanziario. Il suo compito è quello di far guadagnare il più possibile la sua banca. "Ma non ti fa problema che "freghi" le persone?". "Per me è solo un lavoro come un altro". Se perdi il tuo cuore allora tutto è possibile.
Non si può far sempre i genitori perché poi si diventa ansiosi, soffocanti. Vi siete mai chiesti perché i nonni nei confronti dei nipotini sono così buoni, generosi, disponibili, e non lo sono stati nei confronti dei loro figli? A volte giocano, si buttano sul tappeto, fanno tiri "stupidi" (in realtà pieni di vita!), fanno cose che non hanno mai fatto. Perché? Con i loro figli, invece, spesso sono stati duri, intransigenti, anaffettivi. Perché i nipoti non sono i loro figli e quindi si sentono svincolati dal ruolo di essere "bravi genitori". Così si sentono liberi ed emerge tutta la creatività che hanno dentro.
Non si può far sempre e solo il prete perché poi perdi il contatto con la tua umanità. C'è un prete che dice: "Chi è separato o divorziato non fa la comunione". E se qualcuno di sua conoscenza che è in questa condizione va a farla, lui non gli da la comunione. Ma sì, lo dice la legge, ma il tuo cuore?
Non si può far sempre i buoni e i "tutto per gli altri" perché poi ci viene il diabete o la solitudine. Non si può voler essere sempre accettati da tutti perché poi ci si adatta e ci si conforma agli altri.
Non si può essere sempre insegnanti, carabinieri, poliziotti, avvocati, in ogni situazione perché poi si diventa intransigenti, duri, giudicanti. Un vigile ha messo la multa ad un vecchietto di 85 anni perché girava, di giorno ai 40 all'ora, con i fari spenti! Un papà poliziotto, scoperto che suo figlio aveva copiato una volta è andato dal prof a dirlo: "Questione di verità!". Ma sì, lo dice la legge... ma il tuo cuore?
Il sacerdote e il levita si erano così identificati nel proprio ruolo che avevano perso contatto con il proprio sentire e quindi con se stessi.

C'è solo un uomo libero e non prigioniero dal suo ruolo: il samaritano.
Il samaritano non ha maschere o ruoli da difendere; per questo la vita in lui circola libera e vibrante. Tutti e tre (sacerdote, levita e samaritano) passano per la stessa strada e tutti e tre vedono l'uomo. Ma del samaritano si dice qualcosa che non si dice degli altri due: che ne ebbe compassione. Ciò che fa dopo è solo una conseguenza di questo.
Il verbo "splanchnizomai" (avere compassioni) indica le viscere (splanchnon), l'utero materno. E' quell'emozione che ti tocca, che ti colpisce, che ti fa male, che ti fa vibrare, che ti scuote.
Come poteva tirare dritto? Come poteva far finta di niente? Il sacerdote e il levita sono giustificati dalla regola: la regola lo permette. Sì, ma il tuo cuore?
La verità è che "non sentivano". Se tu non senti tutto è possibile.
Guardi in faccia certe persone e gli dici: "Ma quanta rabbia hai dentro?". "No, non è mica vero, sono sereno io!". Sì che sei sereno, perché non senti niente.
Oppure ad altra dici: "Ma quanta paura hai!?". "Io? Io non ho nessuna paura". "Per forza non la senti!".
O ancora: "Tu hai una tristezza profonda!". "Io? Io sono felicissimo". No, amico, tu credi di esserlo, tu ti convinci. Ma è che non senti niente.
Siamo in ristorante e vicino a noi ci sono due genitori con un bambino di due anni. Il bambino si muove e crea un po' di confusione. Così il padre lo prende e lo sculaccia per bene (senza reale motivo: aveva solo paura di fare brutta figura, ma era un suo problema!). Così il bambino se ne sta seduto (è costretto) con il muso lungo per tutto il tempo. Prima di andarsene i genitori gli dicono: "Siamo proprio contenti di come ti sei comportato". Ma non vedi? Ma non senti?
Una madre: "Mia figlia è anoressica!". Per forza: perché non senti quanto la soffochi e la blocchi con le tue paure?
Un uomo: "Mio figlio è stato bocciato a scuola". Ma non vedi quanto è arrabbiato con te perché tu non sei capace di ascoltarlo?
Una madre: "Mia figlia non mi dice mai niente". Per forza: non vedi quanto la fai soffrire quando prova a parlarti?
Un catechista: "Questi ragazzi sono impossibili!". Per forza: non vedi, non senti che sei una noia infinita? Tutto accade perché tu non senti. Tutto accade perché sei insensibile. Perché se sentissi il disagio dei tuoi ragazzi non continueresti a fare catechismo così.
C'è un uomo che umilia e sminuisce sempre sua moglie. Lui ci ride sopra e dice: "Sto solo scherzando!". Ma non vedi, non senti quanto la ferisci? Lo fai solo perché non senti.
Un uomo picchia regolarmente suo figlio perché "l'educazione bisogna darla quando sono piccoli". Lo fai perché non senti, perché non vedi il terrore che c'è nei suoi occhi.
Padre e madre si dicono su di tutto, insultandosi senza nessun ritegno.
Ma non vedi l'angoscia e il dramma di tuo figlio? Come fai? Lo fai solo perché non senti.
Un guru è venuto a Milano. Dice al padrone che lo ospita: "Che rumori ci sono fuori?". "Ah, oggi non si sente proprio niente, è una giornata silenziosa!" (in centro a Milano, non ci sono rumori?). "No, no, io sento: le auto, gli uccelli, le voci dei bambini, un gatto che miagola, ecc". Tutti due sentivano, ma in realtà uno solo sentiva.
Quando le persone dicono: "Io sono sensibile", bisogna chiedergli: "A cosa?". Sentire una cassa di 50 watt di potenza non è essere sensibili, è non essere sordi.

Ci sono due tipi di morte: quella del fisico e quella dell'anima. In quella del fisico si muore dentro e fuori. In quella dell'anima si vive fuori ma si è morti dentro. Fate in modo di "sentire" sempre per non essere morti prima che la morte arrivi.

Pensiero della Settimana
Prossimo è (lett.) la persona che più mi è vicina.
Chi è la persona che più mi è vicina?
Io! Io sono sempre vicino a me.