Convivialità


 

Convivialità

 

In un ambiente livellato ed appiattito dall’anonimato, la parrocchia costituisce un luogo di partecipazione, di convivialità e di riconoscimento reciproco. Contro l’insicurezza essa offre uno spazio di fiducia in cui si apprende a superare le proprie paure; in assenza di punti di riferimento da cui attingere luce e stimoli per vivere insieme, essa presenta, a partire dal Vangelo di Cristo, un cammino di fraternità e di riconciliazione. Posta al centro di una realtà segnata dalla precarietà, la parrocchia può diventare un vero segno di speranza. Canalizzando le energie migliori del quartiere, essa aiuta la popolazione a passare da una fatalistica visione di miseria ad un impegno attivo, finalizzato al cambiamento delle condizioni di vita assieme.

 

Numerosi membri delle comunità parrocchiali sono pure attivamente impegnati in strutture ed associazioni volte a migliorare le condizioni di vita delle popolazioni. Mentre esprimo vivo apprezzamento per tali significative realizzazioni, esorto le comunità parrocchiali a perseverare con coraggio nell’opera intrapresa in favore dei migranti, per aiutare a promuovere nel territorio una qualità della vita più degna dell’uomo e della sua vocazione spirituale (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata mondiale del migrante Il Giubileo porta il credente ad aprirsi allo straniero 2.02.1999, in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, n. 921).

 

 

Faccio mie, oggi, le parole del venerato mio predecessore, il Servo di Dio Paolo VI, che, nell’omelia di chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II, affermava: “Per la Chiesa cattolica nessuno è estraneo, nessuno è escluso, nessuno è lontano” (A. A. S., 58 [1966], pp. 51-59). Nella Chiesa - lo scrive fin dall’inizio l’Apostolo delle genti - non vi sono stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio (cf. Ef 2,19).

 

Purtroppo, non mancano tuttora nel mondo atteggiamenti di chiusura e perfino di rifiuto, dovuti ad ingiustificate paure ed al ripiegamento sui propri interessi. Si tratta di discriminazioni non compatibili con l’appartenenza a Cristo e alla Chiesa. Anzi, la comunità cristiana è chiamata a diffondere nel mondo il fermento della fraternità, di quella convivialità delle differenze che anche oggi, in questo nostro incontro, ci è dato di sperimentare.

 

Certamente, in una società come la nostra, complessa e segnata da molteplici tensioni, la cultura dell’accoglienza chiede di coniugarsi con leggi e norme prudenti e lungimiranti, che permettano di valorizzare il positivo della mobilità umana, prevenendone le possibili manifestazioni negative. Questo per far sì che ogni persona sia effettivamente rispettata ed accolta.

 

Ancor più nell’epoca della globalizzazione, la Chiesa ha una precisa proposta: operare perché questo nostro mondo, del quale si suole a volte parlare come di un “villaggio globale”, sia davvero più unito, più solidale, più accogliente. Ecco il messaggio che questa celebrazione giubilare vuole far giungere dappertutto: al centro dei fenomeni di mobilità, sia posto sempre l’uomo e il rispetto dei suoi diritti.Giovanni Paolo II, Omelia in occasione del Giubileo dei migranti e degli itineranti “Perseverate nell’amore fraterno…”, 2.06.2000, in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, n. 932).