Trinità


Trinità Un evento dei nostri giorni. Forse descriverlo degnamente potremmo strappare le parole al profeta Ezechiele: “Ed ecco che la gloria del Dio d’Israele giungeva dalla via orientale e il suo rumore era come il rumore delle grandi acque, e la terra risplendeva della sua gloria” (Ez 43.2) Se si è potuto parlare di esilio trinitario, ora questo pare proprio terminato. Anche se la nuova coscienza ecclesiale ha bisogno di essere opportunamente filtrata attraverso la riflessione e la catechesi, la Trinità è tornata a brillare in tutto il suo splendore sul nostro cielo. La fine del secondo millennio e l’inizio del nuovo ci hanno riservato anche questa gioiosa e grande sorpresa. La comunità cristiana ritrova l’entusiasmo dei suoi giorni migliori. La Trinità è l’elemento specifico della sua fede. Diversi gli elementi di questo auspicato ritorno. Intanto, esso appare come la conclusione logica degli ultimi tre anni dei secolo passato, dedicato ciascuno a una delle persone della santissima Trinità; dopo i singoli, la Trinità nel suo complesso. Da più parti, il 2000, l’anno del grande Giubileo, è stato visto come l’anno dedicato alla Trinità. Poi l’insegnamento del concilio Valicano II, le tre encicliche di Giovanni Paolo II (Redemplor hominis, Dives in misericordia e Dominum et vivificantem), l’influsso della tradizione orientale, il ritorno al pensiero delle origini, il cammino della riflessione teologica guidato da alcuni pensatori di eccezione, la suggestiva e bruciante esperienza della santa carmelitana suor Elisabetta della Trinità, la nuova attenzione dedicata allo Spirito Santo, la “theologia crucis”, i movimenti ecclesiali attuali, in particolare quello dei Focolari,in qualche modo anche la rilettura teologica dei filosofi idealisti, in particolare dì G.F. Hegel. Il ritorno è segnato dalla connessione del grande mistero con la vita del cristiano e della comunità cristiana. La teologia attuale sembra quasi una risposta alla sfida lanciata due secoli fa da I. Kant, che considerava inutile ogni ricerca sulla Trinità. Afferma G. Greshake: “La fede in Dio trinitario non è senza conseguenze, bensì è la verità di fede più gravida di conseguenze” (La fede nel Dio trinitario. Una chiave per comprendere, Queriniana, Brescia 1999, p. 124). Niente di più plausibile, se si pensa che la Trinità è la sorgente di tutte le cose e dell’intera opera di salvezza dell’umanità e del cosmo, cominciala con la creazione. Recentemente E. Cambón ha indagato esplicitamente sulla Trinità nei suoi riflessi sociali. “Gli studi trinitari - egli dice - sono quelli che hanno prodotto di recente maggiori novità per il pensiero e la vita del cristianesimo, Sono stati fatti notevoli sforzi per rinnovare la teologia trinitaria e per ripensare tutta la teologia alla luce della Trinità. Tuttavia, il fenomeno più rilevante è la forza con la quale si va riscoprendo la imitabilità e la praticabilità della vita trinitaria nella storia. Appare infatti costantemente, nei testi e negli ambienti cristiani, l’affermazione che nella Trinità si trova non soltanto l’origine e il fine, ma anche la radice, lo spazio, il “modello”‘ della socialità umana” (Trinità modello sociale, Città Nuova, Roma 1999, p, 16). Ma l’attenzione è rivolta a tutte indistintamente le realtà create, cominciando naturalmente dall’uomo, l’immagine diretta del Dio trinitario. In evidenza l’analogia familiare C’è un altro tratto della teologia trinitaria attuale che merita di essere ricordato. Il grande maestro delle analogie trinitarie rimane sant’Agostino, che ha influenzato di sé tutto il pensiero posteriore, specialmente (ma non solo) in occidente. La sua grande invenzione è l’analogia psicologica, che troverà più tardi in san Tommaso la sua definitiva e completa sistemazione. Per la verità, il grande ipponese si è affacciato anche all’analogia agamica, incentrala sull’amante, l’amato e l’amore, senza però insistervi a sufficienza per informarne il suo pensiero. L’analogia familiare, che vediamo molto vicina all’analogia agapica, non fu trovata degna di considerazione né da parte di sant’Agostino, né da parte di san Tommaso. Oggi però, strutturata in modo diverso, è tornata con forza alla ribalta della riflessione teologica per la sua capacità suggestiva e la sua presa popolare. La stessa sacra Scrittura ci ha abituato a considerare il legame stretto che lega fra loro l’uomo e la donna nel loro atto di amore: “I due saranno una sola carne” (Gn 2,24), Gesù confermerà e specificherà: “Così che non sono più due, ma una carne sola: Quello che Dio dunque ha congiunto l’uomo non lo separi” (Mt 19,6). Una carne sola: cioè un solo corpo, una sola vita, una sola esistenza. Frutto dell’amore, il figlio chiude e completa il cerchio trinitario. E tutte nella più assoluta delle unità, la massima che ci è dato sperimentare nella nostra esperienza terrestre. Ce n’è a sufficienza per poter concludere che l’amore coniugale e il suo frutto costituiscono “la rappresentazione più perfetta, più pienamente umana, nell’ordine naturale del mistero della santissima Trinità” (B. de Margerie), I due (o i tre) non si annientano, ma rimangono strettamente uniti fra loro, come di più è impossibile immaginare. L’estasi dell’amore; una perfetta coincidenza una totale pericoresi, una singolare compenetrazione. W. Shakespeare esprime da par suo questo mistero che l’uomo ha sempre sperimentato fin dagli inizi della sua esistenza: “Così era il loro amore, un amore a due, / la sua essenza era solo una; / due distinti, ma non divisione alcuna: / in quell’amore il numero stesso era stato ucciso” Se è vero che l’amore umano vissuto nella sua pienezza è lo spettacolo più bello che sia possibile ammirare sulla terra, che cosa ci può essere dì più bello e di più significativo dello spettacolo dell’amore che lega in cielo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? L’assemblea di Puebla ha affermato: “La famiglia è immagine di Dio che “nel suo mistero più intimo non è solitudine, ma una famiglia”;” (n, 582). La citazione interna è tolta da un’omelia sulla famiglia pronunciata, sempre nell’ambito di Puebla, da Giovanni Paolo II. Si tratta sempre di un’analogia, ma di un’analogia, forte e suggestiva, certamente più alla portata di tutti della vecchia e sottile analogia psicologica. Ora è tempo di riflessione e di approfondimento. Soprattutto per quanto riguarda il ruolo della Terza Persona della santissima Trinità, che da sempre costituisce l’anello debole della riflessione teologica trinitaria. Se il Padre è l’amante e il Figlio l’amato, qual è il ruolo dello Spirito Santo all’interno della Trinità e, di conseguenza (la teologia richiama l’economia e viceversa), nei riguardi del mondo creato? Non c’è alcun dubbio che esso faccia riferimento all’amore: ma il contesto dell’immagine familiare ci può aiutare a esprimere meglio questo riferimento. Amore o non piuttosto frutto, dono, concretizzazione, proclamazione e acclamazione, quasi un grido levato nell’eternità dell’eterno amore del Padre e del Figlio? La domanda contiene già la risposta, Ma la moltiplicazione dei termini è anche una confessione di incapacità e di rassegnazione. Dunque l’amante, l’amato e il frutto del loro amore, come il figlio è il frutto e la prova palpitante dell’amore dello sposo e della sposa, del padre e della madre. La santa Triade può avere allora questa descrizione analitica: “II padre è colui in cui si rispecchia l’amore attivo; la madre l’amore ricettivo e il figlio, il frutto del reciproco amore” (B. Mondin). Questo ruolo fa corpo con la concezione dello Spirito Santo come l’ultimo anello della Trinità e, quindi, come il rifinitore e il completatore (il telepoios) dell’attività immanente e dell’attività esterna di Dio, a cui compete in totalità il titolo di amore (cf. IGv 4,8.16). È possibile questa correzione e specificazione del pensiero trinitario tradizionale? Una proposta, più che una soluzione. Ma il cammino dell’originalità non é certamente del tutto precluso alla riflessione teologica attuale. La Trinità vissuta Riprendiamo il filo del discorso sospeso prima. Mistero primordiale, la Trinità è immagine e modello di ogni realtà. Anche se la ricerca potrebbe ulteriormente proseguire, sostiamo con la nostra riflessione sull’universo composto dall’uomo, inteso come persona, come famiglia, come società, come comunità ecclesiale. Quattro considerazioni che possono nascondere delle autentiche sorprese. Su questi argomenti c’è oggi una concentrazione di attenzione da parte della teologia, le cui scoperte non possono che avere una ricaduta immediata nel campo della spiritualità. Teologia e spiritualità hanno riscoperto il gusto e la necessità di camminare l’una vicina all’altra, in una convergenza e simbiosi che giovano a tutt’e due. La Trinità così si avvicina a noi per illuminare i nostri problemi e i nostri progetti. È l’analogia fìdei che viene a completare la precedente analogia entis: il descensus dopo l’ascensus. Così, per esempio, se la famiglia ci è servita a illuminare in qualche modo il misterioso mondo della Trinità, ora la visione della famiglia trinitaria può fornirci indica- zioni preziose per una realizzazione piena della stessa famiglia terrena; altrettanto si dica della persona, della società, della chiesa. La luce che promana dalla Trinità ha la capacità e la forza di vivificare e tonificare, secondo l’ordine di Dio, l’intero mondo dei nostri rapporti e delle nostre realtà. Un incontro sorprendentemente fruttuoso fra il cielo e la terra. Più che di due tradizioni teologiche diverse (quella occidentale più induttiva e quella orientale più deduttiva), come vorrebbe V. Lossky, si tratta di due processi complementari di teologia trinitaria. L’uomo trinitario E. Mounier non ha dubbi in proposito: il senso della persona nell’antichità resta embrionale fino agli inizi dell’era cristiana. La persona, come ha ricordato anche Giovanni Paolo II nella Fides et ratio, è una creazione del pensiero cristiano, il quale, per dare ragione delle sue grandi e innovative affermazioni, come afferma E Gilson, fu “costretto all’originalità”. Il pensiero del tempo non offriva possibilità di raccordi su un punto così importante dell’antropologia cristiana. C’era da trovare un fondamento all’idea biblica dell’uomo-immagine-di-Dio, all’amore del Padre per la persona singola, al fatto che tutti gli uomini sono chiamati, in Cristo, alla figliolanza di Dio. Ma c’era soprattutto da dare una sistemazione logica alle interpellanze dei due dogmi fondamentali della fede cristiana. La grande scoperta dei pensatori cristiani fu la distinzione fra natura e persona: una distinzione, come sappiamo, fatta propria anche dal magistero della chiesa. Sulla natura era possibile un dialogo con la cultura classica, sulla persona bisognava inventare. Un esempio di collaborazione fra fede e ragione, in cui la spinta primigenia viene dalla prima. La persona: una ricchezza quasi infinita, “ciò che c’è di più perfetto in tutta la natura” (s. Tommaso). La metafisica classica ne approfondirà le ricchezze interne ma, nonostante tutto, non metterà in sufficiente evidenza esplicita l’elemento della relazione, che pure rimane fondamentale nella riflessione trinitaria. Relazione, pericoresi, amore sono le componenti intrinseche della persona in Dio. Per Moltmann, “le tre divine persone esistono nel loro inconfondibile essere personale proprio in rapporto l’una all’altra e sono determinate in e attraverso le loro reciproche relazioni. Essere personale significa perciò: essere in relazione” (Sulla Trinità, D’Auria, Napoli 1982. p. 26s). Tirare tutte le conseguenze da queste affermazioni significa introdursi in un mondo affascinante e insieme provocante, che domanda un atto radicale di metanoia, un vero cambiamento di mente e di cuore (V.Lossky), “Nel Dio che è amore, si dà un perenne ‘lasciar spazio all’altro’, un’infinita oblatività” (G. Salvati). L’uomo che si colloca dinanzi a Dio in atteggiamento di ascolto e di imitazione è chiamato a fare altrettanto. Ne va della sua vocazione cristiana, ma insieme anche della sua vocazione umana. Avere forte personalità in termini cristiani significa capacità di ritirarsi, di perdere se stesso, di far emergere l’altro, di permettere che altri disponga di sé, di accettare il pericolo di riportare ferite e scottature nel corpo e nello spirito. In questo senso O. Clément parla di “uomo trinitario”‘, di uomo vera immagine del Dio cristiano. Non ci sono altre strade per poter divenire imitatori di Dio, per poter giungere alla perfezione. Per questo P. Evdokimov può affermare che “strettamente parlando la persona esiste soltanto in Dio, mentre l’uomo ha la nostalgia di divenire persona” (L’ortodossia, EDB, Bologna 1981, p. 94). La vocazione alla santità espressa in termini antropologici. Il risultato non cambia. La famiglia immagine della Trinità La ricaduta trinitaria prosegue nella famiglia, “comunità di vita e d’amore” (GS 48), la miglior immagine a nostra disposizione dell’invisibile vita trinitaria. Come una concezione praticamente monoteistica di Dio ha dato origine a una società di tipo piramidale e a una famiglia autoritaria, così una concezione veramente trinitaria dà origine a un’altra forma di società e di famiglia. Una famiglia dove le persone sono sul piede di parità, dove ognuna gode di uguale dignità anche se le mansioni sono diverse, dove vige il più rigoroso rispetto reciproco, una famiglia finalmente dove regna la più grande comunione che mente umana possa mai pensare. Nella famiglia trinitaria, i ruoli sono personali e non interscambiabili, ma tutto si svolge all’insegna della più assoluta uguaglianza e del più intimo rapporto reciproco di amore e dì donazione. La comunione è perfetta, la compenetrazione assoluta. Le persone vivono una con l’altra, una per l’altra, una nell’altra. Nell’ordine naturale non ci saranno casi in cui la comunione potrà raggiungere tali livelli, perché le persone create non saranno mai in possesso di una natura unica, di una pericoresi così totale e perfetta. L’utopia divina e l’utopia verso la quale sempre si cammina, pur sapendo di non poterla mai raggiungere pienamente. Una marcia dì avvicinamento senza fine. Ancora: la famiglia divina è una famiglia aperta alla fecondità; il Padre genera dal suo grembo il Figlio, come afferma il Salmo 109: “Dal seno dell’aurora, come rugiada, io ti ho generato”. Il testo della Volgata diceva più significativamente: “Ex utero ante luciferum genui te”. Il grembo di Dio non è sterile, egoisticamente chiuso in se stesso, ma aperto alla vita, alla comunicazione, al dono. Dal Padre e dal Figlio, poi, almeno seccondo la versione occidentale procede lo Spirito Santo, il frutto di un amore eterno che lega fra loro le prime due persone. Con lo Spirito Santo, il circuito trinitario si chiude al suo interno per riaprirsi al mondo. La Trinità infatti non considera un tesoro geloso la sua situazione di completezza, ma dona resistenza ad altri esseri per farli partecipi della sua stessa vita e della sua stessa felicità. La Trinità è amore creante ed elevante, finestra aperta sul mondo degli enti possibili, fecondità generosa e disponibile. La famiglia trinitaria è insieme un dono e un compito. Come tale, essa ha un inizio, ma non una fine. La Trinità è la sua origine, il suo modello, il suo termine. Si comincia nel tempo, si finisce nell’eternità. Un cammino, un itinerario, un pellegrinaggio: la famiglia è Trinità in divenire. E, come la Trinità, anche la famiglia è minacciata da eresie ed errori. Attentati contro l’uguaglianza, la comunione, l’unità, l’amore, la fedeltà, la fecondità, il rispetto, l’ordine interno. Oggi le minacce si sono fatte più pressanti e più forti. Addirittura in certe circostanze barcolla la stessa idea di famiglia. Le difese nei suoi riguardi vanno oggi rinforzate. Se le cose dette finora sono vere. la lotta in difesa della famiglia, oltre che una lotta culturale e morale, diventa una lolla teologica, L’attacco alla famiglia e in qualche modo l’attacco alla Trinità, suo archetipo e modello. La Trinità, modello sociale L’uomo, immagine di Dio, è perciò stesso persona sociale aperta alla comunità. La Gaudium et spes possiede a questo riguardo un testo illuminante: “II Signore Gesù, quando prega il Padre perché “tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola” (Gv 17.21-22), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l’unione delle persone divine e l’unione dei figli di Dio nella verità e nell’amore. Questa similitudine manifesta che l’uomo, il quale in terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa, non possa ritrovarsi pienamente se non in un dono sincero di sé” (n. 24). Un testo di capitale importanza per la costruzione di un’antropologia sociale autenticamente cristiana. Quanto è detto nel cap. II della Gaudium et spes non è che una conseguenza di questa fondamentale intuizione. Richiami più che mai opportuni nel tempo dell’individualismo e del libertarismo. Come esiste l’uomo trinitario, così, di conseguenza, esiste, deve esistere la società trinitaria. Appunto, la Trinità é il nostro modello sociale. Una frase risuonata più volte nel XIX secolo e che risuona ancora almeno nelle affermazioni di alcuni teologi. La Trinità è il nostro programma sociale, perché la Trinità stessa è una società, regolata da leggi e comportamenti che non possono non avere influsso sulle leggi e i comportamenti che si danno e si attuano nelle società umane. L’archetipo non può non divenire il modello delle realizzazioni che a esso fanno riferimento. La nostra riflessione è ormai saldamente ancorata a una determinata concezione della persona umana, specificata e arricchita dalle categorie di relazione, pericoresi, amore. La società che da lei nasce e a lei fa da culla dovrà essere sorretta e illuminata da queste realtà. Certo, non bisognerà esagerare nelle pretese. La teologia non ha il compito di tracciare programmi concreti e specifici da spendersi direttamente nel mondo dei rapporti umani. La sua ambizione si limita soltanto a enucleare dei principi, a prospettare orientamenti, a indicare piste da seguire, strade da battere, orizzonti da inseguire. Sono poi indispensabili le mediazioni storico-culturali che scendano a contatto con la realtà concreta, come si presenta ai nostri giorni e nei nostri luoghi. Se la società umana è un riflesso diretto della società trinitaria, ne deriva di conseguenza che in questa si possono ripetere gli errori e le deviazioni che hanno colpito quella. Così il monoteismo appare collegato alle diverse forme di assolutismo antico e moderno, la democrazia (almeno sostanziale) a una concezione trinitaria ed egualitaria. Su un piano sociale, la dottrina trinitaria si pone come critica tanto al socialismo (dove la comunione annulla le persone) e al capitalismo (dove le persone annullano la comunione). Due errori che hanno suggerito ai cultori delle scienze umane la ricerca di qualche via intermedia, che salvaguardasse la parte di verità di cui ciascuno è innegabilmente in possesso. La fede trinitaria conferma la bontà di questa intuizione. J. Moltmann parla a questo proposito di personalismo sociale e di socialismo personale che, “con l’aiuto della dottrina sociale della Trinità potrebbero teologicamente essere portati a convergere” (Sulla Trinità, p. 36). La chiesa, icona della Trinità Dopo il concilio Vaticano II, dei nostri temi questo è certamente il più dibattuto. La Trinità è l’origine, il modello, il fine della chiesa, “Io sono la Trinità nel tempo”: a questi termini potrebbe essere affidata l’autopresentazione al mondo della chiesa. Questo implica che la chiesa sia veramente quel mistero, quella comunione e quella missione che a lei ha chiesto di essere il Vaticano II. Uguaglianza, comunione, slancio missionario, esemplarità di vita e di comportamenti, pluralità di forme nell’unità della sostanza, spirito di servizio: queste le vie che le sono tracciale dinanzi. La collegialità è il tema che più pesa attualmente sulle sue spalle. All’interno di essa, il ministero di Pietro deve trovare le sue più giuste espressioni. Le eresie trinitarie del monoteismo modalistico e del triteismo dispersivo si possono ripetere al suo interno nelle forme dell’autoritarismo e della disgregazione. Sono chiamate in causa tanto la comunità cattolica quanto le comunità separate. In ultimo, una chiesa trinitaria non può essere che una chiesa alternativa: una categoria che si sta imponendo sempre di più alla riflessione e alla prassi ecclesiale. Lo richiedono la fedeltà al Vangelo e la missione evangelizzatrice, sulla quale si stanno fermando sempre di più l’attenzione e l’interesse. Rispecchiandosi nel volto della Trinità, la chiesa ritrova in pienezza lo splendore luminoso della sua vocazione e la grandezza ineguagliabile della sua missione (Giordano Frosini, Il ritorno della Trinità. La Trinità come origine, modello e fine della chiesa, “Settimana”, 11 giugno 2002, n. 23, pp. 8-9).