Esodo (La spiritualità dell’esodo)


 

Esodo (La spiritualità dell’esodo)


Abbandonare tutto e mettersi in viaggio


II brando del vangelo di Luca 5, 1-11 ci parla della risposta radicale dei discepoli alla chiamata di Gesù. Essi abbandonano tutto. Questo « tutto » è la loro vita ordinaria, inserita cioè in un costume e in una società: ove essi si sentono « cittadini » riconosciuti e accettati, e come tali protetti da un sistema automatico di vincoli e di vantaggi. Abbandonare tutto: lavoro, famiglia, casa, abitudini, conoscenze... per mettersi in una prospettiva di viaggio, sempre stranieri. La riflessione del saggio israelita sedentarizzato inorridiva di fronte a questa prospettiva: « Contentati del poco e del molto e non sentirai l’onta del pellegrinare. Vita stentata quella di casa in casa! Dove prendi alloggio non puoi aprire bocca; ospiterai e mescerai vino, e non ti diranno grazie! Oltre a ciò sentirai parole amare » (Eccli. 29, 23-25).


Oggi noi assistiamo pure a un altro fenomeno, in cui il viaggio è assunto a categoria esistenziale, espressione simbolica di un viaggiare interiore i cui orizzonti sono sconosciuti, le cui tappe non sono programmate per il più radicale ripudio dell’efficienza, i cui modi sono i più elementari e primitivi.


È un fenomeno di massa, che si sprigiona dalle integratissime società del benessere. Certo, molti non sono che uomini inautentici, evasi dalla realtà nuda e cruda... “Ma gli hippies autentici”, è stato scritto, forse non senza un pizzico di chiaro intuito in questa complessa realtà, “gli autentici hippies conservano tutto il loro mistero... Centinaia di migliaia di giovani riscoprono, attraverso l’hippismo, l’antica mitologia del viaggio: nello stesso tempo, essi tentano di creare, lungo le vie della società industriale, un saggio di universo fatto di fraternità, di povertà e di sogno”.


Un popolo in cammino


La rivelazione biblica ci è venuta da quella medesima area verso cui oggi si muove la nuova “migrazione di popoli”. Essa ha conservato vivo e operante il ricordo delle origini nomadi di Israele, che poi ha spesso rivissuto in termini religiosi. È un popolo che trae le sue origini da una vocazione ad abbandonare tutto, per mettersi in viaggio verso un paese che non rientrava nelle prospettive e che aveva come unico riferimento la fiducia nella promessa dell’Altissimo. Questa l’esperienza del padre di tutti i credenti: “Iahvé disse ad Abramo: parti dalla tua terra e dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre verso la terra che io ti indicherò” (Gen. 12,1).


Una trasmigrazione di nomadi sta alla base dell’evento che ha fatto di Israele un popolo. È un esodo lungo e faticoso, spesso arrestato dal rimpianto per le sicurezze che l’Egitto offriva, nonostante la mancanza di libertà. Ma è un esodo imperioso. Nelle frequenti rassegne del proprio passato, l’esodo appare a Israele come l’imperativo, mentre la nostalgia per le sicurezze d’Egitto è... il peccato: “Tu li hai guidati di giorno per mezzo di una nube a forma di colonna, e di notte con una colonna di fuoco, per illuminare loro il cammino che dovevano percorrere... Ma i nostri padri sono stati orgogliosi,... si sono rifiutati di obbedire... e hanno tentato di ritornare alla loro schiavitù in Egitto” (Neem. 9, 12.16-17).


Più volte i profeti hanno richiamato la matrici nomade dell’esperienza religiosa d’Israele per distoglierlo dalle sue infedeltà. Il cammino nel deserto è il simbolo vissuto della esclusiva fiducia in Iahvé, il momento della giovinezza di Israele che guarda in avanti e procede con coraggio per le vie additategli da Dio (cf. Os. 2,16-18; Ger. 35). L’ultimo, il più grande dei profeti, rivive quest’esperienza del deserto e apre la via a Gesù, che invita i suoi discepoli al viaggio integrale per la sua sequela, con un rigore che non ha precedenti: “Mentre era in cammino, sulla strada, un tale gli disse: ‘Io ti seguirò dovunque tu vada’. Gesù gli disse: ‘Le volpi hanno tane, e gli uccelli del cielo hanno nidi; il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo’... Un altro gli disse: ‘Ti seguirò, Signore, ma prima permettimi di accomiatarmi dai miei di casa’. Gli rispose Gesù: ‘Chiunque guarda indietro, mentre mette mano all’aratro, è inadatto per il regno di Dio’ “ (Le. 9, 57-58...61-62).


A questo abbandonare tutto, a volte viene data una risposta generica, che è invito ad avere fiducia, a guardare avanti: avrete il centuplo (cf. Mc. 10 28-30 par.); oppure: tutto è vostro (cf I Cor 3, 22), purché l’abbandono e la fiducia siano radicali.


La coscienza della religiosità nomade, la spiritualità dell’esodo, oggi è riemersa nella chiesa. È come una confessione di fede, che attende ancora, tuttavia, una testimonianza più esistenziale ed autentica sia da parte dei singoli individui che dell’intera comunità. “Fino a che non vi saranno cieli nuovi e terra nuova... la chiesa peregrinante... porta la figura fugace di questo mondo” (LG 48.417) (A. Tessarolo, a cura di, Il lezionario meditato, vol VII, EDB Bologna, 1974, pp.92-95).