Bonomelli


 

Bonomelli


Negli stessi anni in cui sulla scena della diaspora italiana irrompe Monsignor Scalabrini, padre dell’emigrazione italiana, un altro vescovo, mons. Geremia Bonomelli, vescovo di Cremona, fonda l’Opera di Assistenza agli italiani emigrati in Europa e nel Levante e diviene il secondo nome più importante nella costruzione delle strutture che sosterranno, sia dal punto di vista assistenziale che culturale, l’emigrazione italiana nel mondo agli inizi del ‘900.


Geremia Bonomelli nacque a Nigoline di Franciacorta (Brescia) nel 1831 da una famiglia rurale, entrò nel seminario di Brescia nel 1851 e nel 1855 divenne sacerdote, successivamente andò a Roma a studiare teologia e nell’anno scolastico 1858-1859 incominciò ad insegnare suscitando, nei molti che lo conobbero, stima ed apprezzamento.


Nel 1871 Bonomelli fu eletto Vescovo di Cremona, una diocesi che presentava diverse problematiche politiche e sociali e che in quarant’anni aveva subito la successione di dieci differenti amministrazioni, tenute da cinque vescovi e da cinque vicari.


Bonomelli iniziò occuparsi della questione emigrazione nel 1896. Sul modello di Scalabrini e Bonomelli, molto clero si sarebbe reso disponibile per un servizio pastorale agli emigranti. Un suo scritto di argomento politico religioso fu posto all’Indice il 13 aprile 1889; il vescovo fece pubblico atto di sottomissione in Cattedrale il giorno di Pasqua. A Mons. Geremia Bonomelli si deve riconoscere il ruolo d’interprete principale di un’azione incisiva della Chiesa nel vecchio continente.


Fondò nel maggio 1900 l’Opera di assistenza per gli italiani emigrati in Europa (detta più tardi “Opera Bonomelli”) con lo scopo di fornire un’assistenza religiosa e morale agli emigrati italiani insieme ad un’attività di patronato: fu un sistema integrato in cui le opere di assistenza sotto l’impegno e la corresponsabilità dei laici completavano l’attività religiosa sostenuta dalla presenza dei missionari. Il segretariato del popolo era collocato accanto alla missione. “L’Opera per gli Emigranti nell’Europa e nel Levante” , sorse nel 1900, ma essa deve essere considerata come il risultato di un interesse maturato nel vescovo già da molti anni.


Nel 1896 Bonomelli interveniva sulla questione emigrazione con la pastorale “L’Emigrazione”. Spinte occasionali furono invece gli inviti dell’Associazione Missionari Cattolici Italiani, la Lettera al “Corriere della Sera” del 2 marzo 1899 di P. Villari, che denunciava le tristi condizioni degli operai italiani al Sempione, il voto, sul letto di morte, del Cardinale Bausa, arcivescovo di Firenze. L’Opera per gli emigranti nell’Europa e nel Levante può “considerarsi una risposta a particolari problemi posti dall’emigrazione temporanea, specialmente per i paesi europei, che dopo il 1890 era venuta destando nuove preoccupazioni”. Prima del 1890, l’emigrazione temporanea non aveva destato particolari polemiche perché gli emigranti, in genere, ritornavano in patria riunendosi alla famiglia e investendo in Italia i guadagni. Negli ultimi anni del secolo, emerse però che i nostri lavoratori spesso erano soggetti a violenze da parte dei lavoratori oriundi infastiditi dalla loro concorrenza. Per questo tipo di emigrazione, dunque, era necessaria una forma di patronato più moderna, che sapesse indirizzare gli emigrati verso mercati di lavoro che avessero effettivamente bisogno di manodopera. Questo era il fine dell’Opera bonomelliana.


Come Scalabrini egli pensava che l’assistenza agli emigranti dovesse fondarsi su un ideale di armonia tra patria e religione. Diversamente dal vescovo di Piacenza, il suo interesse per l’emigrazione scaturiva non dalla fede, ma da un bisogno di rinnovamento della fede stessa che lo portava a polemizzare con i cattolici più intransigenti: “Gesù Cristo liberava gli uomini dai mali del corpo, per risanare poi le infermità dello spirito. Non separiamo il corpo dall’anima, il cielo dalla terra, i beni presenti dai beni futuri ma quelli servano a questi”. Sebbene Bonomelli ritenesse naturale l’emigrazione - (“sarebbe meraviglia che non ci fosse”)- egli suggeriva possibili rimedi quali colonizzazione interna, mezzadria, miglior trattamento dei contadini da parte dei “burberi” proprietari; ma la sua originalità consiste nell’aver teorizzato un cattolicesimo più moderno: “Dunque parrochi, sacerdoti e laici cattolici, usciamo dal tempio, dalle sagrestie, gittiamoci in mezzo al popolo, ricordiamogli i suoi doveri, ma non passiamo sotto silenzio i suoi diritti”.