“Chi accoglie voi accoglie me”


 Chi accoglie voi accoglie me”

I vangeli parlano di accoglienza e ospitalità nei rapporti tra Dio e l’uomo, ma anche nei rapporti scambievoli tra gli uomini. Quest’ultimo possiamo definirlo un orientamento “in linea orizzontale”, mentre il primo è piuttosto “in linea verticale”. In particolare, i vangeli distinguono tra atteggiamenti e comportamenti che si hanno verso i discepoli “missionari”, e quelli che caratterizzano le relazioni tra i “fratelli”, cioè tra tutti gli uomini entrati a far parte di una nuova fraternità grazie alla comune identificazione in Cristo. 

Gesù stesso preannuncia ai suoi discepoli, inviandoli come missionari e predicatori, che sulle loro strade sperimenteranno tanto la calorosa apertura dell’ospitalità, quanto la triste chiusura del rifiuto (Mt 10,5-42). Gesù prende in considerazione anzi-tutto la possibilità della chiusura di fronte all’annuncio e al messaggero che lo proclama: l’inviato deve proclamare con fedeltà la salvezza; come il successo non deve inorgoglirlo, così l’insuccesso non deve scoraggiarlo, poiché ne l’uno ne l’altro dipendono da lui: “Se non vi accolgono e non ascoltano le vostre parole, uscendo da quella casa o da quella città scuotete la polvere dai vostri piedi” (Mt 10,14).

L’apertura e la disponibilità non sono indirizzati principalmente alla loro persona, quanto invece alla loro parola. Per questo, Matteo e Marco precisano la natura del rifiuto: non si tratta tanto dell’ospitalità, ma della predicazione. Il legame tra “accogliere” e “ascoltare” è così stretto che quasi i due verbi si identificano: la chiusura di chi non è disposto ad aderire alla parola diventa condanna, significativa-mente rappresentata dal gesto dei discepoli, che dichiara la completa estraneità di fronte a Dio di coloro che si barricano nell’immanenza e nell’autosufficienza.


Tuttavia, a questo quadro negativo, Gesù ha aggiunto anche la positività dell’accoglienza: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato” (Mt 10,40). Anche qui non si punta tanto sull’offerta di ospitalità, cioè di ristorazione e di sollievo, di vitto e alloggio, quanto invece sull’ascolto di una parola, come conferma la versione di Luca, dove accoglienza e ascolto si assimilano a contatto con la predicazione e con l’inviato che la proclama: “Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me” (Le 10,16). E’ evidente la distinzione tra un’ospitalità “da albergo” e un’accoglienza interiore e dinamica. Se è possibile dare dell’ospitalità senza troppo coinvolgimento personale, non può esserci un’accoglienza che non sia anche partecipazione, ascolto, condivisione, comunione. Qui il compromesso non tiene: o si accoglie o si disprezza. 

Questo per quanto riguarda le relazioni con i discepoli, con i missionari di Gesù. E tra “fratelli”? Il fatto dell’accoglienza non cambia: se accogliendo i predicatori si accoglie il Signore che li manda, accogliendo i fratelli si fa’ spazio a Gesù stesso, che si identifica con ogni uomo che fa’ strada con me, nel mio camminare. “Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me” (Mt 18,5).Qui non si tratta di una missione per predicare. L’attenzione si sposta sulla condizione di debolezza e di necessità in cui si rivela Cristo: accogliendo il bisognoso si accoglie un fratello “in vista” di accogliere Cristo, proprio come nella descrizione che Matteo fa’ del giudizio universale, dove il Figlio dell’Uomo dichiara come fatto a se stesso ciò che è stato fatto “a uno di questi più piccoli” (Mt 25, 40, 45). E si precisa nei dettagli: “poiché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero stra-niero e mi avete accolto” (Mt 25,35). Il verbo usato qui da Matteo non è il verbo solito dell’ospitalità e dell’acco-glienza; è un verbo che nessun altro evangelista usa. E’ un verbo che significa più esattamente aggregare, condurre con sé, mettere insieme; più che di ricevere, ospitare, si suggerisce il senso di integrare, render partecipe della vita della comunità. 

I cristiani che dimostrano questa apertura universale e questa disponibilità operativa verso “uno di questi fratelli più piccoli” proclamano e realizzano visibilmente l’amore di Dio che è in mezzo a loro e, nello stesso tempo, entrano in contatto con Cristo, diventando fratelli tra di loro “nelle opere e nella verità” (1Gv 3,18). Dimostrando di possedere lo stesso amore con cui Dio ama, i credenti che si accolgono reciprocamente incarnano l’ideale evangelico: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro” (Le 6,36). La motivazione dell’accoglienza non è più la risposta ad una necessità sociale o economica. Non e neppure l’assolvimento filantropico di un ideale inscritto nel codice genetico degli uomini. 

A differenza dei tanti scrittori profani classici e contemporanei degli autori del Nuovo Testamento, con Gesù si apre un nuovo orizzonte nella comprensione dei rapporti tra uomo e Dio e delle relazioni degli uomini tra di loro. L’accoglienza si distanzia notevolmente dalla semplice ospitalità per diventare comunione, identificazione inferiore con l’altro, verificabile anche nei suoi risvolti operativi (Gabriele Bentoglio, Chi accoglie voi accoglie me, “L’Emigrato”, settembre 1996, pp. 30-21).