Integrazione (Tra) e intolleranza


 

Integrazione (Tra) e intolleranza

Di recente, partecipando ad una tavola rotonda a Torino sul rapporto della città con i musulmani, sono stato pregato da una signora musulmana tutta velata, una marocchina che da anni vive in Italia, d’intervenire presso le autorità in favore dei bambini musulmani delle scuole. Siccome dovevo cenare con i politici, le ho promesso di parlare con alcuni di loro della faccenda della carne di maiale. Mi rispose che non si trattava di questo; il problema era già stato risolto. «Il problema è la carne di manzo: non è halâl!» Chiedeva di fornire a tutte le scuole carne macellata secondo le regole islamiche.

Ho ribadito che il Corano è esplicito: «Oggi vi sono permesse le cose buone, e vi è lecito anche il cibo della gente della Scrittura, e il vostro cibo è lecito a loro», recita la sura della Tavola imbandita (Corano 5, 5). La «gente della Scrittura» è l’espressione coranica per indicare ebrei e cristiani. Il testo è dunque esplicito; tutta la tradizione musulmana ha sempre autorizzato a condividere il cibo con gli ebrei e i cristiani. Ma la signora ha ribadito il fatto che quel cibo non era halâl (lecito), perché macellato non secondo il metodo islamico.

Allora si è aggiunta una signora italiana che era stata alunna di quella donna per la lingua araba. Chiacchierando a tre, ho appreso che la signora marocchina era tornata da poco dal pellegrinaggio alla Mecca. Da allora aveva deciso di portare il velo e aveva cominciato la sua propaganda per il cibo halâl. Lo chiedeva con insistenza in nome della tolleranza religiosa.

La signora di professione è mediatrice culturale nelle scuole. Il fatto mi ha colpito. Mi sono chiesto quale sia la funzione della mediatrice culturale e come vengano scelte queste figure. Da chi conosce la materia, mi è stato spiegato che sono scelte di solito tra le musulmane per poter trasmettere i bisogni della comunità d’appartenenza. È un aspetto non trascurabile. Un altro, però, mi sembra ancora più importante: quello d’aiutare la comunità musulmana ad integrarsi nella comunità italiana e cristiana. Il mediatore, infatti, deve essere un ponte tra due mondi, due culture, due tradizioni religiose. Se il mediatore o la mediatrice non è capace di fare il doppio passaggio, a che serve?

E poi, che significa «tolleranza religiosa». Non mi sembra che lo Stato debba «tollerare» tendenze «intolleranti» come quella segnalata sopra in flagrante contraddizione con il testo coranico. Perché, se si va di questo passo, si potrebbe arrivare a costituire delle comunità che non riescono più a comunicare tra di loro, non potendo mai mangiare insieme, né andare al mare o in piscina insieme, né fare sport insieme, ecc. Un domani potrebbero anche chiedere che non ci siano scuole miste o corsi misti all’università, come avviene in alcuni Paesi musulmani.

L’Italia, e più generalmente l’Europa, ha la sua cultura, la quale è basata su una lunga tradizione. Chi viene a vivere in Europa, lo sa. E se fa questa scelta lo fa conscio dello scontro possibile tra le culture. È ovvio che deve essere pronto ad integrare il massimo di questa cultura che gli è estranea, e non viceversa. Come dice un importante sociologo e politologo musulmano siro-tedesco, Bassam Tibim, esiste una «cultura guida» (die Leitkultur) che deve servire per tutti, ed esistono altre culture che vengono ad arricchire la cultura-guida.

Questa dinamica non vale solo per i musulmani. Per me che sono arabo (e cristiano per grazia divina), l’incontro-scontro con la cultura occidentale è stato fonte di arricchimento e talvolta di sofferenza. Ma quando mai c’è arricchimento senza sofferenza e senza rinunce?

Chi emigra ha già accettato il principio dello sradicamento: se non lo vuole o non ne è capace, meglio non emigrare. È la regola del gioco, che è portatrice di grandi progressi insieme a sofferenze. E questo gioco si gioca in due: immigrato e autoctono. Tocca all’immigrato essere desideroso d’integrarsi nella cultura del Paese di accoglienza, e tocca a chi accoglie essere fiero della cultura che offre per essere capace di farla apprezzare. Non c’è forse troppo scetticismo sulla propria cultura e identità da parte di chi accoglie?

È essenziale che ci siano dei mediatori capaci di far capire l’essenza della cultura europea, come di capire i motivi delle resistenze ad essa. L’ideale sarebbe avere un’istituzione che prepari a questo mestiere, a questa vocazione (Samir Khalil Samir, Tra integrazione e intolleranza, “Mondo e Missione”, 7, Agosto-settembre 2003).