Mensa condivisa
Mi è stato chiesto di scrivere su «la cosa più importante» prima del prossimo millennio. Guardando al mondo attuale, è come essere alla mensa «del ricco Epulone e del povero Lazzaro».
Allora, ciò che dobbiamo fare è «rovesciare la storia» e «sederci all’altra mensa», come voleva Gesù.
La cosa più importante è quindi «la mensa condivisa».Detto questo, aggiungo due cose che mi sembrano essenziali. Secondo quanto abbiamo detto, il nostro mondo è dualistico nel senso di dialettico e conflittuale, antagonistico e duellante. Vanno dette «due cose»: una al Nord e l’altra al Sud, due realtà che non sono solo primariamente geografiche, ma storiche e teologiche.
E sono, soprattutto, realtà che generano peccato (più al nord che al sud), e grazia (più nel sud che nel nord).Visto da El Salvador, il Nord, i paesi nell’abbondanza, le democrazie industriali, o come le si voglia chiamare, offre un’immagine insultante nei confronti del terzo mondo. «Un cittadino degli Stati Uniti vale quanto 50 haitiani», dice Mario Benedetti. E si domanda, per scuotere una coscienza, a quanto pare impermeabile, «che cosa avverrebbe se un haitiano valesse quanto 50 statunitensi?».
Questa abissale e aberrante differenza non è casuale ma, fondamentalmente, è il prodotto dell’oppressione, di un processo di saccheggio del terzo mondo, che cominciò, seriamente, con l’arrivo in America degli europei. Un secolo fa, a Berlino, sempre le potenze europee si spartirono l’Africa. E nel 1997, al vertice dei G-7 a Denver, i governi delle grandi potenze, specialmente Stati Uniti e Francia, hanno concordato una politica comune per continuare con questo saccheggio del continente africano.Tutto questo resta praticamente ai margini della coscienza collettiva del Nord, benché a volte si ascoltino parole forti, come queste di Giovanni Paolo II in Canada ne1 1985: «Nel giorno del giudizio i popoli del Sud giudicheranno quelli del Nord».
Ma tutto sembra andare avanti come se niente fosse e per questo parliamo dell’imperiosa necessità di «svegliarsi». Paradossalmente, nel Nord è stata molto importante l’esigenza kantiana di «svegliarsi dal sonno dogmatico», perché la scienza e la democrazia fossero possibili. Però, questo stesso Nord non ha dato ascolto all’esigenza espressa da Antonio Montesinos in “La spagnola”, nel 1511, di svegliarsi da un altro sonno: «il sonno di crudele disumanità». Nella terza domenica di avvento, davanti ai commissari spagnoli, cominciò la sua omelia con queste parole: «Tutti voi siete in peccato mortale, in esso vivete e in esso morite». La ragione per un’accusa così grave è il maltrattamento e la morte che infliggevano agli indios.
Più importanti, per il nostro tema, sono senza dubbio le parole finali: «Questi, non sono uomini?... Non siete obbligati ad amarli come voi stessi ?... Non lo capite? Come mai siete addormentati così profondamente in sonno che è letargo?». Parole del tutto necessarie anche oggi, ma inascoltate e dimenticate.
Per un cristiano, il Sud, invece, rimanda alla croce, cosìcché può essere bene descritto come «il popolo crocifisso». Se il cristiano si è incontrato seriamente con Cristo crocifisso e con il mistero del servo che si fa carico dei nostri peccati, allora il sud deve essere visto, nel contempo come prodotto delle nostre mani e vittima, così che «per giustizia» dobbiamo toglierlo dalla croce, ma anche come luce, salvezza e perdono, cose tutte che difficilmente si trovano nel nord. Detto con maggior precisione, il primo mondo non è «in linea con il servo» come è il terzo mondo; non lo sono le classi ricche e oppressive come sono le classi oppresse... Con devozione dovremmo guardare al popolo crocifisso del terzo mondo.
Tutto questo viene dal sud per il puro fatto di essere «il popolo crocifisso». Però, oltre a ciò, esso offre un’utopia - che la vita e la dignità siano possibili - quando, nonostante tutto, resta viva la speranza. Parliamo di «conservare » la speranza, perché è precisamente questo - più che le sue materie prime - quello che si vuole strappare. Con questa speranza il sud mostra, soprattutto, che «si può vivere in un altro modo».
Per questo, la sua speranza è la grande minaccia per il nord; per questo si sferra oggi una battaglia perché non la conservi; per questo si vuole imporre una geopolitica di disperazione e di rassegnazione e una coscienza di inevitabilità.Non v’è dubbio che, senza la speranza dei poveri, non c’è salvezza per l’umanità. Il progresso continuerà sostanzialmente ad essere disumano.
La razza umana sopravvivrà bene, molto bene - benché il senso della vita sia minacciato - in alcuni pochi, però, nei più si morirà di fame o di esclusione e nessuna mensa sarà condivisa. Per questo e cruciale «conservare la speranza dei poveri».Forse quanto abbiamo detto pecca di esagerazione o di semplicismo? Se è così, si ammorbidiscano le esagerazioni e si completi quanto detto con «altre» cose importanti. Però non abbiamo dubbi che un mondo di «epuloni e lazzari» è una creazione che non assomiglia molto a Dio.
Per dircelo, egli ci ha inviato suo figlio Gesù, che ha condiviso la mensa con gli emarginati del suo tempo, poveri, donne, peccatori e pubblicani. E, per cambiare, ci ha lasciato forza, vento di uragano, che è il suo Spirito.Una Chiesa che voglia vivere e scuotersi sarà una Chiesa dei poveri.
Così porterà a termine la sua missione storica: l’annuncio del regno di Dio. E sarà aiutata anche nel suo compito di realizzare la sua missione trascendente: rendere presente Dio nel nostro mondo. Da un punto di vista negativo, eviterà che «per causa nostra si bestemmi il nome di Dio tra le nazioni». E, da un punto di vista positivo, sarà la migliore iniziazione (mistagogia) al mistero di Dio, Padre e Madre, bontà e tenerezza, camminando con umiltà, perché camminiamo «nella storia», ma anche con gioia, perché si fa la strada con gli altri «condividendo la mensa» (Jon Sobrino).