Incarnazione (Omelia)
Incarnazione (Omelia)
La frase “venne ad abitare in mezzo a noi”, che si trova in tutte le versioni in italiano, non è affatto fedele. Dovrebbe essere tradotta con la letterale e ben più viva espressione “e mise la sua tenda in mezzo a noi”, che meglio fa riferimento alla reale, “umanissima” incarnazione di Dio.
Venne fra la sua gente
Il Signore è venuto, è qui in mezzo a noi! Maria, tu che veramente hai saputo accoglierlo, aiutaci a non restare chiusi nell’indifferenza, nella realizzazione dei nostri piccoli progetti, nel quieto vivere…, ma insegnaci ad aprirci, a far posto, senza timori, a Lui che rinnova e dona significato, gioia, pienezza, sapore al nostro vivere.
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.”(Mt. 11, 17). Tu ci inviti a lasciarci coinvolgere, a metterci in gioco, secondo la tua parola: fa’ che accogliamo la proposta di quest’anno giubilare appena iniziato perché sia un tempo di “grazia” per una conversione interiore, profonda, e vissuta personalmente oltre che nelle celebrazioni, nei pellegrinaggi… Aiutaci, perché possiamo essere veramente Chiesa e concretizzare il nostro impegno verso i poveri, i deboli, gli ultimi. “È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori.” (Mt. 11, 19). Aiutaci, Signore, a non giudicare in base al parere comune o ai criteri del mondo d’oggi, dei benpensanti e neppure secondo i nostri schemi e le nostre aspettative, ma a riconoscere i tuoi testimoni al di là delle apparenze. Spirito Santo, donaci la sapienza del cuore.
Il Natale... ci ha parlato del Dio che si è fatto vicino, si è “fatto carne”, si è fatto come me: più vicino di così! e della gioia, della speranza, della fiducia nuova che il celebrare la sua venuta ci ha portato. È l’Emmanuele: il Dio con noi. È la gioia che dovremmo provare – alla fine, certo, sarà più forte – ponendoci di fronte al nostro Dio in questo tempo di preghiera. Anche noi, come i magi, ci prostriamo ed adoriamo: è il Signore; colui che i cieli non possono contenere (cfr.1Re 8,27) è qui, pronto ad incontrarmi, ad ascoltarmi… Posso essere in una chiesa, davanti a Gesù eucaristia: la massima espressione della sua presenza; oppure nel silenzio della mia casa… è sempre lo stesso Dio che già mi è venuto incontro, che mi chiama a vivere la comunione con lui: “Ecco: sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.” (Ap 3,20). Noi gli abbiamo aperto: abbiamo staccato un momento dal ritmo della nostra giornata, per aprirci a lui, alla sua presenza, alla sua luce, al suo calore… Mi raccolgo nel silenzio, nella pace…se mi metto veramente alla sua presenza, davanti a lui, per lui, tutto un po’ alla volta si quieta, diviene pace… Ricorda l’episodio (Mt8,23-27) dei discepoli che attraversano di sera il lago di Tiberiade e si imbattono in una improvvisa burrasca… anche la mia vita, molte volte, sembra il mare in burrasca… tutta agitazione… una corsa a fare, fare, con l’impressione di essere in ritardo, di avere ancora qualcosa da fare… affanno, ansia… E Gesù sulla barca dormiva. I discepoli si sentono soli – anche se Gesù è lì con loro – in balìa delle onde, incapaci a tenere dritta la barca… quante volte anche noi ci sentiamo soli ad affrontare il ritmo della vita, quasi che la nostra vita dipenda da noi, mentre è solo Dio il Signore della storia e della mia vita. Si rivolgono a lui, disperati – hanno almeno la presenza di spirito di rivolgersi a Gesù – e Gesù si alza e mare, vento e burrasca si placano, riconoscendo in lui il Signore… “uomini di poca fede”. Anche noi entriamo nella pace di Gesù: lasciamo tutto il resto e fissiamo il nostro sguardo, il nostro cuore su di lui in questo tempo di preghiera, perché la nostra poca fede possa trovare nuovo vigore ai suoi piedi. Anche noi, come i magi, ci prostriamo ed adoriamo il Signore; essi lo hanno adorato nel mistero di quel bambino piccolo, povero, indifeso; noi nel mistero di un pezzo di pane o nel mistero altrettanto oscuro della sua presenza nella nostra vita. Pensiamo all’atteggiamento di Maria di fronte all’angelo; di Maria che adora nel figlio che ha tra le braccia il figlio benedetto di Dio Padre… “Accetta, Signore, la nostra preghiera silenziosa e adorante perché in questo giorno vogliamo farla con le labbra ed il cuore di Maria, tua Madre, che a lungo e nel silenzio ha contemplato il tuo volto ed ha ascoltato per prima le tue parole… Ti ringraziamo, Signore, per la tua persona che si è fatta Parola, per il tuo Spirito che prega in noi, per le poche e tante cose che ci hai detto dalla tua mangiatoia di Betlemme con il tuo silenzio… Aiutaci per un momento a far tacere le nostre preoccupazioni immediate … E tu, Maria, che ripensavi nel tuo cuore le parole e i fatti di Gesù, fa’ che ti imitiamo con semplicità, con tranquillità, con pace. Togli da noi ogni ansia, preoccupazione e sforzo e rendici ascoltatori della Parola”.
Ma i suoi non l’hanno accolto
Il mistero del Natale ci parla di accoglienza. Dio accoglie l’uomo (= è attento, disponibile) e si lascia accogliere da lui; e poi ci siamo noi uomini: c’è Maria che acccoglie (“ecco la serva del Signore: Dio faccia di me come hai detto”); c’è Giuseppe (“fece come gli aveva ordinato l’angelo); ci sono i pastori ed i magi; c’è Elisabetta (riconosce la Madre del suo Signore perché il bambino le ha sussultato in grembo); c’è Erode, i sommi sacerdoti e gli scribi; e c’è il popolo: “… non c’era posto per loro …” (Lc 2,7); “venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” .(Gv 1,11) Dunque è Dio che ci accoglie per primo e ci rende capaci di accoglierlo a nostra volta: “fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!” (1Cor 1,9). Dio è fedele e realizzerà tutto questo. Accogliere Dio significa riconoscere che egli vuole entrare in una relazione di comunione con me, diventare un “tu” per me: egli è Emmanuele, Dio-con-noi. E tale comunione si realizza nell’obbedienza della fede, come fa Maria che “serbava tutte queste cose nel suo cuore.” (Lc 2,51), che, attenta alle “sorprese di Dio”, è pronta a lasciarsi costruire da lui nell’obbedienza attiva della fede ed esulta nella gioia perché “grandi cose” ha fatto in lei Colui che è potente. Accogliere Dio nella mia vita significa riconoscere e accettare che egli abbia un piano di amore su di me, vivere sentendomi in mani paterne (“siamo nella mani di Dio, siamo in buone mani”, dice Murialdo), cercando la sua volontà, come Maria (“quello che Dio vuole, come Dio vuole, perché Dio vuole”: è ancora Murialdo), nella pace di chi sa che “tutto Dio fa cooperare al bene di coloro che lo amano”. (Rom 8,28). Adoriamo questa presenza che mi crea momento per momento, adoriamo questo amore di cui è intrisa la mia vita.
È uno sguardo d’amore quello di Dio sulla mia vita, è uno sguardo che mi penetra con tenerezza, illumina, riscalda…
Accogliere Dio ci rende capaci di aprirci ad accogliere gli altri: la gioia di sentirci accolti da Dio ci rende pronti ad aprirci agli altri. Guardiamo ancora a Maria: ha appena accolto nella fede del suo cuore e nel suo grembo il figlio di Dio che subito si mette “in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. (Lc 1,39). Ha sentito che Elisabetta “aveva bisogno”, ed ella si mette a disposizione, senza badare a fatiche. Quale cammino di conversione dobbiamo ancora compiere in questo! Quanto bisogno di accoglienza c’è oggi nel mondo! Quanta solitudine, perché la vita frenetica ci rende difficile accorgerci degli altri, di chi ha bisogno di un po’ di attenzione, di un po’ di considerazione, di un po’ di tempo, di un sorriso… a cominciare da quelli di casa… fino a quelli vicini e lontani che sentono il peso della nostra emarginazione. Dio ci accoglie, tutti, personalmente: diamo concretezza alla voglia di accoglienza di Dio.
Gesù, l’escluso dalle nostre case
1.”Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto”. Sono parole di una tristezza infinita: i “suoi” di ieri non lo accolsero, ma anche i “suoi” di oggi seguitano a non accoglierlo, anzi hanno finito spesso per sacralizzare cose che non hanno niente a che vedere con il Natale, dimenticando il Festeggiato. Si pensi a cosa è ridotto oggi il Natale festaiolo e consumista...
E così succede che per i piccoli il Natale è solo Babbo Natale, che deve portare una lunga lista di regali. Questa perdita graduale di identità cristiana è grave, e la Chiesa fa fatica a remare in senso contrario. Anch’essa infatti sta correndo il rischio di adagiarsi sulle banalità dei luoghi comuni. Parliamo infatti, anche noi cristiani, sempre più spesso di pace paciosa e di bontà buonista e di gioia caramellosa, dimenticando che solo Cristo è la nostra vera pace e la misura di essa, solo Cristo è il nostro vero bene anche sociale, solo Cristo è la nostra gioia che non esclude peraltro né fatica né croce. Non vi sembra che a furia di scimmiottare costumi d’altri popoli stiamo vendendo l’anima alla banalità? È tempo perciò di fortezza per reagire e ritrovare la coerenza, la fedeltà, l’entusiasmo del nostro essere e vivere da cristiani in questo tempo. Non intendo demonizzarlo questo tempo, o accusarlo più di tanto, o prenderlo a pretesto per piangerci addosso: è il “nostro” tempo, con le sue incredibili opportunità e le sue tante contraddizioni. “Per l’uomo forte, - diceva santa Caterina da Siena -, felicità e infelicità sono come la sua mano destra e sinistra; l’uomo forte si serve di entrambe”. Possono effettivamente interagire, come suggeriva Péguy: nel Natale è Dio che “ha messo nelle nostre deboli mani la sua speranza eterna. E noi peccatori allora non metteremo la nostra debole speranza nelle sue mani eterne?”. I suoi non l’hanno accolto, dice il Vangelo; noi però vogliamo accoglierlo rinnovando per l’occasione la nostra vita, riscaldandola di passione per Gesù, colui che può dare compimento alle nostre attese e alle nostre speranze. Il profeta Isaia ci indica la via di questo rinnovamento interiore, che abbiamo perseguito molto seriamente nell’anno giubilare: “Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova”, ma anche - oggi - la causa dell’immigrato, delle schiave del sesso, dei malati mentali e così via. Gesù non deve essere, proprio Lui, l’escluso o l’emarginato o l’ignorato delle nostre case, perché Lui è la Via, la Verità, la Vita. Il cristiano non ha miti e feticci cui inchinarsi; attraverso Cristo, che lo ha liberato da tutte le schiavitù a cominciare da quella mortifera del peccato, egli è un uomo libero, che canta ogni giorno la sua libertà.
“A quanti l’hanno accolto, - ci ripete l’evangelista Giovanni -, egli ha dato potere di diventare figli di Dio”. Per questo san Leone Magno gridava ai cristiani del suo tempo, nonostante fossero afflitti da grandi sventure: “Agnosce, christiane, dignitatem tuam”: riconosci, cristiano, la tua grande dignità, e non volerla avvilire con il peccato, e soprattutto non volerti arrendere dinanzi alle difficoltà.
2. Proprio perché il Festeggiato è il principe della pace, anzi la Pace stessa, Colui che di più popoli fa un solo popolo con nuovo vincolo di fraternità, dobbiamo farci strumenti della sua pace. Dobbiamo farlo nelle nostre case, dove le famiglie si rompono con tanta facilità e i figli soffrono; nelle nostre chiese, dove talvolta i laici continuano a sentirsi ai margini; con i nostri giovani, che vivono tra la nostalgia di un Dio che non conoscono e la prepotenza degli istinti malvagi che li circuiscono senza requie.
Ma fremiti guerreschi, o almeno di tensioni sopra le righe, che sfociano di nuovo in attentati omicidi come a Roma, stanno anche dentro la nostra società, ove i toni della contesa si vanno facendo aspri e violenti, mettendo la morale sotto i piedi e dimenticando la suprema legge del bene comune. C’è troppa esacerbazione di animi e troppa violenza verbale a causa di irrigidimenti di parte che impediscono di capirsi e di capire. Si sentono anche, sempre più frequentemente, parole insane sull’accoglienza degli immigrati, che spesso giungono tra noi per fame o per fuga dinanzi alle persecuzioni; o sulla sorte di tante schiave del sesso, spesso minorenni e addirittura disabili, che vengono trattate peggio delle bestie del circo.
Rumori poderosi di guerra poi continuano a giungerci da tante aree del nostro pianeta: da paesi oppressi dal fondamentalismo islamico (Molucche, Indonesia, Sudan...), da rivendicazioni separatiste (Baschi, Irlandesi del Nord), da feroci lotte tribali (in molte regioni dell’Africa) per arraffare soldi e potere, e soprattutto, - più vicine a noi -, dalla polveriera del Kosovo, ove si trovano volontari della nostra diocesi in servizio di pace, - ai quali mando un cordiale saluto -, alla terra di Gesù, la Palestina, dove non si riesce a trovare un accordo decente a causa dell’idolatria della terra. Sia pace tra noi e nelle plaghe del mondo dove regna la violenza!
3. La Parola di Dio, che ci è stata data come dono in Gesù, ci consenta infine di vivere ogni parola anche umana come dono. Penso all’importanza del dialogo sincero per capirsi, per smussare le asperità, per comunicare la speranza e la gioia della fraternità. È anche dialogo ecumenico, dialogo interreligioso, dialogo interculturale tra credenti e non credenti, tra cattolici e laici. Quando il cristiano dialoga sa che tra le due parti c’è sempre il Logos di Dio, la Parola che ci è stata donata in Gesù: e quel Logos si fa luce di Verità e dà forza a ogni tentativo di riconciliazione e di pace. Non possiamo vivere bene il nostro Natale senza l’accoglienza mite e serena di questo inatteso dono della Parola di Dio fatta carne in Gesù: è Lui la Parola che ci giudica e ci salva nella misura in cui l’accogliamo nella nostra casa. Anche noi, come i cristiani dei primi secoli, gli gridiamo: Maranathà: vieni, Signore Gesù!
L’Arcivescovo di Bologna, Card. Giacomo Biffi, disse argutamente: ‘A Natale tutti fanno festa, ma pochi sanno chi è il Festeggiato’. È verissimo! Per molti il Natale è una festa mondana, per altri è una festa umana, per altri ancora, per fortuna, è una festa cristiana. Il 25 dicembre si festeggia infatti la nascita terrena di Gesù Cristo, Figlio di Dio, nato da Maria Vergine. San Paolo nella Lettera agli Ebrei (2 Lettura) ci ha ricordato che ‘Dio aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai Padri per mezzo dei Profeti, ultimamente in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo’. E il Profeta Isaia (1 Lettura), ci invita alla gioia:’ Prorompete insieme in canti di gioia, rovine di Gerusalemme, perchè il Signore ha consolato il suo popolo, ha riscattato Gerusalemme. Il nome di questa Città però, Gerusalemme, insieme a quello di Betlemme, questa notte ci rendono pensosi e un po’ tristi perchè sappiamo che là non solo manca la gioia, ma domina la guerra e l’odio. Anche se verranno celebrate regolarmente le funzioni sacre nella Basilica della Natività, sappiamo che si svolgeranno in un clima di tensione e di paura. Pertanto la prima preghiera che eleviamo a Gesù Bambino in questa Santa Notte è che il Signore torni di nuovo ‘a consolare il suo popolo e a riscattare Gerusalemme’.
Il Verbo si fece carne
Ma vediamo di saperne di più sul ‘Festeggiato’ di questa Notte, della giornata di domani e di tutto il periodo natalizio. Ce ne parla San Giovanni, nel Prologo del Suo Vangelo (3 Lettura). Il Festeggiato è il ‘Verbo di Dio’, cioè la ‘Parola’ che è servita a Dio per esprimere tutto Sè stesso e per rivelarsi compiutamente agli uomini. Il Verbo, continua San Giovanni, è il ‘Creatore di tutte le cose, è la ‘Luce e la Vita degli uomini’. D’ora innanzi coloro che desiderano conoscere Dio, devono conoscere Gesù Cristo, coloro che desiderano amare Dio, devono amare Gesù Cristo, coloro che vogliono servire Dio, devono servire Gesù Cristo. Da questa Notte, Gesù diventa il centro dell’universo, il cuore del mondo, il Dio fatto Uomo, l’Emmanuele, il Salvatore degli uomini.
Il rifiuto di Cristo, Luce e Vita
“Il Verbo era la luce e la vita degli uomini. La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta... Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto’. È il mistero del rifiuto di Cristo, rifiuto reso possibile dalla libertà dell’uomo. È una sottolineatura dolorosa, ma che risponde a verità. Pensiamo ai nostri Amici e Fratelli maggiori Ebrei, che non hanno ancora riconosciuto in Gesù il Messia promesso dalle Scritture. Pensiamo a quella parte di umanità che liberamente e consapevolmente rifiuta di riconoscere in Gesù il Salvatore. Pensiamo alla nostra stessa Comunità, alle nostre famiglie, agli amici che sono lontani dalla fede e non si pongono minimamente il problema della salvezza eterna. Potremmo pensare anche a noi, a ciascuno di noi, e domandarci se finora abbiamo accolto realmente il Signore Gesù nella nostra vita e se dopo averlo perso qualche volta commettendo il peccato, lo abbiamo recuperato prontamente, aprendogli le porte del cuore.
L’accoglienza di Cristo
Se c’è una parte degli uomini che rifiuta Cristo, c’è però fortunatamente un’altra parte che Lo accoglie. San Giovanni nel Prologo continua: ‘A quanti però l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio; a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, nè da volere di carne, nè da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati’. In Gesù siamo diventati figli di Dio, ‘figli nel Figlio’, con diritto alla sua eredità. Che grande giorno è il Natale di Gesù per i credenti. Nella preghiera del Prefazio della Messa sentiremo dire: ‘Oggi celebriamo il natale del Salvatore e il natale della nostra salvezza. Oggi, in Cristo, tuo Figlio, anche il mondo rinasce, al peccatore è rimesso il peccato, al mortale è promessa la vita’.
Il fatto dell’Incarnazione
San Giovanni conclude la narrazione così: ‘Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità’. Da 2000 anni Dio è con noi e lo sarà per sempre. Veramente il Natale del Signore è un evento di speranza, di fiducia e di gioia per il mondo intero! (Omelia di Fra Lorenzo, monaco sacerdote).