Scalabrini


E venne un uomo. Il suo nome era a molti sconosciuto. Amò Piacenza e la sua diocesi, in opere e in parole. La gente, la vita e i problemi che la abitavano. Ma con il cuore amò coloro che se ne andavano... Perseguitati dalla miseria. Da quel bisogno inarrestabile di essere uomini. Partivano in massa dalla sua terra. 

E migravano. Non come nel cielo gli uccelli. Né come nell’aria un turbinio di foglie. E neppure come i semi maturi di un fiore: avventure queste che il vento accompagna. Ma come un gregge infinito di pecore sperdute. Senza pastore. E migrare per gli esseri umani è sempre morire. In gola un’ultima speranza che grida più forte del loro disperarsi: poter rinascere uomini. Altrove.

Come un Padre, prodigo di amore, scrutava l’orizzonte di giorno e di notte, ad inseguire i suoi figli in Brasile, e nelle Americhe. Distanti chilometri, chilometri e chilometri di mare... Come una madre che raccoglie i suoi figli andò allora a cercarli. A trovarli, finalmente. Per dire loro, come un fratello, che il Dio del povero, dell’orfano, dello straniero non li aveva traditi. Era rimasto con loro. 

Poveri di ogni dignità. Orfani di una patria perduta. Estranei, là dove avevano posato i loro piedi.Ma non erano soli. E diede a loro un segno dell’amore di Dio: dei missionari e delle missionarie proprio per loro. E come loro migranti.Ormai, ciò che Lui un tempo ha già fatto non importa più. La pianta ha dato i suoi frutti. I figli hanno preso il suo nome. Giovanni Battista Scalabrini. Importante è che Tu sei vivo, tra noi. 

Oggi ancora più che mai. E per migliaia, migliaia e migliaia di uomini. Di donne e bambini. Nelle terre dell’Asia, dell’Africa, nelle Americhe. E altrove. Perseguitati dalla stessa miseria, colpiti dal medesimo esodo. Lottando da morirne con la stessa speranza. Una sete nell’anima di essere uomini, che brucia nelle loro ferite come il sale.

E Tu li accompagni. Ancora come un padre, un fratello, una madre o una sorella per loro. In ognuno di noi, missionari e missionarie che viviamo del tuo amore. Del tuo coraggio come un’eredità. E con Te gridiamo, in nome di Dio, quanti oggi hanno bisogno di diventare ancora esseri umani... Loro che hanno perduto una terra. 

Ma anche voi, che non condividete la vostra. E il vostro tesoro. Come fratelli (Renato Zilio, Nel 90° anniversario della tua morte). Da Piacenza al mondo interoNato in provincia di Como, Vescovo di Piacenza a soli 36 anni, protagonista delle vicende religiose, sociali e politiche degli ultimi decenni del secolo scorso, ha legato il suo nome in modo particolare all’emigrazione italiana con la fondazione dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo e della Associazione laicale San Raffaele. 

Giovanni Paolo II lo ha proclamato “beato” il 9 novembre 1997.Non è semplice tratteggiare il profilo biografico di Mons. Scalabrini nei limiti di un articolo. Chi legge di lui per la prima volta avrebbe bisogno di altri dati, perché la figura di Scalabrini è complessa, almeno per la somma di situazioni da cui è stato toccato e alle quali ha dato una sua risposta. Gli altri lettori, quelli che di lui sanno e sono in grado di collocarne la figura nel pieno contesto dell’ultimo quarto di secolo dell’800, necessitano di riscontri, conferme, riletture più approfonditi.

Agli uni e agli altri suggeriamo l’ottima biografia di Mario Francesconi, Giovanni Battista Scalabrini, Città Nuova, 1985. Le due principali biografie precedenti, del Gregori (1934) e di Caliaro-Francesconi (1968), pur sostanzialmente valide per la loro documentazione, rivelano alcune carenze a livello di vaglio critico e di ricostruzione del contesto storico, ambientale e culturale; inoltre risentivano di una impostazione “apologetica”, polemica la prima, in qualche modo agiografica la seconda.

Le mille e trecento pagine della biografia del Francesconi hanno il merito di portare un contributo determinante nel chiarire situazioni e posizioni, o almeno una maggior cautela nell’esporre e nel giudicare l’intricata storia della Chiesa italiana postunitaria. Per decenni, una schematizzazione di comodo riduceva dibattiti, contrasti e scelte di quegli anni alla sola contrapposizione tra intransigenti e transigenti: una lettura generica e semplificante, ai limiti della deformazione o almeno della incompletezza. 

La minuziosa e puntigliosa ricerca locale e monografica, condotta dal Francesconi, ha invece evidenziato “ la inclassificabilità, per molti versi, dello Scalabrini in una o nell’altra delle correnti tradizionalmente individuate dalla storiografia precedente, quantunque egli stesso si definisse transigente e avverso agli intransigenti”.Le tappe di una vitaNato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco, nella diocesi e provincia di Como, a 18 anni entrava in seminario e il 30 maggio 1863 veniva ordinato sacerdote. Si iscrisse all’Istituto Missioni Estere di Milano, ma il suo vescovo lo destinò all’insegnamento e poi alla direzione del seminario di S. Abbondio. 

Nel 1870 fu nominato parroco di S. Bartolomeo, difficile parrocchia di periferia industriale, che egli trasformò in comunità esemplare. Segnalato a Pio IX da S. Giovanni Bosco per lo zelo pastorale e l’attaccamento alla Sede Apostolica, dimostrato nelle Conferenze sul Concilio Vaticano, da lui tenute nella Cattedrale di Como e pubblicate nel 1873, fu eletto vescovo di Piacenza a 36 anni e consacrato il 30 gennaio 1876. 

A Piacenza chiuderà la sua intensa giornata terrena il 1 giugno 1905.Dietro questi dati cronologici essenziali, un’attività che ha dell’incredibile. E saltano subito all’occhio le cinque visite pastorali alle 365 parrocchie della diocesi, duecento delle quali raggiungibili solo a dorso di cavallo o di mulo. Una buona parte di queste parrocchie non vedeva un vescovo da trecento anni.

L’organizzazione del catechismo è un altro capitolo fondamentale per capire la strategia pastorale dello Scalabrini, che culminerà nella celebrazione del primo Congresso Catechistico Nazionale, per il quale Piacenza diventava la sede naturale, dato che proprio lì, col nuovo vescovo, era nata la prima rivista catechistica italiana, Il Catechista cattolico, che diventerà poi rivista nazionale e continuerà le pubblicazioni fino al 1940. 

Del resto, al catechismo aveva dedicato la sua prima lettera pastorale, pubblicata a soli due mesi dal suo ingresso in diocesi, e i risultati nel giro di un anno erano questi: 1,744 persone impegnate nella catechesi, di cui 1,275 laici, 403 sacerdoti, 36 chierici, 30 religiose. Quattro anni dopo saranno 4,000.La pastoralità.

Bisogna dire che negli ultimi decenni molti studiosi cattolici hanno fatto giustizia di una etichettatura almeno in parte bugiarda, che chiudeva lo Scalabrini nel piccolo e spesso pettegolo circolo di ottiche puramente sociali e politiche, riscoprendone la piena statura pastorale.Lo Scalabrini non è un teorico, non è uomo che si perda dietro interminabili discussioni; è pastore in ogni momento della sua azione, la quale sempre si ispira alla “trama varia e complessa in cui si ordisce nella chiesa locale, ancor prima che nella chiesa universale, il tessuto della vita del popolo di Dio nel quadro della storia della salvezza”. 

La realtà delle cose: ecco la felice espressione di Scalabrini, che dice da dove si debbano prendere le mosse per capire e poi agire.Il decreto della Congregazione pro causis sanctorum sulla eroicità delle virtù (16 marzo 1987) offre proprio questa chiave interpretativa di tutta la vita dello Scalabrini. “Maestro della fede, Pontefice e Pastore fu il servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, che ispirò la sua vita al mandato missionario di Cristo Signore: Euntes docete omnes gentes e sull’esempio dell’Apostolo: Omnibus omnia factus, ut omnes salvos facerem. 

Non è possibile arrivare al cuore dello Scalabrini, all’anima del suo fare, del suo dire, del suo tanto scrivere, se non si evidenzia l’altra affermazione di Paolo, che il decreto applica al vescovo di Piacenza: Omnia autem facio per Evangelium. È senza dubbio vero che non c’è stato avvenimento politico, sociale, culturale durante il trentennio di episcopato che l’abbia visto estraneo; ma la ragione ultima dei suoi interventi è da ricercare solo nel suo bruciante desiderio di evangelizzare.Missionarietà.

Lo Scalabrini è sempre stato missionario: annunciare il vangelo era il senso del suo ministero, come era stato il sogno della sua giovinezza Ma in questa sua passione assumevano un’importanza particolare quelle categorie di persone, che, per le più diverse ragioni, ne erano in qualche modo escluse. 

Da qui l ‘attenzione per i sordomuti e le sue iniziative per l’Opera delle Mondariso. E questa sarà pure la matrice della sua iniziativa più qualificata: l’assistenza agli emigrati, attraverso la fondazione della Congregazione dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo, che in seguito verranno conosciuti come “scalabriniani/e”. Nate, la prima nel 1887 e la seconda nel 1895, i due istituti continuano, nella fedeltà al carisma del Fondatore, ad essere presenti in oltre trenta paesi al fianco di emigrati e profughi di varie nazionalità, con un sogno solo: la diversità-contrasto di Babele deve trasformarsi nella diversità-ricchezza della Pentecoste. 

Nella società e nella Chiesa.Carità e veritàMa c’è un aspetto nella vita dello Scalabrini che il decreto sulla eroicità delle virtù sottolinea in modo particolare. “Difensore e propagatore della fede, la protesse non solo contro gli errori del tempo, ma anche contro le inutili logomachie che offendevano la carità e la verità. Per la verità, infatti, combatté e soffrì tanto che si poté dire di lui che seppe tradurre lo studium veritatis in intrepido servitium veritatis, accettando poi con coerenza, fortezza e pazienza il martyrium veritatis e dando prova di una straordinaria lealtà ecclesiale e partecipazione alla sollecitudine per tutte le Chiese. 

Sopportò in umile silenzio le contraddizioni e le sofferenze personali, alieno da qualsiasi interesse egoistico, ma considerò delitto il silenzio ogni qualvolta si trattasse della causa di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, e quando era in pericolo il bonum animarum, suprema lex, che regolò tutte le sue scelte, spesso contro corrente e innovatrici”.Aveva davanti agli occhi l’esempio dei grandi vescovi del passato, ai quali si ispirava, e poteva scrivere: “Guai alla religione, quando i vescovi sono costretti a tacere:” 

E con altrettanta schiettezza diceva ai suoi preti: “Uscite di sacrestia: ai nostri tempi è quasi impossibile ricondurre la classe operaia alla Chiesa, se non manteniamo con essa relazione continua fuori della Chiesa”.“Devoto senza misura e senza misura libero”: è la definizione che Antonio Fogazzaro, il celebre romanziere, ritaglia per lo Scalabrini.Poi vai più a fondo a cercare la fonte di tutto e trovi il suo voto, sub gravi, di mezz’ora di meditazione al giorno, le lunghe ore di adorazione davanti al tabernacolo, la sua continua tensione per assomigliare al Crocifisso. 

La grandezza dello Scalabrini e la sua santità hanno la loro radice qui (Silvano Guglielmi).Il beato Giovanni Battista ScalabriniIl beato Giovanni Battista Scalabrini è considerato uno dei maggiori vescovi dell’epoca moderna. Tale lo definì san Pio X. Con il passare degli anni, a mano a mano che da personaggio della cronaca diventa personaggio della storia, la sua figura di pastore diventa sempre più gigantesca e affascinante. 

Benché egli fosse giudicato «uno di quegli uomini che incarnano in sé le aspirazioni di un momento storico» (Giovanni Semeria), egli ci appare anche come precursore e artefice dei tempi nuovi al punto da farcelo sentire come un nostro contemporaneo se non addirittura un antesignano.

Tale lo considerò il suo amico ed estimatore Giuseppe Toniolo che di lui scrisse: «Quell’uomo ebbe l’intuizione dei fatti avvenire che è propria delle menti superiori e dei grandi cuori, o piuttosto di coloro che il Signore chiama a farsi strumenti speciali e opportuni dei suoi profondi e misteriosi disegni». Ecco perché ci piace immaginare il beato Scalabrini tra i protagonisti del Concilio Vaticano II e magari fra gli estensori della Gaudium et Spes e della Lumen Gentium.

Egli fu anche un personaggio del passato, radicato nella più viva e ortodossa tradizione cristiana. Per il suo profondo senso della Chiesa, della sua santità, della sua universalità e della sua missionarietà, egli viene paragonato agli antichi Padri della Chiesa; e il fervore rinnovatore lo fecero emulo di quei tenaci esecutori del Concilio di Trento che furono san Carlo Borromeo e san Francesco di Sales.

Gigantesca e poliedrica figura di Pastore, egli sfugge a ogni classificazione, avendo saputo comporre in sé stesso le varie antitesi: contemplazione e azione, prudenza e audacia, tradizione e rinnovamento, fermezza e conciliazione, fedeltà e dialogo, concretezza e idealità, obbedienza e libertà. 

Fu il Fogazzaro a definirlo: «Devoto senza misura e senza misura libero».Ma vediamo il beato Scalabrini all’opera. Nato a Fino Mornasco (Como), divenne Vescovo di Piacenza a soli 36 anni. Vissuto nell’agitato secolo XIX, uno dei periodi più travagliati e cruciali per la Chiesa, egli si adoperò con tempestività ed efficacia in tutti i campi dell’apostolato cattolico. Compì cinque volte personalmente la visita pastorale alle 365 parrocchie della diocesi. Celebrò tre sinodi. Fece di Piacenza uno dei principali centri italiani di studi ecclesiastici. Consacrò 200 chiese. 

Fu infaticabile nell’amministrazione dei sacramenti, nella predicazione, nell’educazione del clero e del popolo all’amore della Chiesa e del Papa, nel culto della verità, dell’unità e della carità.Di questa virtù diede prove eroiche nell’assistenza e sollecitudine per gli ammalati (anche di colera) e per i carcerati, nella predilezione dei poveri, nel perdono dei nemici. Salvò dalla fame migliaia di contadini e operai, spogliandosi di tutto. Fondò un Istituto per le sordomute e organizzò l’assistenza alle mondine, società di mutuo soccorso, associazioni operaie, casse rurali, cooperative e tutte le forme di Azione Cattolica. 

Definito da Pio IX “Apostolo del catechismo”, fu il più concreto artefice della rinascita catechistica del secolo scorso, emulando il modello san Carlo Borromeo: ideò e presiedette il primo Congresso catechistico nazionale del mondo, fondò la prima rivista catechistica d’Italia.Convinto che i sentimenti di religione e di patria potevano e dovevano conciliarsi nell’animo degli italiani, lottò e soffrì per la conciliazione tra Chiesa e Stato. Ma quello che rende particolarmente benemerito il beato Scalabrini, nei confronti della società civile e della Chiesa, è la sua generosa, geniale e tempestiva opera a favore degli emigrati di tutto il mondo.

Egli, a differenza di tanti altri, intuì che il fenomeno migratorio non è una calamità passeggera, ma è il più grave dramma sociale moderno, destinato a contrassegnare il mondo avvenire. Egli non solo sollecitò Stato e Chiesa a prenderne coscienza e a intervenire, ma diede vita egli stesso a svariate iniziative religiose, culturali e sociali, affidandole a una nuova generazione di missionari: sacerdoti, suore e laici che si fanno emigrati volontari e oggi operano in 30 nazioni di 5 continenti.Giovanni Paolo II, il papa “venuto da lontano”, durante la funzione della beatificazione nella piazza di San Pietro gremita di emigrati provenienti da ogni parte del mondo - una vera Pentecoste - proclamò il Vescovo Scalabrini “Padre degli emigrati”. Quel giorno (9 novembre 1997) venne salutato una specie di “Ritorno di Scalabrini”. 

A cento anni dalla sua morte (1° giugno 1905) è infatti cresciuta enormemente l’attualità delle sue idee, delle sue denunce, delle sue iniziative, del suo amore per l’uomo; oggi che le strade del mondo sono più che mai brulicanti di emigrati e di rifugiati; oggi che l’umanità è più che mai alla ricerca di fratellanza.L’eredità del beatoI Mssionari sclabrinianiLa Congregazione dei Missionari di San Carlo (Scalabriniani) è una comunità internazionale di religiosi, fratelli e sacerdoti, fondata a Piacenza il 28 novembre 1987 dal beato Giovanni Battista Scalabrini. 

Il mondo a cui la Congregazione è chiamata ad annunciare il lieto messaggio di Cristo, Via, Verità e Vita, è quello dei migranti, in particolare tutti coloro che esigono una cura pastorale specifica. I religiosi scalabriniani adempiono a questa missione facendosi migranti con i migranti, per edificare con essi, mediante la testimonianza della loro vita e della loro comunità, la Chiesa, che nel suo pellegrinaggio terreno si accompagna specialmente alle classi più povere e abbandonate.

Con la loro attività apostolica, i missionari si impegnano a cooperare al risanamento dei mali delle migrazioni, sia nelle cause che negli effetti, e a far scoprire il disegno che Dio attua in tutte le migrazioni, anche se causate da ingiustizie, affinché diventino prolungamento ed estensione di quell’incontro di popoli, culture ed etnie che, arricchito del dono dello Spirito nella Pentecoste, diventa autentica comunione. Le peculiarità dei migranti costituiscono per lo scalabriniano e per la Chiesa locale un richiamo alla fraternità pentecostale, dove le differenze sono armonizzate dallo Spirito e la carità si fa autentica nell’accettazione dell’”altro”.

Gli Scalabriniani servono i migranti in ambito spirituale e sociale in 25 nazioni dell’Asia, Oceania, Europa, Africa e le Americhe con centri di prima accoglienza, case per marinai, villaggi per migranti anziani, centri di studio e di ricerca, diffusione di giornali e programmi radiotelevisivi, conduzione di case di formazione per religiosi e laici, presenze nel Consiglio Pontificio per la mobilità o in commissioni episcopali o diocesane per le migrazioni, predicazione di missioni volanti per comunità emigrate, insegnamento, animazione di parrocchie multiculturali e di missioni etniche.

Suore missionarieLe Suore Missionarie di S. Carlo (Scalabriniane) sono state fondate dal beato Giovanni Battista Scalabrini (1895) con i cofondatori Padre Giuseppe e Madre Assunta Marchetti. 

Esse vivono il carisma scalabriniano nella disponibilità alla provvisorietà, alla diversità, alla condivisione fraterna, a farsi migranti con i migranti, svolgendo una missione evangelizzatrice soprattutto a favore di quanti, vittime di una migrazione non organizzata, vanno alla ricerca di una terra che li ospiti. 

Le loro comunità apostoliche, sparse in venti nazioni del mondo, sono impegnate in un servizio evangelico ai migranti, di preferenza poveri e bisognosi.Orfani amati come figli, carcerati visitati e assistiti, deportati accolti, bambini istruiti ed educati ai valori cristiani, lavoratori organizzati e resi collaboratori di una nuova evangelizzazione, Chiese particolari coadiuvate nell’organizzare la pastorale migratoria. 

Sono presenti anche in differenti organismi diocesani, nazionali, internazionali con riferimento ai problemi dell’emigrazione.In continuità con l’opera stessa del fondatore Scalabrini, chiamato dal papa Pio IX “Apostolo del catechismo”, la loro attività apostolica mira a «preservare la fede» dei migranti dando il primato alla catechesi, «caratteristica principale del loro spirito missionario». 

La Congregazione considera i migranti come testimoni della dimensione pellegrina della Chiesa, il popolo di Dio in pellegrinaggio verso il Padre, un popolo che cammina nella fede, nella speranza e nell’amore realizzando il progetto del Padre.Missionarie Secolari“Il giorno di Pasqua del 1990 è stato eretto nella Chiesa il nostro Istituto Secolare, nato a Solothum (Svizzera) nel 1961 in un contesto migratorio e scalabriniano. 

È sorto per una scelta di consacrazione a Dio nel mondo, che ci porta a sperimentare l’accoglienza di Gesù crocifisso e risorto, compagno indivisibile, riconosciuto specialmente nei migranti più poveri e sradicati. «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25, 35). Cristo stesso ci chiama a prendere parte al dolore e alla speranza dell’uomo migrante, a scendere con Lui nelle situazioni più dure e ingiuste, segnate dalla frammentazione e dalla dispersione.Camminando sulle strade dell’esodo con i migranti di ogni etnia, cultura e religione, attingiamo alla spiritualità del beato Scalabrini, al suo carisma della totalità, attraverso il quale egli vedeva nello stesso dramma dell’emigrazione una via di unificazione della famiglia umana in Cristo. 

La comunione trinitaria, fonte che alimenta la contemplazione e la comunione fraterna, ci unisce dalle nostre diverse provenienze in piccole comunità internazionali. Esse diventano laboratori di rapporti nuovi, che valorizzano la ricchezza delle differenze, ogni apertura all’altro, ogni slancio missionario.Come missionarie secolari, senza alcun segno esteriore che ci distingua dagli altri, senza opere stabili, siamo inviate non solo a vivere nel mondo la nostra consacrazione, ma a rimanere in un dialogo costante con esso, a riconoscere in ogni ambiente il luogo ideale in cui far spazio, nella via dei voti, alla vita di Gesù povero, vergine e obbediente, vero uomo universale.

Negli ambienti plurietnici, in Europa e in Brasile, siamo inserite con un lavoro nel campo sociale, culturale e pastorale; nel settore scolastico, medico-ospedaliero, artistico ecc. La nostra missione, ponte tra le varie culture, “sale e lievito” nell’ordinarietà della vita, è a servizio dell’annuncio e della formazione cristiana di migranti, di giovani, di amici per un’apertura alla comunione universale, fermento negli ambienti in cui essi vivono” (Umberto Marin, www.incrocinews.it anno I, 13, 2005, 7-13 maggio).