Inculturazione, non uniformità


 

Inculturazione, non uniformità


La tecnologia attuale ci permette contatti veloci e scambi vitali con tutti i Paesi e gli uomini del mondo. Le barriere geografiche e fisiche che dividevano i popoli sono crollate e il mondo è divenuto sempre di più un grande villaggio, un “villaggio planetario”. Viviamo nell’era della globalizzazione culturale, economica e politica, con nuove sfide e proposte.


Questo fatto può offrire ai cristiani impegnati nella diffusione del Regno di Dio una grande opportunità. L’unità del mondo allora conosciuto, attuata dall’Impero romano nel primo e secondo secolo, facilitò infatti la propagazione del cristianesimo. Quindi la globalizzazione deve essere vista, alla soglia del terzo millennio, come qualcosa di provvidenziale, come un appello ai cristiani perché siano “cattolici”, cioè secondo l’etimologia della parola, che vivano “secondo il tutto”.


L’approccio culturale


Mediante la televisione e Internet le informazioni mondiali, con i loro contenuti di sofferenza e d’allegria, sono alla portata di tutti. Insieme alle immagini di guerre, terremoti, alluvioni, arrivano fino a noi l’arte, i costumi, le manifestazioni culturali e religiose di tutti i popoli. È pure possibile seguire i viaggi del Papa in tutti i continenti e assistere agli avvenimenti che hanno luogo a Roma, con la partecipazione di cristiani provenienti da tutto il mondo.


In questo contesto è più facile che i cristiani escano dai confini della loro parrocchia, diocesi, o nazione nelle quali molte volte stanno rinchiusi, per vivere una universalità della fede e sentirsi membri d’una grande famiglia con mille milioni di fratelli. È più facile anche superare lo scoraggiamento di fronte agli ostacoli e recuperare l’entusiasmo davanti allo sconforto di certi credenti che ci stanno accanto e che hanno abbandonato la fede. Se accanto a noi cadono delle foglie secche, altrove germogliano foglie nuove e piene di vita.


Frattanto la cattolicità continua sulle vie dello sviluppo. La globalizzazione culturale ci permette di entrare in contatto con le realtà spirituali d’un mondo in gran parte ancora cristiano o postcristiano. Dovrebbe sorgere intanto più forte l’impegno per una nuova evangelizzazione e la volontà decisa di utilizzare gli straordinari mezzi di comunicazione sociale attuali perché, come dice San Paolo, «la Parola di Dio si diffonda e sia glorificata».


Andate per tutto il mondo”


L’aspetto più visibile e rilevante della globalizzazione è quello economico. Le multinazionali hanno stabilito imprese ovunque, i mercati finanziari sono in frenetica mutazione. I principi che li guidano sono due: nel mondo attuale, un problema posto in termini particolari non può avere una soluzione; un’economia chiusa è condannata al fallimento.


Questi principi devono essere applicati anche all’attività pastorale. I sinodi intercontinentali d’Africa, d’America e d’Asia celebrati negli ultimi tre anni e i pellegrinaggi del prossimo Giubileo si inseriscono in questo contesto. A una parrocchia o diocesi chiusa nei suoi problemi viene meno la possibilità di rinnovarsi e difficilmente potrà prosperare. Le “porte aperte” alle necessità della Chiesa universale sono il mezzo più efficace per uscire da determinati ristagni. «La fede si fortifica donandola», ricorda Giovanni Paolo II. Come i capitali finanziari, anche i beni spirituali devono circolare, se non vogliamo che si estinguano.


Questo si raggiunge vivendo più intensamente la comunione dei Santi, nello stile di Santa Teresina del Bambino Gesù, e stabilendo un’interazione con comunità disseminate per il mondo. Le grandi congregazioni religiose, alcuni nuovi movimenti, possono essere considerati come multinazionali della Chiesa. Alcune parrocchie e diocesi operano come piccole e medie imprese, con lo stesso spirito. In questo clima è più facile che ogni cristiano capisca ciò che ha affermato Pio XII: «Le prospettive universali della fede sono prospettive normali della vita cristiana».


Altro aspetto caratteristico della mondializzazione è la facilità che ci viene offerta di viaggiare e spostarci in tutte le parti del mondo. È vero: nel villaggio globale perfino ciò che sembra più lontano, entra con tutta naturalezza dentro le nostre case, e le comunicazioni più facili risvegliano, oggi più che mai, il desiderio di prendere contatto diretto e vivo con la realtà di altri Paesi e continenti.


La globalizzazione ha superato i confini geografici: coreani, giapponesi, arabi non cristiani, si incontrano in numero sempre maggiore in Paesi tradizionalmente cristiani, particolarmente in Europa. Alcuni, intanto, hanno inco­minciato a pensare che non è più necessario partire ad gentes. Resta, tuttavia, da sperare che non manchino cristiani disposti a obbedire alle parole di Gesù: «Andate per tutto il mondo e annunciate la Buona Notizia».


Inculturazione, non uniformità

La globalizzazione, insieme con aspetti positivi, presenta anche dei rischi. Già è stata definita come «un cammino, senza ritorno, verso un mondo uniforme e disumanizzato». In realtà le grandi multinazionali distribuiscono in tutto il mondo gli stessi prodotti, gli stessi film, gli stessi libri. I signori delle grandi reti di comunicazione diffondono le stesse immagini.


Le nazioni che posseggono più potere economico e culturale dominano e a volte annullano le economie e culture più deboli. Si sta verificando un appiattimento a tutti i livelli, un’omologazione crescente e un’intensa massificazione. Si smarriscono i valori tradizionali e si attenta alle identità nazionali, culturali e religiose, in cerca d’un sincretismo in cui non esiste nessun valore assoluto, poiché tutto è vero e tutto è buono. Come reazioni sorgono i separatismi, le ribellioni e i fondamentalismi.


Anche la Chiesa corre il grande pericolo di intendere la sua cattolicità come un’uniformità assoluta. L’unità nella fede, tuttavia, non deve significare l’adozione d’una stessa lingua o d’uno stesso sistema filosofico per spiegare i dogmi cristiani. Come nel giorno di Pentecoste, tutti devono poter ricevere e comprendere la fede nella propria cultura, “nel suo proprio linguaggio”.


L’inculturazione ha facilitato la rapida diffusione del Vangelo nel mondo romano, e la sua mancanza provocò il rigetto del cristianesimo nel mondo asiatico e gli scismi in Occidente. La Chiesa riprende oggi con maggiore determinazione il cammino d’inculturazione per essere fedele alla sua cattolicità, che esige l’avvaloramento di tutti gli autentici valori umani e il rispetto della ricchezza culturale d’ogni popolo.


La globalizzazione, come abbiamo visto, era ed è uno stimolo per i cristiani affinché siano più universali nel loro modo di pensare e di agire. Una Chiesa più inculturata e, di conseguenza, più cattolica, ricorda ai protagonisti del mondo globale la necessità di salvaguardare l’identità culturale d’ogni popolo: potrà quindi contribuire, riempiendo il vuoto creato dal relativismo dottrinale e morale, a dare “un cuore” alla società globale (Walter Gardini, Inculturazione, non uniformità, “Popoli”, giugno-luglio 1999, pp. 12-13).