Dislocamento
Dislocamento
La chiamata a vivere in comunità che abbiamo ricevuto da nostro Signore è l’invito a uscire da quegli ambiti ordinari che ci sono propri. Abbandona tuo padre e tua madre. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Metti mano all’aratro e poi non voltarti indietro. Vendi tutto quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi (Lc 14, 26; 9, 60-62, 18, 22). Il Vangelo ci mette di fronte ad una voce persistente che ci invita a uscire da dove stiamo bene, da dove abbiamo voglia di stare, da dove ci sentiamo a casa.
Il paradosso della comunità cristiana è che le persone vengono raccolte insieme da un dislocamento volontario. Lo stare insieme di quanti formano una comunità cristiana equivale ad un essere-raccolti-nel-dislocamento. Secondo il dizionario del Webster, dislocamento significa spostarsi o cambiare l’ambito di vita, quello ordinario o quello più proprio. Questa definizione diventa molto eloquente quando ci rendiamo conto di quanto sia grande il nostro impegno e la nostra preoccupazione nell’adattarci a quelle che sono le norme e i valori dominanti del nostro ambiente. Vogliamo essere persone normali e corrette che vivono una vita normale e corretta. C’è una grande pressione esercitata su di noi per convincerci a fare ciò che è ordinario e corretto e così essere gratificati dall’accoglienza di tutti. Questo è del tutto incomprensibile per il fatto che il comportamento ordinario e corretto che modella una vita ordinaria e corretta non ci dà altro che la comoda illusione che le cose siano sotto il nostro controllo e che tutto ciò che è straordinario e fuori dal comune modo di fare può essere tenuto fuori dai muri della fortezza che ci siamo creati con le nostre mani.
II dislocamento volontario come modo di vita più che come evento straordinario e proprio il segno della discepolanza. Il Signore, la cui compassione noi desideriamo manifestare nel tempo e nello spazio è in realtà un Signore che ha traslocato. Paolo descrive Gesù come qualcuno che si è volontariamente dislocato. “Il quale pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Non si potrebbe pensare un dislocamento più grande. II mistero dell’Incarnazione consiste nel fatto che Dio ha assunto la condizione di un essere umano sofferente. In tal modo Dio diventato un Dio dislocato a cui niente di umano è ormai estraneo, un Dio che ha potuto sperimentare fino in fondo la miseria della nostra condizione umana...
Gesù Cristo è un Dio “spiazzato” in cui la compassione di Dio si è fatta carne. In lui vediamo una vita di dislocamento vissuta in tutta la sua pienezza. Ed è seguendo il nostro Signore “spiazzato” che noi diamo vita alla comunità cristiana.
Se il dislocamento volontario è qualcosa di così centrale nella vita di Cristo e dei suoi discepoli, dobbiamo allora cominciare con il trasferirci? Forse no! Dobbiamo piuttosto cominciare a identificare nelle nostre vite dove si sta già attuando uno spostamento. Forse sogniamo dei grandi atti di dislocamento senza notare, in quelli che sono già avvenuti nelle nostre vite, le prime indicazioni della presenza di Dio.
Dislocamento nella nostra vita quotidiana
Non dobbiamo cercare nelle nostre vite né per lungo tempo né lontano per trovarci degli spostamenti. La maggior parte di noi ha fatto esperienza di dolorosi trasferimenti fisici. Ci siamo trasferiti da una nazione ad un’altra, dall’Occidente all’Oriente, dal Nord al Sud, da una piccola città ad una grande città, da un piccolo e familiare liceo ad una grande e impersonale università, da un ambiente di lavoro gaio ad una posizione invece competitiva; in breve da ambienti familiari ad ambienti molto anonimi.
In seguito a questi trasferimenti fisici la nostra vita forse è stata segnata da dislocamenti più profondi. Mentre gli anni passano le immagini e le idee che ci sono familiari si trovano ad essere messe fuori posto. Modi di pensare che per molti anni ci hanno aiutato a capire il nostro mondo, sottoposti a critica vengono ritenuti superati e conservatori. I riti e le usanze che ricoprivano un ruolo centrale negli anni della nostra infanzia e giovinezza improvvisamente non sono più valorizzati dai nostri figli e dai nostri vicini. Le tradizioni familiari e le celebrazioni religiose che sono alla base dei nostri ricordi più belli vengono improvvisamente abbandonati e persino derisi come sentimentali, magici o superstiziosi. Ben più dei trasferimenti fisici questi profondi spostamenti mentali ed emozionali ci fanno sentire minacciati e ci fanno sentire come smarriti e lasciati soli.
Nella nostra società moderna, con la sua crescente mobilità e pluriformità, siamo diventati i soggetti e spesso le vittime di così tanti spostamenti da risultare ormai molto difficile conservare un senso di radicamento, e siamo così spesso tentati di diventare pieni di amarezza e di risentimento. Il nostro primo e molte volte, più difficile compito perciò, è proprio quello di far sì che i dislocamenti in corso diventino ambiti in cui possiamo udire la chiamata di Dio. Spesso ci sembra più facile dar corso a un dislocamento che noi stessi possiamo controllare piuttosto che accettare e ratificare con libertà un trasferimento che è completamente nelle mani di altri.
La domanda principale è “Come posso arrivare a capire e a sperimentare l’agire premuroso di Dio nella situazione concreta in cui mi trovo?”. Questa domanda è difficile perché richiede uno sguardo allento agli avvenimenti ed esperienze che si stanno vivendo e che spesso sono dolorose. “Dove mi è stato già chiesto di abbandonare mio padre e mia madre; dove sono già stato invitato a lasciare che i morti seppelliscano i loro morti; dove ho già rischiato di continuare a tenere le mani sull’aratro senza voltarmi indietro?”. Dio è sempre all’opera nelle nostre vite. Dio chiama sempre, ci chiede sempre di prendere la nostra croce e di seguirlo. Ma vediamo, sentiamo e riconosciamo che chiama o continuiamo ad aspettare il momento illusorio in cui qualcosa avverrà? Dislocarsi non e prima di tutto qualcosa da fare o da compiere, ma qualcosa da riconoscere.
In e attraverso questo riconoscimento si può attuare una conversione, una conversione da un dislocamento involontario che porta al risentimento, all’amarezza, alla rassegnazione e all’apatia ad un dislocamento invece volontario che può diventare un modo per esprimere la propria discepolanza. Certo non dobbiamo andare dietro alle croci ma parimenti dobbiamo abbracciare quelle croci che durante il cammino sono le nostre. Perciò seguire Gesù significa in primo luogo e soprattutto scoprire nella nostra vita quotidiana l’unica vocazione a cui Dio ci chiama (Compassion. A Reflection on the Christian Life, by Henri Nouwen, Donald P. Mcneill and Douglas A. Morrison).