Negritudine


Ti ringrazio, mio Dio,
d’avermi creato negro
d’aver fatto di me un groviglio di tutti i dolori.
Il bianco è un colore di circostanza
il nero, il colore di tutti i giorni...
Noi siamo la Notte, siamo il Mistero.
E per noi sono le Stelle.

Conosco le opere dei cantori della”negritudine” più famosi come L. S. Senghor, A. Cesaire, D. Diop, W. Soyinka e così via, legati alla loro Africa, al suo passato di oppressione e di sofferenza. 

Nel volume Sulla spiaggia dei mondi (Cem 1980) m’incontro con la voce di un poeta che non conosco, B. Dadié. I suoi versi sono belli e intensi e ci invitano ad allargare i nostri orizzonti culturali e spirituali, superando le grettezze e le paure di questi tempi, in cui il dialogo e il confronto sono difficili e la tentazione di rinchiudersi in un bunker armato e solitario è forte.Certo, il nero è a prima vista la negazione dei colori: non per nulla da noi è divenuto il segno del lutto e ci parla di morte. La tenebra ci fa paura; la luce e il bianco sono l’emblema della festa, della felicità, delle nascite e delle nozze. 

Eppure - ci ricorda il poeta africano - è il nero il vero colore dei giorni perché sono più le miserie delle gioie, e più spesso il cielo dell’anima è oscuro per preoccupazioni e amarezze. Tuttavia è proprio nel buio che s’accendono le stelle e risplende la luna ed è dal grembo della notte che fiorisce l’alba. Anche noi, perciò, siamo “neri”, pur col candore della nostra pelle; su di noi si stende il sudario oscuro della quotidianità faticosa e pesante. Ma pure per noi sono aperte nel cielo le stelle della speranza e si schiude l’aurora della vita. (Gianfranco Ravasi, Negritudine, “Avvenire”).