Missione


Il concetto di “missione” è uno di quelli che in questi ultimi tempi ha subito una notevole variazione di significato. Nel passato, soprattutto a partire dall’epoca delle grandi scoperta geografiche, esso stava a indicare molto semplicemente l’attività della Chiesa tra i popoli non ancora evangelizzati. 

Da una cristianità europea che a vari titoli si considerava “compiuta”, alcuni missionari partivano verso terre lontane, là dove l’annuncio non era ancora stato proclamato: “Andate in tutto il mondo predicate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Il vasto programma di rinnovamento teologico, partito con l’inizio di questo secolo, ha però prodotto acquisizioni nuove che hanno determinato una diversa e più articolata interpretazione del tema.

La pubblicazione dello scioccante libro dell’abate Godin, France pays de mission, nel 1943, fece capire alle vecchie Chiese che non potevano più contare sui benefìci di una missione conclusa. Al contrario, l’assedio prodotto dalla secolarizzazione esigeva uno sguardo più orientale all’interno nella consapevolezza che, cristiani più per tradizione che per intima convinzione, proprio gli ambienti dai quali partivano i missionari avevano bisogno di una rifondazione. 

Parte da qui un certo spostamento linguistico e l’uso, a volte indiscriminato, del termine “missione” per indicare le diverse espressioni dell’agire ecclesiale, anche quelle che prima rientravano nel semplice ambito della pastorale.La Chiesa e la missione Questa maggiore coscienza interna, unita a un ripensamento di altre categorie teologiche, è anche ciò che ha permesso una riformulazione ecclesiologica del concetto. 

La missione (significativo il prevalere del singolare sul più tradizionale “missioni”) non è stata più vista come una sorta di dovere aggiunto, proprio di una cristianità compiuta, bensì come elemento di autoidentificazione. La Chiesa ha compreso di non essere sé stessa senza essere missionaria. È il risultato più importante raggiunto con la riflessione conciliare, dove l’ad extra e l’ad intra della Chiesa hanno perso il loro carattere estrinseco o giustapposto, correlandosi in un tutt’uno.

L’Ad gentes lo dice in modo esplicito: “La Chiesa, che vive nel tempo, per sua natura è missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il disegno di Dio Padre, deriva la propria origine” (n. 2). Se la precisazione “per sua natura” conferma l’idea che la missione va compresa come elemento integrante della definizione, il richiamo alle missioni trinitario fa trasparire il fondamento teologico, indicando che la missione non va solo vista in obbedienza a un mandato ma è un’esigenza iscritta nell’ontologia ecclesiale. “Deriva”, come scrive Giovanni Paolo II, “dall’esigenza profonda della vita di Dio in noi” (Redemptoris missio, 11). 

La Chiesa, che è segno nel mondo dall’autocomunicazione trinitaria, può esistere solo comunicandosi. Una comprensione adeguata di questi richiami si ottiene penetrando l’ottica complessiva del rinnovamento proposto dal Concilio che è quella di reinterpretare le tradizionali categorie ecclesiologiche in senso dinamico.L’Ad gentes va perciò compresa alla luce della Lumen gentium che parla di una Chiesa “sacramento di salvezza”, “popolo messianico”, o della Gaudium et spes che proclama il carattere solidale della comunità cristiana con il mondo e i suoi problemi. 

Anche dove non appare il termine, dunque, l’elemento di novità resta la congiunzione fra missiologia ed ecclesiologia, in riferimento ai fedeli viene così superata la considerazione statica di un popolo che si accosta alle realtà sacrali, limitandosi al vivere e crescere dei doni della salvezza, alla maniera di un gregge chiuso nel recinto. La Chiesa e le missioni.

È indubitabile che tali riassetti concettuali hanno prodotto una crisi nella tradizionale e meritoria opera missionaria, al punto che ci si è chiesti se vale la pena spendere uomini ed energie per questa impresa. In realtà, più che dal versante ecclesiologico, la crisi proveniva da una diversa memoria degli errori compiuti e dal nuovo rapporto con le altre religioni. Poiché queste ultime non sono state più viste in termini di opposizione bensì di stima e di apprezzamento, per quanto hanno di “vero e santo» (Nostra aetate, 2), nasceva, inevitabilmente, il grande interrogativo sul senso delle missioni. L’Ad gentes ammette che Dio può portare gli uomini alla fede attraverso vie ignote, ma sostiene che «è compito imprescindibile della Chiesa e insieme suo sacrosanto diritto diffondere il Vangelo» (n. 7). 

Questa necessità è ricavata dalia stretta congiunzione fra comunione e missione e dal dovere di corresponsabilizzarsi per la realizzazione del disegno divino. Particolarmente felice appare il richiamo all’idea del disegno per la sua capacità sintetica di esprimere anche i contenuti e gli obiettivi dell’impegno missionario: dall’annuncio cristologico, poiché il Cristo porta a compimento il disegno e il suo nome è l’unico “nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12), alla comunicazione salvifica che, vista in una prospettiva globale come liberazione di tutto l’uomo, costituisce l’essenza del progetto stesso.

La modalità comunitaria del disegno, per cui non è nel piano del Padre salvare gli uomini individualmente e slegati fra loro, è, infine, ciò che spiega e fonda la struttura ecclesiale delle missioni, «la plantatio ecclesiae nei popoli e nei gruppi in cui (la Chiesa) non ha ancora messo le radici» (AG 61). Le missioni, scrive Y. Congar, diventano allora «necessarie di una necessità assoluta e non soltanto relativa, per realizzare il disegno di Dio, il quale non mira soltanto a salvare gli uomini, ma a fare dell’umanità il popolo di Dio, un corpo di Cristo, un tempio dello Spirito, nel quale sia resa a Dio la preghiera di lode che comincia con il Padre nostro» (Ecco la Chiesa che amo, Brescia 1970, 65) (Giovanni Tangorra, Missione necessaria dentro e fuori della Chiesa, “Vita pastorale”, n. 8-9, 2001, p. 95).