Intercultura


 

Intercultura


Il bene comune domanda anche che si mettano in atto iniziative orientate ad affrontare i problemi posti dalla società interculturale, verso cui il nostro Paese si sta ormai avviando. In primo luogo è da richiamarsi la responsabilità dei luoghi e delle forze educative, che devono proporre e aiutare la comprensione delle differenze, passando dalla “cultura dell’indifferenza” alla “cultura della differenza”, e da questa alla “convivialità delle differenze”, senza per questo sfociare in forme di eclettismo nei riguardi della verità o di indifferenza di fronte ai valori della vita.


Quest’opera di promozione educativa deve essere sostenuta da tutti e deve essere accompagnata non solo dai singoli o dai gruppi, ma anche dall’organizzazione giuridica della società e dai suoi comportamenti. Pertanto, anche sul piano legislativo bisogna che si passi da un approccio che tiene presenti soltanto le esigenze monoculturali ad un altro aperto a logiche più ampie di tipo interculturale.


In questa logica di apertura si inserisce quella “cultura della nazione” di cui parla l’enciclica Centesimus annus e che consiste nell’impegno di essere fedeli alla propria identità, ossia a quel patrimonio di valori tramandati e acquisiti che costituiscono il tessuto culturale di un popolo. Essa però consiste anche nella ricerca continua e a tutto campo della verità, e quindi nel “rendere quei valori più vivi, attuali e personali, discernendo ciò che nella tradizione è valido da falsità ed errori o da forme invecchiate, che possono essere sostituite da altre più adeguate ai tempi. In questo contesto, conviene ricordare che anche l’evangelizzazione si inserisce nella cultura delle nazioni, sostenendola nel suo cammino verso la verità e aiutandola nel lavoro di purificazione e di arricchimento” (n. 50). Possiamo cogliere anche qui lo stretto legame tra il Vangelo e la cultura e il rapporto che nell’educazione dell’uomo esiste tra l’attività pastorale della Chiesa e la normativa giuridica dello Stato (Nota pastorale della Commissione ecclesiale “Giustizia e pace” della CEI Educare alla legalità, 4.10.1991, in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, nn. 3108-3109).


Se certamente numerose e complesse sono le problematiche degli immigrati nell’ambito socio-politico, è però inarrestabile e irreversibile il cammino verso società interetniche e interculturali. Per questo, il processo di integrazione dovrà svilupparsi al di là di qualche semplice accomodamento e puntare su di un inserimento, che non farà perdere ai diversi gruppi etnici la propria identità e li arricchirà mediante un più convinto scambio culturale. Se non si vuole che l’integrazione si risolva in un adattamento forzato del più debole a un sistema che tende ad assorbirlo o a emarginarlo, essa deve coinvolgere in modo particolare la società che ospita gli immigrati.


L’integrazione presuppone la disponibilità reciproca alla comprensione delle diversità. Nessuno può pretendere di restare come se l’incontro non fosse avvenuto, tanto meno può rimanere imprigionato nel pregiudizio presuntuoso di essere superiore all’altro. Il concetto di subalternità, il complesso cioè di superiorità da una parte e di inferiorità dall’altra, potrà essere superato solo nella misura in cui crescerà la convinzione che tutti, senza alcuna discriminazione, possono e devono cooperare al bene comune e allo sviluppo del Paese (Orientamenti pastorali della Commissione ecclesiale per le migrazioni della CEI Ero forestiero e mi avete ospitato, 4.10.1993, in Enchiridion della Chiesa per le migrazioni, n. 3168).