Omologazione


Non amo molto parlare di questo argomento, ma, ogni volta ce mi si chiede di farlo, acconsento perché, come giornalista e scrittore, non so sottrarmi al dovere di essere sincero e responsabile sino in fondo. A questo mondo vi sono dei fortunati che pensano, per così dire, sottovento, e altri controvento. 

Io penso controvento e così, quando scrivo su argomenti come questo, sono duramente attaccato dai nazionalisti friulani. Per essi il mio modo di pensare costituisce un peccato originale che non può essere perdonato in alcun modo. Recentemente un signore, che si firma Pieri Pinçan, afferma che tutto il mio lavoro di scrittore non può servire a neutralizzare il mio errore iniziale. Era meglio che io non avessi scritto nulla, o forse che non fossi mai esistito, piuttosto che commettere le mie empietà e i miei tradimenti nei confronti della lingua friulana. Ma quali sono dunque le mie colpe?

V’è in primis quella di ritenere che le lingue e le culture non si possono difendere con le leggi e i decreti. Esse dovrebbero essere difese, secondo me, in modi naturali da coloro che le sentono e ci credono. Fin dagli anni dell’università, ho ritenuto che la lingua fosse una formazione naturale, che obbediva alle leggi di ogni sviluppo. Allora non andavano ancora di moda gli strutturalisti, né nella scienza linguistica né altrove. II maestro era piuttosto Karl Wihelm von Humboldt, che vedo citato anche nell’articolo del professor Gianfranco D’Aronco. Humboldt era un romantico, e le sue concezioni linguistiche sono legate al concetto di libertà, di naturalezza e di innatismo: 

Secondo Humboldt le lingue vanno dove vogliono, non dove desiderano alcuni, che avrebbero la pretesa di addomesticarle e incanalarle. Per me anche l’evoluzione del friulano è un fatto naturale, e non conseguenza di provvedimenti legislativi e o di regolamenti scolastici. C’è un allarme diffuso tra i nazionalisti friulani sul destino del loro linguaggio. Affermano che il friulano viene parlato sempre di meno. In campagna non viene più insegnato ai bambini, che imparano l’italiano approssimativo dei loro genitori, o quello un po’ romanizzato o napoletanizzato della televisione. Ma io sento parlare friulano ancora dappertutto, nei negozi, per le strade, nei bar, nelle osterie, nei cantieri, nelle case, in chiesa. Le tradizioni sono molto dure a morire. 

Secondo me i pericoli maggiori per il friulano sono passati. Essi ci furono allorché v’era nella gente un pregiudizio sociale nei confronti di esso, ossia quando si riteneva che fosse il linguaggio delle classi povere e subalterne. Ciò era vero soltanto in parte, perché in realtà esso era parlato anche dai nobili. Era la borghesia piuttosto che aveva adottato il linguaggio dei veneziani, conquistatori del patriarcato. 

La borghesia aveva davvero voltato le spalle agli interessi culturali della patria, e per essa i commerci e gli affari venivano prima. Essa adotto il linguaggio dei vincitori, per mimetizzarsi con essi e continuare tranquillamente senza danno la propria attività. Così il friulano cominciò a essere abbandonato dalle classi popolari, quando in esse si sviluppò un desiderio piccolo borghese di scalata sociale.Accadde in parte anche nell’epoca prebellica, ma soprattutto nel secondo dopoguerra: un periodo luminoso per alcuni versanti, ma ottuso e plumbeo per altri. Contadini e popolani sognarono allora di allontanarsi dall’antica miseria, di riscattarsi da essa, e si liberarono da tutto ciò che gliela poteva ricordare. 

Così buttarono le cassepanche di legno intagliate e i vecchi secchi di rame lavorati, per comprare oggetti di plastica, moderni ed efficienti. Parallelamente si abbandonava il friulano, sentito come lingua dei poveri, per passare all’italiano convenzionale e privo di mordente della televisione. Ma appena si esaurì il “complesso di liberazione dalla miseria” si arrestò e si stagnò anche il fenomeno di abbandono del friulano.Oggi, anche le persone meno colte in Friuli, sanno che le tradizioni, il friulano, gli antichi oggetti della civiltà contadina, anche quando non servono più, perché soppiantati dalle comodità moderne, rappresentano un fenomeno di bellezza, di cultura e di nobiltà dello spirito. 

Non buttano più nulla, ma tutto conservano con amore e con impegno. La loro cultura è rapidamente mutata, e risentono il fascino e la suggestione dell’antico. Anche la cultura di sinistra è cambiata. Mentre ieri essa considerava i linguaggi locali come forme di cultura subalterna, oggi li sostiene come difesa contro l’appiattimento consumistico e americanizzante. Per ragioni culturali dunque, il friulano è in ripresa rispetto a quarant’anni fa, e i suoi veri nemici oggi sono il consumismo e il gusto omologante di tutte le popolazioni occidentali. 

Oggi vi sono, a livello di massa, due tendenze culturali opposte, spesso malamente intrecciate nella stessa persona: quelle di difendere la tradizione, l’antico, 1’archetipo, il leggendario collettivo, l’immaginario, e quella futuristica di assecondare gli artifici della tecnologia, per le conquiste della produzione, le comodità, gli effetti speciali del cinema e così via, che conducono a costumi e comportamenti simili a tutti i livelli e in tutte le contrade del mondo. Moltissimi, e soprattutto i giovani, subiscono il fascino di questa omologazione perché, scivolando all’interno di essa, risucchiati dalla moda, ne ricavano l’illusione di essere aggiornati, non tagliati fuori dalla storia; ciò accade anche perché il modello viene dagli Sta­ti Uniti, e comunque dalla civiltà anglosassone, in pari tempo troppo odiata e troppo imitata. 

Anche quelli che a parole la odiano, poi nei fatti la imitano, perché nel loro inconscio essa appare la civiltà dei più ricchi, dei padroni del mondo, i più avanzati in tutte 1e tecnologie.Anche in Friuli la civiltà anglosassone è vincente. Chi dà un occhiata alle classifiche, si accorge che i friulani leggono scrittori come King, Grisham, Scott Turow, Clancy, Follet, Smith. Questa tendenza è il vero nemico della cultura friulana e del nostro linguaggio, il nemico da identificare e poi da battere. 

Non certo io, che non ho mai avversato la cultura friulana in alcun modo, e anzi l’ho rappresentata in moltissimi dei suoi aspetti, con libri artigianalmente ben fatti e ricchi di poesia. Uno scrittore legato a tutte le forme della cultura antica, della tradizione, della civiltà locali e naturalmente alleato migliore della cultura friulana. Non affatto vero che io sia un “italiano nato per caso in Friuli” perché scrivo nella lingua di Dante, che sta diventando anch’essa una sorta di dialetto mediterraneo, minacciato e corrotto dall’inglese. 

l friulani che mi attaccano e mi accusano di aver tradito la patria in realtà danneggiano la loro stessa causa, perché la rimpiccioliscono e la banalizzano, nel momento stesso in cui mi rivolgono le accuse ricordate, mostrando di essere friulani integralisti e di non saper distinguere nemmeno un alleato da un traditore. E ciò anche se la mia lingua materna è sempre stata l’italiano e non il friulano, forse per il fatto che appartenevo a una famiglia di maestri elementari. Io ho fatto conoscere il Friuli a milioni di italiani, e convincersi che questo non abbia alcuna importanza significa possedere un concetto molto limitato di cultura. La lingua è certo importantissima, ma non è tutto. Oltre a essa vi sono molte altre componenti che formano una civiltà. Io non so che ne sarà del friulano, anche se, come ho detto, in proposito sono più ottimista di altri. 

Ma se il suo destino è di sparire, come accadde al latino classico o al sanscrito, non saranno le leggi a farlo sopravvivere.Certo, creare un bilinguismo nei luoghi del potere, in occasioni amministrative, politiche, celebrative, scolastiche, naturalmente è possibile, ma bisognerà farlo con molto garbo e molta misura, altrimenti si creeranno situazioni fastidiose e incresciose Penso per esempio alla comicità delle situazioni in cui fui invitato a parlare in stazioni radio dove qualcuno mi interpellava in friulano e io rispondevo in italiano. 

Questo bilinguismo avrà certamente per me e per molti un qualche sapore di commedia e di puntiglio, perché si sa in partenza che tutti conoscono perfettamente l’italiano. Forse, la cosa migliore sarebbe usare il friulano in certe occasioni particolarmente significative, come si fa talvolta per la messa. Va aggiunto forse che v’è la possibilità che la legge per la protezione delle lingue minoritarie provochi degli effetti a catena. Infatti ogni italiano, dal Trentino alla Sicilia, non dubita affatto che il suo dialetto sia una lingua legata a gloriose tradizioni culturali. Comunque, ora questa legge c’è, e speriamo che serva allo scopo e possa sortire i risultati migliori (Carlo Sgorlon, Il nemico è l’omologazione, “Friuli nel Mondo”, agosto 1998, p. 10).