La Chiesa del grembiule


 

La Chiesa del grembiule

Sembra proprio che la fotografia della Chiesa meglio riuscita sia quella che la ritrae col lezionario in mano o con la casula addosso. Quella che la riprende con il grembiule ai fianchi è giudicata un tantino osée, scattata forse in momenti di intimità e di abbandono e che, comunque, non è bene far consolare troppo nei salotti perché la gente non faccia commenti. È proprio vero: la Chiesa del grembiule non totalizza indici altissimi di consenso.

Per uscire fuori dalle immagini, possiamo distinguere nelle nostre Chiese quattro categorie di cristiani:

1. quelli che ripiegano nello spazio intimistico, sentimentale, lontano dalle situazioni reali della gente; aspettano l’“altro mondo”, ma non fanno nulla perché un “mondo altro” si affermi sulla terra!

2. quelli che dispiegano un impegno esteriore, affannoso; hanno perso ogni connotazione di annuncio religioso, e le loro proposizioni ideologiche hanno solo uno sbiadito ricordo della fede che le aveva mosse.

3. quelli che guardano con diffidenza, come invasione di campo, le sortite ecclesiali sugli spazi dove giustizia e perversità si scontrano, e accusano di orizzontalismo i vari tentativi di impegno sociale.


4. quelli che impegnano ogni energia per “gridare il Vangelo con la vita” (don primo Mazzolari). Quelli che hanno compreso che credere è un modo nuovo di pensare, vivere e lottare; che solo se la spina dell’impegno concreto si inserisce nella presa del Vangelo la Parola risplende e il mondo viene salvato.


E tu a che categoria appartieni?


La Chiesa del grembiule: è il ritratto più bello della Chiesa, quello del servizio. La Chiesa che si piega davanti al mondo, in ginocchio; che diventa povera; povera di potere. Pauper (povero) in latino non si oppone a dives (ricco); si oppone a potens (potente). Perché il grembiule è l’unico paramento sacerdotale registrato nel vangelo, per la messa solenne celebrata da Gesù nella notte del giovedì santo, non parla né di casule né di amitti, né di stole né di piviali. Parla solo di questo panno rozzo che il Maestro si cinse ai fianchi.


Si alzò da tavola”.

Significa prima di tutto che l’eucaristia non sopporta la sedentarietà, ci sollecita all’azione. Ci spinge a lasciare le nostre cadenze troppo residenziali per farci investire in gestualità dinamiche e missionarie il fuoco che abbiamo ricevuto. Ma significa anche che gli atri due verbi “depose le vesti” e “ si cinse i fianchi con l’asciugatoio” hanno valenza di salvezza soltanto se partono dall’eucaristia. Se prima non si è stati “a Tavola”, anche il servizio più generoso reso ai fratelli rischia l’ambiguità, nasce all’insegna del sospetto, degenera nella facile demagogia, e si sfilaccia nel filantropismo faccendiero, che ha poco o nulla da spartire con la carità di Gesù Cristo. Solo così il nostro svuotamento si riempirà di frutti, le nostre spogliazioni si rivestiranno di vittorie, e l’acqua tiepida che verseremo sui piedi dei nostri fratelli li abiliterà a percorrere fino in fondo le strade della libertà.


Sai legare preghiera e azione? La prima sfocia nella seconda? E il tuo agire trova la sua sorgente nella preghiera e nell’eucaristia?


Depose le vesti”.

Chi sta alla tavola dell’eucaristia deve “deporre le vesti”. Le vesti del tornaconto, del calcolo, dell’interesse personale, per assumere la nudità della comunione. Le vesti della ricchezza, del lusso, dello spreco, della mentalità borghese, per indossare le trasparenze della modestia, della semplicità, della leggerezza. Le vesti del dominio, dell’arroganza dell’egemonia, della prevaricazione, dell’accaparramento, per ricoprirsi dei veli della debolezza e della povertà. Non possiamo amoreggiare con il potere. Non possiamo coltivare intese sottobanco, offendendo la giustizia, anche se col pretesto di aiutare la gente. Gli allacciamenti adulterini con chi manipola il denaro pubblico ci devono terrorizzare.

Quali sono le vesti di cui devi spogliarti?


Si cinse un asciugatoio”.

Ed eccoci all’immagine che mi piace intitolare “la Chiesa del grembiule”. Essa non totalizza indici altissimi di consenso. Occorre riprendere la strada del servizio, che è la strada della condiscendenza, della condivisione, del coinvolgimento in presa diretta nella vita dei poveri. È una strada difficile perché attraversa le tentazioni subdole della delega: stipendiare i “lavapiedi” perché ci evitino la scomodità di certi umili servizi. Però è l’unica strada che ci porta alle sergenti della nostra regalità. E l’unica porta che ci introduce nella casa della credibilità perpetua è la “porta del servizio”.


Doveri di grembiule

Possono sintetizzarsi in tre parole chiave:


Condivisione

Condividere, intanto, la ricchezza di noi singoli con gli “ultimi”. Occorre sorvegliarsi sulle spese, controllare il denaro che entra, stabilire quale proporzione dei propri soldi dare ai poveri, sperimentare tentativi di convivenza e di cassa comune. È necessario bloccare la frenesia dell’accumulo, rendere fruibili i nostri beni inutilizzati, aprire il guardaroba chiuso, affittare le campagne incolte,