Professione di Fede del 2009


LA BELLA PROFESSIONE DI FEDE DEI VESCOVI BELGI nel 2009

Introduzione
1. Diventare adulti nella fede: era il titolo della nostra dichiarazione di tre anni fa. Rivolto a tutte le comunità credenti, voleva
essere un invito a crescere nella fede. La società mette di fronte la chiesa a molte sfide ma anche a molte possibilità. È soprattutto
la riflessione e l'approfondimento che caratterizza la nostra epoca. Per questo, lo scorso anno, la pubblicazione di una nuova lettera:
incontrare Dio nella sua Parola.
All'origine e alla fonte di ogni fede cristiana c'è l'incontro con Dio attraverso la sua Parola. Ma la fede ha pure un contenuto. Essa
non è soltanto vissuta e celebrata: deve essere pure formulata e professata. Ecco perché è importante imparare a conoscere meglio i
suoi contenuti e soprattutto riscoprire la bellezza della nostra professione di fede.

I. Cosa vuol dire credere?
credo in...

2. “Io credo”. Questa parola riassume da sola chi è il cristiano e lo descrive dalla testa ai piedi. Egli è colui che crede nel suo cuore
e confessa attraverso la sua bocca (cf. Rm 10,10). Descrive pure chi è la Chiesa: la comunità dei cristiani. La nostra fede si radica
nella sua.
Ma c'è credere e credere. Ognuno utilizza questa parola quasi tutti giorni nell'uno o nell'altro senso.
"Sì, questo posso crederlo... sì, questo posso accettarlo!" Di conseguenza non è possibile vivere senza una certa fede. È
impossibile verificare tutto e noi agiamo soprattutto sulla base di quanto crediamo. Noi crediamo che il treno sarà puntuale, che
tutti tengano la loro destra o che l'insalata del commerciante "..." sarà saporita e bella. Tutta la nostra vita concreta è fondata su
questo genere di fede. Non diciamo spesso: "credo che domani farà bello" oppure "mi puoi credere”, oppure ancora "io credo ciò
che è scritto nel mio giornale!"? Noi continuiamo ad accettare ciò di cui non conosciamo a fondo né il come né il perché definitivi.
Facciamo fiducia, e spesso per delle ragioni eccellenti.

3. Ma quando un cristiano afferma: "io credo", é qualcosa che pone in palio qualcosa di assai più importante. Non si tratta
semplicemente di accettare un contenuto sulla parola altrui. La fede cristiana è prima di tutto credere in Qualcuno. Questo esige
ben più che prendere il rischio calcolato di ammettere ogni giorno delle cose che non si possono prevedere o di far fiducia a
informazioni non verificate. La fede cristiana, è entrare personalmente in una relazione di fiducia con Dio. E’ correre un rischio,
ma sulla base di una fiducia in Dio, nella sua fedeltà e nella sua parola. Credere è penetrare in una relazione d'amore e consentire a
ciò che propone un Dio d'amore. Non è prima di tutto un semplice sapere più cose, ma un abbandonarsi a Dio, non tanto a partire di
una chiara visione, ma perché lui é desiderabile, affidabile e degno di essere amato. La fede cristiana non si riduce dunque ad
accogliere delle informazioni in più, fossero anche su Dio, ma è anche e prima di tutto un impegno personale. È il rischio di fare un
salto verso Qualcuno di invisibile.
Il credere cristiano non è la dunque prima di tutto l'accettazione di un insieme di verità e di valori che non potremo darci noi stessi,
non è neppure un vago sentimento religioso, un'emozione spontanea scaturita dal profondo, è affidarsi a Qualcuno, a Dio. È
ascoltarLo e amarLo, è parlare con lui e impegnarsi al suo servizio.
Ma Dio... deve aver parlato per primo!

4. Ciò che il cristiano ascolta non è ciò che gli dice il suo io profondo o ciò che avrebbe scoperto la sapienza umana: il cristiano
accoglie una Parola che viene da un'altra parte, che non proviene né da me né da noi. "Dopo aver parlato a più riprese e in diversi
modi ai padri attraverso i profeti, Dio, nel periodo finale in cui ci troviamo, ci ha parlato nel Figlio" (ebrei 1,1-2). La parola divina
si traduce non soltanto in un linguaggio ma pure nelle azioni. Non basta dunque mettersi all'ascolto di Dio, ma occorre anche
discernere quello che ha fatto e quello che continua a realizzare in mezzo a noi. È lungo tutta la storia della salvezza che Dio si
rivolge agli uomini, sia in atti che in parole. Il termine ebraico che significa parlare (dabar) si inserisce nell'interfaccia della parola
e delle azioni: è una parola-azione.

5. Dio parla. Ma non in una sola volta, di colpo. Dio rivela il suo messaggio piano piano secondo il ritmo della storia umana. Non
si tratta affatto di un "parlare" a-temporale, di un blocco di verità consegnato una volta per tutte e cadute dal cielo come un
meteorite. Dio parla agli esseri umani col contagocce. Ogni evento vuole svelare qualcosa di nuovo, e ogni profeta sviluppa la
Parola, rendendola più ricca, più precisa e più chiara.
Ma c'è ancor di più. Se Dio parla con delle parole, degli atti e degli eventi, lo fa prima di tutto attraverso il suo proprio Figlio. La
parola di Dio è un vivente, il suo proprio Figlio che Giovanni chiama espressamente "il Verbo": "All'inizio era il Verbo e il Verbo
era rivolto verso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1,1). "E il Verbo si è fatto carne" (Gv 1,14). La Parola divina è una persona vivente,
l'uomo Dio, Gesù Cristo. È evidente allora che l'ascolto di questa Parola non si riduce a una semplice audizione. Si tratta piuttosto
di un movimento del cuore: è accogliere il Figlio di Dio fatto uomo. E’ più ancora di dire un semplice "sì", è agire in funzione di
questo "sì". E’ ascoltare e impegnarsi. Credere è contemporaneamente prestare orecchio a ciò che dice Dio, è amarLo e seguirLo.
Credere non consiste mai nell'ascoltare senza impegnarsi. È un'obbedienza attiva. “La fede viene dalla predicazione" (Rom 10,17),
ma "una fede che non avesse delle opere sarebbe morta" (Gc 2,17).

6. Credere, è prendere una strada senza sapere dove ci conduce. Dio ha detto ad Abramo: "parti dal tuo paese, dalla tua famiglia,
dalla casa di tuo padre verso i paesi che io ti mostrerò " (Gen 12,1). La fede gli domandava di partire verso una regione
sconosciuta. Anche per noi, credere é incamminarsi verso una terra che non possiamo localizzare sulla carta. Non vediamo niente,
o quasi. Bisogna quindi dare fiducia, e questo non viene da sè. Di sicuro non viene incontro a chi aspetta delle prove prima di
incamminarsi. Ma Dio ci ha dato un'intelligenza per riflettere e questa si ferma soltanto quando ha visto e capito. Non si corre alla
cieca su una stretta passerella. Noi cerchiamo di consultare la cartina geografica prima di metterci in marcia.
La fede è sempre una risposta,una re-azione

7. La nostra fede è sempre una risposta: non è mai la prima parola, è sempre la seconda, è Dio in persona che ci ha parlato per
primo, in attesa della nostra risposta. Lui si precede. È lui che prende l’iniziativa, come in ogni vero amore.
Dio sollecita la nostra risposta, ecco ciò che attesta la sua grande stima verso noi: Lui ci crede degni di rispondergli. Accetta che
questa risposta sia o positiva o negativa. Si fa il nostro partner, mettendosi quasi al nostro livello, nel rispetto della nostra libertà.
Nel dialogo con Dio, noi possiamo essere dei veri partner, tanto è grande la stima che ci porta. Ci considera e ci tratta come
interlocutori. Ci ama fino a continuare a parlarci, anche quando noi non gli rispondiamo o rifiutiamo la sua parola.
Ma ci sono degli ostacoli

8. Non è facile credere, oggi meno che mai. Un tempo, più che ora, la credenza in un mondo invisibile era evidente . Dio era
semplicemente presente, nessuno dubitava. Che si trattasse del cielo o del mondo divino, erano delle evidenze, un postulato che
non doveva essere provato. Ma dal Rinascimento, una spessa tenda sembra era essere stata tirata tra Dio e noi, come se la porta che
conduce verso di lui si fosse chiusa. Noi non guardiamo più spontaneamente verso l'alto, siamo molto più curiosi di ciò che
possiamo trovare o fare vicino a noi. L'essenziale è pertanto diventato quasi invisibile. Dappertutto regna la tentazione della
riduzione: si vorrebbe ridurre la realtà a ciò che cade sotto i sensi e a ciò che è alla portata del nostro pensiero spontaneo. Diamo
importanza solo a ciò che è visibile e fattibile, a detrimento di tutto il resto. Ecco ciò che rende difficile la fede. Perché "la fede è...
un mezzo per conoscere le realtà che non si vedono" (Ebrei 11,1). Una convinzione del genere non è affatto così semplice come
potremmo pensare.
9. C'è di più. Se non abbiamo più Dio sotto i nostri occhi non deriva semplicemente da una macchia oscura sulla nostra retina.
L'ostacolo è pure nel nostro cuore: è il peccato. Nella lettera ai Romani, San Paolo lega molto chiaramente il peccato alla non
conoscenza del vero Dio (Rom 1). Il peccato oscura l'immagine di Dio nel nostro cuore e contemporaneamente rovina l'immagine e
la somiglianza di Dio secondo la quale noi fummo creati. Se lo specchio non è rotto, è molto rovinato.
10. Ciò che rende la fede difficile è soprattutto il problema del male e della sofferenza. Come conciliare male e sofferenza con un
Dio perfetto è buono? O non può o non vuol far niente. Nei due casi la fede potremmo dire che è "uno scacco matto”.
La Bibbia afferma che Dio ha creato il mondo e che questo è buono. "Dio non ha creato la morte e non prova piacere per la morte
dei viventi" (Sap 1,13 ). San Paolo dichiara che, come la sofferenza, la morte non appartiene originariamente alla creazione. Morte
sofferenza vi sono entrate. "La creazione ... è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha
sottomessa" (Rm 8,20).
Ma la sofferenza e il dolore esistono. Il problema della sofferenza immeritata attraversa tutto l'Antico Testamento. Raggiunge il
suo punto culminante nel libro di Giobbe. Questi non esita affatto a usare e a insultare Dio. Alla vista di suo marito, la moglie di
Giobbe arriva fino a dire: " maledici Dio, e muori!" (Giob 2,9 ). La Bibbia non dà nessuna risposta puramente razionale alla
questione della sofferenza e del male anche se si trovano qua e là dei saggi consigli per aiutare a stemperare questi mali: la
sofferenza, si dice, può fare maturare e purificare. Esistono anche delle prove salutari. Ma non si trova nessuna spiegazione che
soddisfi pienamente le esigenze della nostra intelligenza.
11. Occorre quindi che la luce venga da un'altra parte, che non si tratti mai di una giustificazione puramente razionale. Dio solo
propone una risposta alla questione del male: è Gesù che, benché innocente, assume liberamente la sua sofferenza e si abbandona
con fiducia al Padre fino alla morte che finirà per vincere: risuscita!. Se il nostro combattimento contro la sofferenza non porta una
conclusione al pensiero, non è la stessa cosa per il cuore che contempla Gesù, che crede in lui e si impegna a seguirlo.
L'intelligenza che ragiona deve restare in secondo piano, ma, per fortuna, il cuore la precede.
Punti d'appoggio
12. Per la fede ci sono dei punti d'appoggio e dei cammini per attraversare i dubbi. Nel più profondo di noi stessi, scaturisce una
spinta irresistibile verso il sapere, la felicità, la verità, la bontà e la bellezza. Questa spinta non cessa di rinascere e non si estingue
mai. Ogni verità nuova che noi scopriamo invita a una conoscenza ancora più grande. Ogni felicità stimola la nostra fame ad avere
ancora qualcosa di più. Ogni esperienza della bellezza sveglia la nostalgia di una maggiore bellezza. Nel profondo di noi stessi c'è
il desiderio di una vita eterna, di un'esistenza al di là della morte.
13. La fede può anche appoggiarsi sulla presenza di innumerevoli testimoni della fede, a cominciare da Gesù che ha reso una bella
testimonianza (1 Tm 6,13) davanti a Pilato. A questo si aggiungono gli innumerevoli santi, in modo particolare i martiri il cui
nome, in greco, significa testimoni. Hanno affrontato la morte senza una chiara visione, con una fede cieca nell'esistenza di un
aldilà. "Altri poi furono torturati, rifiutando la liberazione per ottenere una migliore risurrezione".(Eb 11,35b). Sì, "... noi abbiamo
attorno a noi uno stuolo di testimoni" (Eb 12,1).
La loro fede li ha condotti al più grande atto d'amore: donare la propria vita (Gv 15,13). Perché la fede non si riduce ad un'adesione
personale a ciò che ci è proposto. Il sì include anche un impegno di tutta la persona, non solo della testa e delle labbra. Credere è
affidarsi interamente alla Parola di Dio. Il primo atto di fede apre su innumerevoli altre azioni. Il “si" iniziale prelude a ben altro,
perché non si finisce mai di consentire a Dio.
Professare insieme
14. Credere è prima di tutto un impegno personale, una scelta che deriva dal mio io. Ma questo non può essere separato dal noi.
Nessuno esiste indipendentemente dai fratelli e sorelle nell'umanità. L’io non è una monade isolata, come una stanza senza porte né
finestre. Il mio io fa sempre parte integrante di un noi. Noi non crediamo mai da soli, ma sempre in comunione con altri. Essere
cristiani non è un affare privato, perché un cristiano non è mai un solitario, è un membro della Chiesa.
Il credo non cessa di ricordarci questo legame con tutti gli altri credenti. Da qui il suo nome di simbolo. Il termine greco evoca un
testimone che due persone rompono nel momento della conclusione di un accordo. Ognuno ne riceve una metà, che gli permetterà
di provare, tutte le volte che sarà necessario, che la sua metà, e questa sola, si adatta perfettamente all'altra. Alla stessa maniera, il
credo fa la funzione di simbolo perché mostra a chi apparteniamo. Io ne ho una metà, mentre la comunità ecclesiale possiede l'altra.
Il credo è formulato in prima persona: io credo. La nota personale non può essere raggirata, anche se lo recitiamo sempre insieme
con molti altri credenti. Così il mio credo si fonde in questo grande insieme che è il credo di tutta la Chiesa, si fonde nel calore e
nel braciere di una grande comunità credente. È per questo che recitiamo il credo tutti insieme in ogni eucaristia domenicale.
Attorno all'unico ambone e all'unico altare, questo credo unico crea la comunione, la convinzione e l'indispensabile solidarietà. La
parola credo - io credo - risuona più potentemente ancora quando è pronunciato simultaneamente da numerosi credenti o meglio
ancora quando è cantato a una sola voce. La professione di fede allora s’innalza fino a divenire un cantico di lode. Il Credo
acquisisce la nobiltà di un inno.
Noi crediamo in un Dio trinitario
15. Esiste un solo Credo che riassume ciò che ci ha comunicato la rivelazione divina, che deve essere tradotta in linguaggio umano.
A questo livello sono possibili diverse formulazioni. Lungo la storia, diversi Credo sono nati, sempre più ampi e più precisi. La più
antica professione di fede si trova nella prima liturgia battesimale. Come oggi, aveva una struttura tripartita: si crede al Padre, al
Figlio nello Spirito Santo. Il Credo è trinitario.
Già nella Scrittura possiamo trovare dei Credo brevi. Senza essere completi, riflettono il nocciolo di ogni professione cristiana di
fede. "Noi crediamo in Colui che ha risuscitato dai morti, Gesù nostro Signore, immolato per i nostri peccati e risuscitato per la
nostra giustificazione" (Rm 4,24b -25). Oppure "vi ho trasmesso prima di tutto ciò che anch'io ho ricevuto: Cristo è morto per i
nostri peccati, secondo le Scritture. È stato sepolto, e risuscitato il terzo giorno, secondo le Scritture. È apparso..." (1 Cor 15,3ss).
"Chiunque confessa che Gesù è figlio di Dio, Dio dimora in lui e lui in Dio" (1Gv 4,15).
Pian piano si è sentito il bisogno di amplificare, di completare e di specificare la professione di fede, anche perché col tempo, certe
convinzioni erano state deformate, combattute o ridotte. Ma la formula battesimale allora in vigore offriva un trittico a tre ante, nel
quale le altre verità di fede potevano trovare posto. L'inizio del Credo riguarda la prima persona divina, il Padre, e la grande opera
della creazione. La seconda parte è centrata sul Figlio e il mistero della nostra redenzione; l'ultima evoca la terza persona divina, lo
Spirito Santo, principio e sorgente della nostra santificazione (CEC 190). A questo è unito il lavoro dello Spirito nella Chiesa.
Anche se differenti l'uno dall'altro, questi tre aspetti sono inseparabili. Per questo i Padri della Chiesa chiamano articoli le diverse
affermazioni del Credo: sono come le membra di un corpo, articolate tra loro, certo differenti, ma anche solidali. Esse articolano la
fede.
I credo
16. Lungo i tempi sono apparsi diversi simboli della fede, in risposta ai bisogni dei tempi e in reazione alle eresie successive.
Questo lavoro fu realizzato da diversi concili fino al ventesimo secolo, quando papa Paolo VI ha scritto il suo Credo del popolo di
Dio (1968).
Ma tra le diverse professione di fede due sono preminenti: il primo è chiamato il “Simbolo degli Apostoli” perché rappresenta una
sintesi corta, ma fedele, di ciò che credevano gli apostoli. È questa professione di fede che la Chiesa di Roma utilizzava in
occasione della liturgia battesimale. E’ ancora questo stesso simbolo che oggi utilizziamo in ogni battesimo e nella veglia pasquale,
in occasione del rinnovamento delle nostre promesse battesimali. Un altro Credo è quello di Nicea-Costantinopoli, che deve la sua
grande autorità al fatto che fu il frutto dei due primi concili ecumenici (nel 325 e nel 381). Anche oggi, questo credo fa parte del
capitale comune alle chiese d'Oriente e d'Occidente.
E i dogmi?
17. La parola dogma ha oggi una connotazione negativa. Si dice che i dogmi sono restrittivi, imposti in maniera autoritaria e che
restringono la nostra libertà di pensiero. Insopportabile per noi contemporanei! In più, essi non hanno il calore del Vangelo e non
hanno niente, o quasi, di ciò che rende attraente le parole di Gesù. Sembrano talmente impersonali e astratti.
Eppure i dogmi hanno un loro valore e un loro ruolo. Molto prima di noi, dei cristiani hanno riflettuto sulla loro fede e hanno
cercato di formularla in modo lapidario in vista di prevenire delle derive. Ecco cosa sono i dogmi.
In più, noi non crediamo nei dogmi in quanto tali, bensì nel contenuto della fede che racchiudono e di cui questo o quell'aspetto è
formulato più precisamente nel linguaggio della ragione. I dogmi sono delle formule brevi e concentrate, nate molto spesso in
reazione a certe derive o eresie. Sono dei paracarri accanto alla strada, per evitare che ci scostiamo dal giusto cammino. Sono un
aiuto per la nostra condotta e nello stesso tempo i guardiani e i protettori del mistero. Né più né meno.
Ancora, la nostra conoscenza di Dio si è sviluppata: con l'andar del tempo, noi vediamo meglio, più chiaramente più precisamente
di cosa si tratta. È lo spirito Santo che, nella Chiesa, guida questo processo di sviluppo, di arricchimento e di espressione sempre
più fine. "Quando verrà lo Spirito di verità, vi farà accedere alla verità tutta intera" (Gv 16,13).
18. Perché è più difficile accogliere i dogmi oggi più che ieri? Per diverse ragioni. Prima di tutto dovunque si è sviluppata una sorta
di allergia nei confronti di tutto ciò che è imposto dall'alto o da altri. L'autorità pone problema in un'epoca che diventa suscettibile
non appena si parla di doveri. D’ altra parte i dogmi propongono prima di tutto un contenuto di pensiero, non vogliono esprimere
un'esperienza, un'emozione o dei sentimenti, ma soltanto definire più chiaramente ciò che è in questione. Essi sono orientati verso
la verità, ma la questione di Pilato è sulle labbra di ogni nostro contemporaneo: "Che cos'è la verità?" (Gv 18,38).
Non dobbiamo dimenticare che verità, bontà e bellezza sono i tre nomi del Dio unico che é contemporaneamente vero, buono e
bello. Il vero è buono, mentre la bontà è la verità sono belle. E inversamente. Non potremmo dire che c'è una dimensione di lode e
di poesia nell’esprimere chi è Dio? Dogma e dossologia (lode) sono molto vicini. Che cosa c'è di più caro a Dio di quando gli
diciamo gioiosamente quanto egli sia vero, buono e bello? Bene-dicere (benedire) significa dire bene di qualcuno.
19. Il credo dei dogmi evidentemente non dice la totalità della nostra fede. Devono essere completati, precisati da ciò che
comunemente chiamiamo un catechismo. Ecco allora il catechismo del concilio di Trento o il Catechismo della Chiesa Cattolica
(1993) che fa seguito ad una raccomandazione formulata nel 1985 dal Sinodo generale dei vescovi a Roma. Con la Sacra Scrittura,
nella quale sono ancorati, questi catechismi propongono, in tutta la sua ricchezza, il contenuto integrale della fede cattolica. Lungo
i tempi ci sono state ancora molte altre espressioni di fede, ma con meno autorità dei due antichi Credo ai quali bisogna sempre far
riferimento. Solo questi sono normativi per la fede.
II. Cosa possiamo credere?
La bontà della fede
20. Si domanda spesso: cosa dobbiamo credere?, come se si trattasse di un compito o di un peso. Ora, la fede è prima di tutto un
regalo e una grazia. Sarebbe meglio dire: cosa possiamo credere? Più che un'esigenza, la fede è prima di tutto un dono di Dio.
Ma è raro che il nostro che credo sia recepito così. Non è alla moda. Il credo, si pensa, manca di attrattiva. È astratto, terribilmente
secco, senza cuore, in breve un freddo catalogo di verità. È in più è un prendere o un lasciare! Ma si mette un catalogo in musica?
Ora, alla comunità cristiana capita spesso di cantare il nostro credo. Questo infatti non é un catalogo ma una testimonianza forte:
"La bella professione di fede"; non è che un concentrato, un riassunto della nostra fede. Un tale concentrato sembrerà una realtà
rilevante soltanto per il pensiero e l'intelligenza, e per il cuore e la vita. Ma la fede non è soprattutto un affare di cuore? Può
sembrare che il Credo comprima la nostra fede all'eccesso è che questa pertanto diventi un concentrato troppo arido.
21. Ma la Scrittura contiene questa frase importante: "Cristo Gesù che ha reso testimonianza davanti a Ponzio Pilato in una bella
professione di fede" (1Tm 6,13).
Il greco usa la parola “kalos”, la “bella” professione. Questo aggettivo designa ciò che insieme vero, buono e bello, o ancora ciò
che è valido, affidabile, seducente e forte.
22. Una pastiglia effervescente non agisce che diluita nell'acqua. Alla stessa maniera il Credo: deve essere incastrato nella
preghiera, la liturgia e la vita intera. È là il suo vero biotipo. Il credo prende tonalità e volume quando fa vibrare la vita. Il pensiero
si trasforma allora in sentimento, il dovere in potere, l'obbligo in gioia.
Qui è impossibile riportare tutto il contenuto della nostra fede. È per questo che esiste il catechismo. Eppure, il presente
fascicoletto cerca di mostrare fino a che punto la nostra fede può essere seducente, attirante, in breve... bella, come un frutto
paradisiaco che nasce sull'albero della Chiesa.
23. Certo, il dogma come la morale, hanno il diritto di esistere nella Chiesa; ma la fede non è possibile se non quando appassiona,
attira e affascina. La verità (dogma) e la bontà (morale) conservano i loro diritti, ma è solo la bellezza che disarma.
Il Credo,é troppo spesso presentato come uno stock di verità e il cristianesimo come fosse, prima di tutto, un'etica. Ma che cosa si
riduce allora la galleria delle meraviglie di Dio di cui la Scrittura sovrabbonda? Quanto segue sarà quindi molto criticabile perché,
agli occhi di alcuni, il contenuto apparirà troppo poco argomentato o dove é dato troppo spazio all' estetica e alla soggettività. In
ogni caso molto incompleto. Eppure, può essere proprio questa vulnerabilità che darà credito al nostro testo. Dirigiamo il nostro
sguardo verso questo Tesoro che é la nostra fede, così affascinante, attirante e bella. O bellezza, così antica e tuttavia sempre
nuova! scriveva Sant'Agostino.
Io credo in Dio, Padre onnipotente,
creatore del cielo dalla terra.
E in Gesù Cristo,
suo unico Figlio,
nostro Signore,
concepito da Spirito Santo,
nacque da Maria vergine ,
patì sotto Ponzio Pilato,
fu crocifisso, mori’ e fu è sepolto,
discese agli inferi,
il terzo giorno risuscito’ dai morti,
è salito al cielo,
siede alla destra di Dio
Padre onnipotente, di là verrà a giudicare i vivi e morti.
Credo nello Spirito Santo,
la santa Chiesa cattolica,
la comunione dei santi,
la remissione dei peccati,
la resurrezione della carne,
la vita eterna.
Amen
IL PADRE
io credo in Dio, il Padre onnipotente,
creatore del cielo dalla terra
24. Noi, come tante altre persone, crediamo in Dio. Quante persone dicono che c'è qualcosa che ci supera! È la loro definizione di
Dio: qualcosa. Ma per i cristiani, i Giudei e i musulmani, Dio non è qualcosa, ma Qualcuno. Tutto ciò che i cristiani conoscono e
sperano di Dio deriva loro da Gesù Cristo. Allo stesso modo, per la loro maniera di amarLo. Egli è il Cammino.
25. Anche la nostra intelligenza ha le sue esigenze. Può essa provare intellettualmente l'esistenza di Dio? Sono state proposte molte
prove nel corso della storia, ma spesso non sono concludenti che per colui che aderisce alla filosofia che le ispira. Paolo ha detto
che l'intelligenza naturale poteva trovare Dio. Questo non vuol dire che molti vi siano effettivamente arrivati, perché il peccato è
come una cataratta che annebbia la nostra visione. I nostri contemporanei stimano normale di sviluppare le loro ricerche a partire
dall'ipotesi che Dio non esista. Lo scetticismo è come pre-programmato nei nostri geni. Ma sarebbe questo una base sufficiente per
rigettare tutto? E se Dio esistesse veramente!
26. Dio esiste: questa è la fede dei cristiani. Per essi, il cosmo non si riduce a miriadi di stelle e di pianeti. La natura non è soltanto
l'enorme macchina dove tutte le ruote de gli ingranaggi funzionano esattamente secondo il programma del loro fabbricante. Dio fa
molto meglio del progettista e del costruttore di una macchina. Egli vive e crea. La creazione sembra molto di più a un grande
organismo vivente, animato dalla forza vitale di Dio e dotato di un'energia che si sprigiona da lui. Il mondo non è più un gioco di
costruzione, pensato e realizzato da Dio, di cui l'uomo ha a disposizione l’arco della storia per utilizzarne le ricchezze. Il mondo
non è un gioco di costruzioni inerte. No! La realtà è vivificata e abitata da Dio.
27. Dio è in ogni luogo, senza pertanto identificarsi con la sua creazione. Una distanza insondabile la separa, benché siano molto
vicine l'una all'altra. La creazione é la casa di Dio e il mondo è affidato all'umanità. "I cieli sono i cieli del Signore, ma la terra, l'ha
donata gli uomini" (Sal 115,16).
Più di un semplice architetto, Dio é creatore. E’ la sorgente inesauribile. Egli vivifica e sostiene tutto e tutti, conoscendo le cose
come gli esseri umani." Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando mi corico e quando mi alzo; da lontano discerni i miei
progetti", canta il salmo 139 (vv 1-2).
Se è questo il rapporto tra Dio e la sua creazione, come non stupirci e ammirarla? la nostra vita non si sviluppa sotto lo sguardo
freddo di un osservatore divino. Essa é segnata da un'ammirazione profonda di fronte al mistero di un Dio creatore. Non c'è più
nulla d'evidente.
Gregorio Nazianzieno scriveva molto bene:
“Oh Tu, l'aldilà di tutto,
non è tutto ciò che possiamo cantare di te?
non è tutto ciò che possiamo dire?
Quale inno potrà esprimerti, quale linguaggio?
Nessuna parola può esprimerti.
Tu superi ogni intelligenza.
Solo tu sei indicibile,
perché tutto ciò che si dice è venuto da te.
Tutti gli esseri,
quelli che parlano di quelle che sono muti,
Ti proclamano.
Tutti gli esseri,
quelli che pensano e quelli che non pensano affatto,
Ti rendono lode.
Tu hai tutti i nomi, come potrei chiamarti,
tu, il solo che non si può chiamare?
Te, l’al di là di tutto
non è tutto ciò che si può cantare di te?
(S. Gregorio di Nazianzio, Poemi 1,1,29)
Il Padre onnipotente
28. Ma Colui che non un si può chiamare a un nome: Padre. Padre innominabile, ben oltre ogni paternità terrestre. Dio è più di un
fondamento impersonale dell'esistenza, un oceano di vitalità o di energia, egli è Qualcuno, un Padre.
È in Gesù che Dio si esprime più profondamente. È prima di tutto il Padre di Gesù e, attraverso Lui, nostro Padre. Egli ci parla. A
differenza di un Padre, le cose non parlano. Egli si rivolge ad Abramo e Mosé, ai profeti e ai saggi. Il legame che ci lega a Lui è
fatto di parole e di ascolto, sempre reciproci: noi siamo gli interlocutori di Dio.
Se noi sappiamo che certi padri terrestri sono imperfetti e spesso feriti nella loro paternità, noi sentiamo nel profondo di noi stessi
quello che é un padre vero. Quest'ideale, solo Dio lo realizza. E lui non è soltanto mio padre o quello di un popolo eletto, ma il
Padre di tutti gli esseri umani. E’ lui che ha steso un arco nel cielo e che ha detto a Noé: "Io stabilisco la mia alleanza con voi, con
la vostra discendenza e con tutti gli esseri viventi... E’ il segno dell'alleanza che io stabilisco tra me e ogni essere che é sulla terra."
(Gen 9,9.17) Che Dio sia Padre, il profeta lo dice con una semplicità da bambino: "Sei tu, Signore, che sei nostro Padre" (Es
63,16).
Ma è Gesù che verrà rivelarci che Dio è più ancora di un Padre: egli è pure il Figlio e Spirito Santo. Tutto ciò che esiste prende
origine in questo Dio trino ed unico, come le faville scoppiettanti di un fuoco. L'origine di ogni cosa è l'amore di queste tre
persone e il dialogo amoroso che intessono eternamente tra di loro. Nelle chiese orientali, un’icona della Trinità la rappresenta
come i tre visitatori di Abramo, seduti a tavola, con la testa reclinata l'uno verso l'altro, come se volessero dirsi: continua! Cosa
posso fare per te? è il linguaggio di un amore che si spegne sempre davanti all'altro e che gli dice tu sei più grande di me. I Tre non
conoscono che il linguaggio dell'umiltà. Benché siano Dio, ma giustamente proprio per questo.
29. Dio è pure onnipotente, dice il Credo. Che niente sia impossibile a Dio non ha niente a che vedere con una dimostrazione di
potenza di superiorità. L'espressione più profonda dell'onnipotenza di Dio sta nel fatto che si è fatto uomo in Gesù. La sua
onnipotenza, dobbiamo cercarla prima di tutto nella grotta, nella casa di Giuseppe a Nazareth e sul legno della croce. Soltanto noi
potremmo pensare che l'onnipotenza sia soprattutto un affare di forza muscolare o di violenza: al contrario! L'onnipotenza divina è
quella dell'amore. Dio è così potente che può rivelarsi impotente, così grande che può farsi piccolo, vulnerabile e povero. È così
grande che arriva fino a perdonare.
Ma tu hai pietà di tutti
perché tu puoi tutto
è tu allontani gli occhi dei peccati degli uomini
per condurli al pentimento.
Tu ami ogni essere
e non detesti nessuna delle tue opere:
se tu odiassi una di esse,
non l'avresti creata.
E come un essere qualunque avrebbe potuto esistere,
se tu, tu non l'avessi voluto,
dove avrebbe potuto essere conservato
senza essere stato chiamato da te?
Tu li risparmi tutti, perché sono tuoi,
Signore che ami la vita."
(Sap 11,23-26)
Creatore del cielo e dalla terra
30. Gesù può chiamare Dio suo Padre e noi lo possiamo in Lui. Ma é anche il creatore del cielo dalla terra e, in questo senso, Padre
di tutti gli essere umani.
Quante persone sentono di vivere in un mondo pieno di energia, che li supera infinitamente. Percepiscono questo miracolo che é il
cosmo, da un lato immensamente grande e dall'altro immensamente piccolo. Sono presi da ammirazione di fronte a questo mistero
di cui essi fanno parte e nel quale vivono. Ma per i cristiani, i Giudei e i musulmani, questo mistero una persona: il Dio creatore.
Nessuno sfugge alla bellezza del libro della creazione, la Genesi. Certo, la scienza può penetrare questa creazione, analizzarla e
renderlo utilizzabile. Ma ciò che veramente la creazione stessa dobbiamo sentirla in tutto il suo essere profondo.E’ più che
conoscerla e analizzarla con la sola intelligenza. Ecco perché la Bibbia usa dalle immagini piuttosto che dei concetti per descrivere
la creazione, perché solo certe immagini possono suggerire ciò che supera di molto l'intelligibilità. Se la scienza ha aguzzato la
curiosità, la Bibbia suscita la riconoscenza e la gioia. Ecco perché è bello che la Bibbia ci descriva la creazione attraverso un
racconto immaginato piuttosto che in termini scientifici. Sono le immagini molto suggestive dei sei giorni, dalla separazione della
terra e dal mare, del fissaggio del sole - la grande lampada del giorno - e della luna - la piccola lampada per la notte. Dio sparge le
stelle come altrettante perle sull’abito blu scuro della notte. Noi impariamo che Dio ha creato la donna a partire dalla costola di suo
marito per mostrare la strettezza dei legami che li unisce. Noi vediamo l'uomo precipitarsi verso la sua metà con un grido di
stupore: "Ecco questa volta l'osso delle mie ossa e la carne della mia carne" (Gen 2,23).Possiamo veramente penetrare il mistero
della creazione solo attraverso uno sguardo di bambino e se utiliziamo il linguaggio delle immagini.
31. Scopriamo ancora che Dio affida tutta la sua creazione alle cure dell'essere umano. Ne fa il suo luogotenente, autorizzandolo a
ordinare tutto, dirigere e trasformare, in suo nome, nel rispetto di ciò che ha ricevuto. È il re della creazione, che dà nome e voce a
tutto ciò che esiste. È a nome della creazione intera che l'essere umano innalza inni e canti di lode avanti al suo Creatore.
Signore, nostro Dio,
il tuo nome è proclamato per tutta la terra!
Quando guardo il cielo, opera delle tue mani,
la luna e le stelle che hai fissate,
che cos'è l'uomo perché tu pensi a lui,
l'essere umano perché tu ne abbia cura?
(Sal 8, 2a.& 4-5)
32. La creazione divina é incompiuta. Lungi dall'aver creato una volta per tutte, Dio non finisce mai di creare. Applicato a Dio, il
verbo creare non si coniuga mai al passato, ma sempre al presente. La creazione non è un mare stagnante, ma un fiume veloce che
non finisce mai di scorrere. La sua sorgente non si esaurisce mai. Quanto a noi, ci troviamo in mezzo a questo fiume e siamo
incaricati di canalizzarlo, a fare delle dighe o di renderlo più profondo. In quanto partners di Dio noi siamo creatori, costruttori o
spianatori, esploratori delle altezze celesti come delle profondità della terra Ci innalziamo molto in alto per conoscere l’ universo,
poi discendiamo nel centro della terra per estrarre i suoi tesori. Già Giobbe esprimeva la sua meraviglia davanti a quest'uomo che
riesce a svelare i segreti della terra:
“ si è andati alla conquista della selce,,
si sono sconvolte le montagne fino alle radici.
Nelle rocce si sono scavate una rete di gallerie
l'occhio dell'uomo ha visto tutto ciò che c'è di prezioso”
(Giob 28,9-10)
33. Dio ha creato tutto ciò che esiste: angeli ed essere umani, piante, animali e tutto ciò che é nascosto nel cuore della terra, Ciò che
conosciamo come ciò che non conosciamo ancora.
Da nessun'altra parte la creazione e così ben descritta come nel salmo 104, "il salmo della creazione", recitato ogni domenica
mattina:
“Tu stendi i cieli come una tenda,
costruisci sulle acque la tua dimora;
fai delle nubi il tuo carro;
cammini sulle ali del vento;
fai dei venti i tuoi messaggeri,
delle fiamme i tuoi ministri.
Dalle Sue dimore irriga le montagne,
la terra si sazia del frutto del tuo lavoro:
Tu fai crescere l'erba per il bestiame,
Le piante che l'uomo coltiva,
guadagnando il suo pane dalla terra.
Il vino rallegra il cuore degli uomini
facendo brillare i volti più dell'olio.
Il pane riconforta il cuore degli uomini.
Si saziano gli alberi del signore,
e i cedri del Libano che Lui ha piantato.
È là che gli uccelli fanno il loro nido,
e la cicogna ha la sua casa tra i cipressi.
Le alte montagne sono per i camosci,
le rocce sono un rifugio per i rapaci.
Benedici Signore, anima mia!
Alleluia!
(Sal 104,2 di meno quattro. 13 -19. 35b)
IL FIGLIO
E in Gesù Cristo, suo unico Figlio,
nostro Signore, che è stato concepito dallo Spirito Santo,
è nato dalla vergine Maria
34. Il figlio di Dio si è fatto uomo in Gesù, per noi una cosa normale, pressoché evidente. L'impensabile e l'incredibile sono raccolti
in una formula che non ci sorprende quasi più. Siamo ancora sorpresi davanti alla capanna e al bambino Gesù? Davanti a un Dio
che muore sulla croce? Ci meravigliamo del fatto che il più grande si faccia il più piccolo, che Dio si sia fatto uomo, che l'essere
umano possa essere elevato fino a Dio?
Infinitamente grande, Dio non può essere contenuto né dal cielo né della terra. E tuttavia eccolo che s'abbassa alla dimensione di
una capanna. Lui che dà la vita ad ogni cosa ha voluto ricevere la vita da una giovane donna, Maria. Lui adorato da tutto l'universo
e di cui le stelle cantano la lode, si accontenta dell'adorazione di qualche pastore. Per Colui che riempie tutto l'universo, non c'è
posto a Betlemme. La liturgia bizantina canta:
“Cosa possiamo darvi, o Cristo?
Perché, per noi, Tu ti sei manifestato sulla terra
con un uomo.
Ogni creatura nata da te
vuole portarti la testimonianza della sua riconoscenza:
gli angeli i loro canti,
i Magi i loro regali,
i pastori la loro ammirazione,
la terra la sua grotta,
il deserto la sua culla.
È noi?
noi Ti offriamo una vergine e madre
o Dio, prima di tutti i secoli,
sii lodato!
(Liturgia bizantina)
Perché farsi uomo?
35. Perché assumere la condizione umana? Il fatto é che Dio ci ama a tal punto che desidera farsi sempre più vicino. Chi ama
aspira ad avvicinarsi al suo partner. Dio aveva già creato un habitat e un giardino per noi: il suo universo e il nostro! Ma l'amore
desiderava ancora di più. Voleva avvicinarsi a noi, a portata di voce. Lungo tutto il primo Testamento, Dio ha parlato con noi, è
venuto accanto a noi grazie alla parola dei profeti, dei sapienti, ma questo non siddisfaceva ancora l'ultimo desiderio del suo amore,
quello di venire ad abitare tra di noi: il Verbo di Dio s'è fatto carne. È divenuto uno di noi.
36. È nato da una vergine. L'amore fa saltare tutte le leggi della natura. Dio è così potente che rende fecondo ciò che era sterile.
Anche altre donne avevano fatto delle esperienze meravigliose: Sara la moglie di Abramo, la madre di Samuele, Elisabetta la
madre del Battista. Di fronte alla fecondità di Dio, nessuna sterilità umana resiste. Ma al presente, c'è qualche cosa di più e di
differente: è inaudito che una vergine potesse generare un figlio. Lungo tutti i secoli, le chiese sia occidentali che orientali
confessano questo ministero inconcepibile: Maria è nello stesso tempo vergine e madre. Gesù é veramente un regalo di Dio,
generato non da un uomo ma dallo Spirito Santo, “né da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma di Dio" (Giovanni
1,13).
Compromesso col male?
37 Diventando uomo, Dio non si è solo reso piccolo e vulnerabile. Entrando in una storia umana dove il meglio si affianca al
peggio, non si è pericolosamente compromesso? Dio non è stato raggiunto e contaminato da tutte le vicissitudini umane? Noi
abbiamo sempre sangue sulle mani, Dio non se ne é sporcato? In effetti! Ma la sofferenza come la violenza, egli le attraversa e ce
ne libera. "Colui che non aveva conosciuto il peccato, Dio l’ha identificato per noi col peccato, affinché, attraverso di Lui, noi
diventassimo giustizia di Dio" (2Cor 5,21).
Ma intanto, quanto male è stato attribuito a Dio! È sotto il suo patrocinio che sono state realizzate molte cose belle, ma anche
molti orrori. Non si abusa spesso del suo nome? È un mistero insondabile perché Dio abbia voluto entrare nella nostra umanità.
Ogni anno, il tempo di Natale è un momento propizio per allenarci alla meraviglia. Perché non siamo molto sorpresi? Un antico al
canto di Natale comincia con: “Voi uomini! Venite qui ad ammirare!"
Il più bello dei figli degli uomini:
la bellezza di Gesù
38. Gesù è appena nato che il Credo richiama la sua passione morte. È scritto: Nato dalla vergine Maria, immediatamente seguito
da ha sofferto sotto Ponzio Pilato. È possibile immaginare un contrasto più grande tra due persone: Maria e Pilato? tra la fede e lo
scetticismo, la tenerezza e la viltà, tra il dono della vita e la sua soppressione? Il Credo è decisamente molto frettoloso: il Figlio di
Dio è nato - il Figlio di Dio è morto. È difficile essere più brevi e ellittici! Il fatto é che colui che crede desidera arrivare
all'essenziale.
39 Può darsi allora che nato e morto in realtà non siano così lontani l'uno dall'altro. La festa di Natale non rimanda già a Pasqua? Il
legno della capanna a quello della croce? Sulle icone orientali che rappresentano l'attività di Gesù, il nuovo nato dorme nell'ombra
di una grotta scavata nella roccia. E’ avvolto in fasce di cui non si capisce se sono fasce di uno appena nato o di un morto. Si tratta
di un bambino nella sua culla o di un cadavere nella sua tomba? La nascita di questo bambino era l'entrata in un'esistenza mortale.
40. Eppure trent'anni separano i due avvenimenti, anni nel corso dei quali Gesù ha detto e realizzato molte cose. Il suo passaggio in
questo mondo irradia una bellezza una seduzione incredibile. "Percorrendo tutta la Galilea, insegnava nelle loro sinagoghe,
proclamava la buona novella del regno e guariva ogni malattia e ogni infermità in mezzo al popolo" (Matteo 4,23. 9,35).
Una vita in tutto simile alla nostra
41. L'essenziale che é avvenuto tra il suo arrivo e la sua partenza può essere riassunto con una sola frase: “è divenuto uno dei
nostri, simile a noi in tutto, fuorché il peccato” (Rm 8,3).
Il Figlio di Dio, fatto uomo, è passato attraverso tutte le tappe della vita umana, dalla nascita alla morte. I padri della Chiesa
cadevano in estasi davanti a tanta pazienza e umiltà. Dio avrebbe potuto facilmente scavalcare questo tempo dove suo Figlio ha
vissuto una vita nascosta. Il lavoro serio è cominciato solo più tardi, dopo i suoi trent'anni, quando ha cominciato a predicare e a
far dei miracoli. Marco e Giovanni dal canto loro sono muti sulla natività e l'infanzia di Gesù.
Le parabole e le beatitudini
42. Tra la nascita di Gesù e la sua morte sono capitate molte cose. Gesù ha parlato e ha agito. La bellezza delle sue parole ha
sempre attratto i suoi uditori.
43. Prima di tutto le parabole, caratteristica dell'insegnamento di Gesù. Certamante altri rabbini conoscevano già dei racconti
istruttivi e dei paragoni, ma mai si esprimono come Gesù. "Nessun uomo ha parlato come quest'uomo." (Giovanni 7,46). Se i
rabbini utilizzavano delle parabole era per spiegare un testo già esistente. Per Gesù le parabole sono portatrici di un messaggio
proprio. Con freschezza semplicità, esse evocano degli episodi tratti dalla vita quotidiana e familiari a tutti (cfr CEC n 546).
Le parabole interpellano direttamente di uditori. C'era una volta...: è così che Gesù comincia spesso il suo racconto. A prima vista
si tratta di personaggi estranei: un padre, un figlio, una donna, un seminatore... ma l’uditore capisce subito che si tratta di lui stesso.
È proprio lui, questo peccatore, questo fariseo o questo commerciante indelicato. "Quest'uomo sei tu" (2Sam 12,7), diceva Nathan
a Davide. Da qui deriva la forza irresistibile di conversione portata dalla parabola. Essa va dritto al cuore del peccatore (cfr Lc 15),
dello scriba e del fariseo. Ogni volta la parola di Gesù si pone chiaramente a un duplice livello: quando sembra interessare qualcun
altro, di fatto parla di noi.
44. Capita che le parabole raccontino il Regno di Dio e i suoi misteri attraverso delle immagini (cfr MC4 e Mt 13). Mai la
predicazione di Gesù è più originale che nel sermone della montagna (Mt 5-7) che comincia con le celebri beatitudini: Beati quelli
che... queste sono prima di tutto l'elogio che Gesù fa di quelli che credono e vogliono essere suoi discepoli. Sono delle
congratulazioni. In qualche versetto, Gesù traccia questo nuovo tipo d'uomo e che é il suo discepolo, il cristiano: povero di cuore,
compassionevole, dolce, giusto, misericordioso, puro, portatore di pace, perseguitato. Tutti questi termini equivalgono a una sola
parola: "discepolo". Di fatto tutto già implicito nella prima beatitudine, quella dei poveri in spirito. Se le beatitudini sono dei
complimenti, sono pure delle domande che si sono rivolte, delle regole etiche caratteristiche del cristiano. Dobbiamo in effetti
diventare ciò che noi siamo.
Il sermone della montagna é ancora costellato da affermazioni sorprendenti che vanno tutte nella stessa direzione: fate più di ciò
che vi è domandato o di ciò che é strettamente necessario. Il sermone della montagna esalta una giustizia sovrabbondante. Offri la
guancia destra a chi ti colpisce sulla sinistra. Fai non soltanto 1000, ma 2000 passi. Non smettere di pregare. Non fare il bene per
essere visto dagli uomini. C'è soprattutto questo passaggio di connotazione francescana sulla gioia e la fiducia, sugli uccelli del
cielo che non seminano né mietono, sui gigli del campo che non tessono. Ma gli uccelli non mancano di nulla e nessuno è meglio
vestito dei fiori del campo. E questo testo che distilla felicità e fiducia : “Non vi preoccupate... il Padre vostro sa ciò di cui avete
bisogno" (Lc 12,22 & 30).
45. Siamo colpiti dal fatto che Gesù centri le beatitudini su quello che chiamiamo i bisogni interiori, qualificati come secondari.
Povero, compassionevole, puro, misericordioso, gioioso nella persecuzione: sicuramente niente di tutto questo rivela dei bisogni
essenziali o "primari". Noi cerchiamo prima di tutto la ricchezza, la gioia, il piacere, l'ultima parola o la sicurezza. Eppure gli altri
bisogni sono pure profondamente presenti in noi. È su questi che Gesù punta, tanto nelle beatitudini che nel sermone della
montagna. Un po' come in occasione di un pasto esotico: non abbiamo mai visto o consumato questi cibi, e cominciamo ad
annusarli. Ma dopo averli assaggiati, non dimentichiamo più il loro sapore particolare. Ecco una nuova ricetta e a volte, un piatto
prelibato. È la stessa cosa con i nostri bisogni secondari: all'inizio non ci dicono niente ma, usandoli, li troviamo squisiti e
particolarmente piacevoli.
Siamo colpiti dal fatto che le parabole di Gesù sollevino un ogni volta un’ondata di gioia. E’ questa che provoca una giustizia
sovrabbondante, la calma preghiera nel segreto, l'entrata nell'intimità di Dio nostro Padre, la gioia del perdono dei peccati e della
grande misericordia di Dio, l'allegrezza infine di essere liberati dai gravami della legge e di entrare nel regno della grazia. Anche la
sofferenza rende gioiosi: "Siate nella gioia e nell'allegrezza, perché la vostra ricompensa é grande nei cieli; è così in effetti che
hanno perseguitato i profeti che vi hanno preceduto" (Mt 5,12).
Dei segni
46. Gesù non si è accontentato di parlare, ha fatto anche dei miracoli. Nella Bibbia, la parola miracolo designa sempre un fatto che
esce dall'ordinario é che non è possibile situare nel corso normale degli avvenimenti. Certo, sappiamo bene che Dio può compiere
cose inusuali dato che è Dio e ha creato tutto. I miracoli nella Bibbia non sono degli exploits e manifestazioni di potenza, dei
trucchi di prestigiatore. Hanno un senso molto più profondo e sono al servizio di un messaggio da trasmettere. Questi miracoli
capitano sempre in un contesto religioso e la loro portata supera il fatto miracoloso stesso.
I miracoli di Gesù hanno delle caratteristiche molto particolari: non sono mai fatti a vantaggio personale. Semplici, senza troppe
parole o avvolti dal mistero, non sono mai il numero di uno show che presenta un gioco di prestigio. Gesù usa parole abituali e
compie gesti ordinari, come il toccare o l' imposizione delle mani. I mezzi impiegati sono semplici, come la saliva o il fango. Gesù
non cerca lo spettacolo. Gli capita di fare un miracolo nella discrezione senza pubblico. Quando questo diventa troppo numeroso e
s'attacca esageratamente alla sua persona, Lui fugge.
I miracoli di Gesù non sono fine a se stessi. Come segni, essi indicano un "di più" e fanno riferimento ad altra cosa. Il miracolo del
vino a Cana, come la moltiplicazione dei pani rimandano all'eucarestia. La resurrezione di Lazzaro anticipa la resurrezione di Gesù.
È stato crocifisso, è morto ed è stato sepolto
icona della sofferenza umana
47. Il Figlio di Dio ha voluto percorrere tutte le tappe di una vita umana, compresa la morte. Ma ciò che non fa parte del
programma di una vita normale è il fatto di morire liberamente su una croce, per mano di uomini. Questa morte siamo stati noi a
infliggergliela.
A prima vista, la sofferenza non ha alcun senso, soprattutto quella di un innocente. Ma anche qui, Dio mette la logica umana fuori
gioco. Egli ha sofferto per noi, dice la Scrittura, e la preghiera eucaristica aggiunge che ha fatto questo volontariamente. Luca in
modo particolare sottolinea che Gesù è salito a Gerusalemme in seguito a una ferma decisione da parte sua. Dopo la trasfigurazione
sulla montagna, "Gesù prese risolutamente la strada di Gerusalemme" (Lc 9,51).
La passione di Gesù non ha nulla di una prova stoica destinata a esaltare il dolore e a mostrare che è possibile dominare la morte
con la forza della volontà. Gesù ha contemporaneamente patito e voluto la sua passione. Ha sofferto, dice la professione di fede.
Questa forma verbale al passivo indica che egli ha dovuto sopportare la sofferenza, che ha scelto di servire fino a morire. Tra tutti
testi messianici dei profeti della prima alleanza, gli evangelisti hanno mantenuto solo i quattro passaggi di Isaia dove è presentata la
figura di un Messia sofferente: “Verme, non un uomo, oggetto di scherno, uomo dei dolori, il dorso marcato da percosse. Un servo
di Dio che è annoverato tra i malfattori” (cfr Es 53).
Il racconto della passione di Gesù è divenuta l'icona della sofferenza umana. Il suo processo, il suo cammino con la croce e la sua
morte rappresentano tutto ciò che può suscitare repulsione e rivolta: il tradimento di un amico, false accuse, l'ira di una folla
eccitata, la corruzione dei capi, la viltà del giudice e l'ambiguità della sentenza. Non trovo alcun capo d'accusa contro di lui, dice
Pilato, ma immediatamente dopo, questo grido: crocifiggilo. Com'è possibile? In seguito, tutto questo si è ripetuto un numero
incalcolabile di volte nel corso della storia. Ma quella volta là, si trattava del Figlio di Dio. Nella sua passione si sono ritrovate
concentrate tutte le cattive volontà dell'essere umano e la sua capacità perversa di fare del male. In Gesù si è realizzato ciò che
Geremia aveva predetto: "Voi tutti che passate per la via, guardate bene e vedete se c'è un dolore simile al mio" (Lm 1,12).
Follia e sapienza della croce
48. Ma la posta in gioco è molto più importante. Qui non si tratta solo di suscitare l'emozione e la compassione per un simile
dolore, si tratta soprattutto di scoprire che Dio sconvolge la logica umana. Egli non si accontenta di abbassarsi nell'incarnazione di
Gesù, ma, facendo questo, innalza la follia alla dignità di saggezza. Il paradosso di vino raggiunge qui il suo apice. Paolo afferma:
"Il linguaggio della croce, in effetti, è follia per quelli che si perdono, ma per quelli che stanno per essere salvati, per noi, è potenza
di Dio... I Giudei domandano dei miracoli e i Greci ricercano la sapienza; ma noi predichiamo un Messia crocifisso, scandalo per i
Giudei, follia per i pagani, ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei che Greci, lui è il Cristo, potenza di Dio è sapienza di Dio.
Perché ciò che è follia di Dio è più saggio degli uomini, e ciò che la debolezza di Dio è più forte degli uomini" (uno con inchini
1,18.22-25).
Gesù non dà alcuna giustificazione della sofferenza. Mai spiega e prova qualcosa. Non c'è una risposta razionale allo scandalo della
sofferenza. Gesù fa una sola cosa: attraversa la sofferenza e la morte, rompendo questo scandalo dall'interno. La verità ultima sulla
sofferenza non è da cercare nella sofferenza stessa, ma in ciò che segue: la resurrezione. Il senso della sofferenza è spiegato dal
racconto del grano di frumento che muore per vivere. Gesù fa scaturire la speranza dalla disperazione , come dal seme germoglia la
pianta.
49. Evidentemente la croce, la sofferenza non hanno lo stesso significato per noi e per Dio. Per questi, la sofferenza é anche luogo
dove l'amore possibile, lo spazio nel quale l'amore può crescere, fiorire, fruttificare. A partire da Gesù, la croce stessa è divenuta un
passaggio verso la vera vita quella che non conosce mai la fine. La sua morte è la chiave che ha riaperto la porta del paradiso. "Non
bisognava che il Cristo soffrisse questo e che entrasse nella sua gloria?" (Luca 24,26), dice Gesù ai discepoli di Emmaus la sera di
Pasqua. Bisognava che avvenisse cosi’... la sofferenza di Gesù e anche la nostra con Lui, manifestano qui il loro segreto: l'ultima
parola appartiene all'amore, alla vita. Amare fino alla morte, ecco ciò che trionfa dell'assurdità di ogni sofferenza. Questa ha
trovato il suo maestro: l'amore che nasconde in sé un antidoto contro il morso della morte.
50. Un abbandono fiducioso in Dio, anche nel più profondo stato di abbandono: ecco la risposta di Gesù al perché della sofferenza.
Questa speranza questa confidenza sono il cammino che Lui ci indica, il suo cammino che è pure il nostro. Anche noi diciamo:
"Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" (Matteo 27,46) ma per aggiungere subito dopo: " Padre, nelle tue mani rimetto il
mio spirito" (Luca 23,46).
Tutta la vita cristiana è un imparare a camminare sulla strada che conduce dalla prova e dall'enigma alla fiducia e alla speranza, Se
ci riusciamo, la nostra vita come la nostra morte possono essere riuscite.
È disceso agli inferi,
il terzo giorno è risuscitato dai morti
51. Con l'espressione Gesù è disceso agli inferi, il Credo conferma la realtà della sua morte è il fatto che, con la sua discesa nel
regno della morte, Gesù ha vinto la stessa!.
Delle guardie montavano la guardia presso la tomba. Gli avversari non avevano più nulla da fare che di sorvegliare da vicino un
morto per mantenerlo in quello stato. Il morto doveva restare morto. Ma le guardie non avevano lo fatto i conti sull'amore,
dimenticando la legge del grano di frumento: dalla morte dalla tomba, una vita sta per germogliare. Perché l'amore attraversa tutte
le barriere e resiste alle forze della morte. "Le sue fiamme sono fiamme ardenti: un colpo di fulmine sacro. Le Grandi Acque non
potranno spegnere l'amore e i fiumi non potranno sommergerlo" (Cantico dei Cantici 8,6b – 7a). L'amore è più forte della morte.
“Se tu dici a una persona: ti amo, ciò vuol dire: tu non morirai mai" (Gabriel Marcel). Non c'è posto per tutte due: l'amore e la
morte. L'amore vince la morte.
52. La resurrezione di Gesù Lo riabilita. E’ quello che dice Pietro nella sua prima predicazione ai Giudei in occasione della
Pentecoste: "Ogni casa d'Israele lo sappia con certezza: Dio ha reso Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso" (atti 2,36).
Certo, il mistero della resurrezione suscita molte riflessioni e domande, tanto sul che cosa quanto sul come. Paolo ne parla
dettagliatamente ai Corinzi (1Cor 15). Ma quanto al fatto in sé, è secco e deciso: ha visto il Signore resuscitato. “Da ultimo, è
apparso anche a me, l'aborto" (1 Cor. 15,8). Tutte le riflessioni di Paolo culminano in questa decisa affermazione: "Cristo
risuscitato dai morti, primizia di quelli che sono morti" (1 Cor. 15,20). La fede cristiana si rinvigorisce o crolla a seconda che si
accetti o no questa affermazione: “Se Cristo non é risorto, la vostra fede illusoria, voi siete ancora nel peccato... se noi abbiamo
messo la nostra speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli altri uomini " (1Cor.15, 17&19).
Le piaghe gloriose
53. Quando dopo la sua resurrezione, Gesù, rivestito del suo corpo glorioso, appare ai suoi discepoli, è chiaro che tiene a mostrare
loro prima di tutto una cosa: le sue piaghe gloriose. Non vuole sbarazzarsene perché, per Lui sono indispensabili per comprendere
la sua resurrezione. È sempre lo stesso Gesù, prima come dopo la resurrezione.
È lui il morto che é risorto. È lo stesso Gesù sospeso alla croce, che ora si presenta davanti ad essi. Il Venerdì Santo e la Pasqua
sono legati tra loro e non posso essere separati. La resurrezione é la vittoria sulla morte concreta, quella di Gesù. Il Venerdì Santo
sarebbe occasione di disperazione se non ci fosse la Pasqua; ma la Pasqua non può essere compresa senza la pesantezza del
Venerdì Santo. Altrimenti, la croce si ridurrebbe a un momento difficile o un incidente di percorso da dimenticare il più
velocemente possibile. Le piaghe di Gesù non possono essere dimenticate, benché siano così gloriose.
54. Il risorto non è un'illusione, non è un miraggio, né uno spirito che appare, come un'ombra o una proiezione.E’ lo stesso
Signore risorto nella pienezza del suo corpo glorioso. "Avete qualcosa da mangiare? Gli offrirono un pezzo di pesce arrostito. Egli
lo prese e lo mangiò sotto i loro occhi" (Luca 24,41b - 43). Dato che mangia e beve con loro vuole dire che ha un corpo. "Noi che
abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua resurrezione dai morti" (At. 10,41). Ma ormai è glorificato: attraversa porte e
muri, entra in una stanza ermeticamente chiusa. "Gesù venne, con tutte le porte chiuse" (Giovanni 20,26b).
Il frutto della resurrezione: la pace (shalom)
55. Il frutto della resurrezione di Gesù è la pace (shalom), una parola che Gesù pronuncia tutte le volte che incontra i suoi
discepoli. "La pace sia con voi" (Giovanni 20,26). Nella Bibbia, la pace rappresenta molto di più che nel nostro linguaggio
abituale. Per noi, la pace è l'assenza di guerra, di armi e di violenza. Nell'ebraismo invece la pace designa tutto ciò che rende felice.
E’ di fatto un'altra parola per parlare di felicità e tutto ciò che essa richiede: i beni materiali e spirituali, la quiete e l'armonia.
Riassumendo: tutto ciò che c'è di buono. Ancora oggi, quando si saluta qualcuno, non diciamo come in un sospiro: "Vi auguro la
pace e che tutto vada bene"?
Il primo frutto della resurrezione è la riconciliazione e la pace tra Dio e l'umanità, tra questa e la natura, tra gli esseri umani e tra
tutti i popoli. Il Risorto porta la pace alla tutta la terra, Spande prima di tutto il suo soffio di pace sui discepoli, la sera di Pasqua, e,
dopo di loro, sulla Chiesa sul mondo intero: “Alitò su di essi e disse: “Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimettere i peccati saranno
rimessi. A chi non li rimetterete, saranno non rimessi" (Gv 20,22 -23).
In primo luogo c'è la pace tra Dio all'umanità, la pace verticale. È il perdono dei peccati. A Pasqua, Gesù ha offerto alla sua Chiesa
il sacramento della riconciliazione. Dopo Pasqua e il tempo che la seguì, i sentimenti dei discepoli, possono essere riassunti in una
parola sola: la gioia. "Alla vista del Signore, i discepoli furono pieni di gioia" (Gv 20,20b). Da allora la Chiesa non cessa di cantare
"alleluia". Nella notte della resurrezione esulta:
“Ecco la notte in cui Cristo
rompendo i legami della morte,
si è rialzato vittorioso dagli inferi.
Felice è la colpa che ci è valso un tale redentore.
O notte di vera felicità:
tu sola puoi conoscere quest'ora
in cui il Cristo è risorto dagli inferi.
Di te fu scritto:
"La notte splenderà come il giorno;
la stessa notte è luce per la mia gioia".
Perché il potere santificante di questa notte
distrugge il male e lava i peccati,
rende l'innocenza ai colpevoli e la felicità agli afflitti,
dissipa l'odio, apre all'amicizia
sottomette ogni potere.”
(Exultet, inno della notte di Pasqua)
E salì al cielo;
siede alla destra del Padre
56. Gesù viene da Dio e ritorna a lui, perché là è veramente a casa sua, seduto alla destra del Padre. È salito al cielo ed è seduto...
dice il Simbolo degli apostoli. È di là che ritornerà. "È per questo che Dio l’ha fatto Signore e gli ha conferito il nome che è al di
sopra di ogni altro nome" (Fil. 2,9). Ma tutti questi termini sono adeguati: salire, sedere, rinvenire, elevato al di sopra..? Tali azioni
sono concepibili in un mondo divino dove non si parlare né di salire , né di sedersi né di scendere? Un mondo fuori dal tempo e
dallo spazio, dove non c'è né sopra né sotto. Perché parlare allora di Dio in termini spazio-temporali, quando in Lui non c'è né di
sopra né di sotto, né destra né sinistra?
57. L'ascensione non è né un viaggio e neppure una salita, come quella di un pallore aerostatico. Questa parola evoca
semplicemente, con un'immagine, il ritorno del Risorto presso suo Padre che, nonostante la sua incarnazione, non aveva mai
lasciato. Il sedere alla destra di Dio ci dice che è veramente Dio allo stesso titolo del Padre e dello Spirito.
58. Tutto questo mostra come il nostro discorso su Dio è insufficiente, inadeguato. Noi utilizziamo un linguaggio umano che non è
a misura di Dio e non gli è neppure adatto. È come un abito pret-à-porter che indossiamo: non è mai così perfetto come un vestito
fatto su misura. Le nostre parole umane non possono mai parlare di Dio in maniera giusta e precisa. Ma noi ci serviamo dei mezzi
che abbiamo, un linguaggio fatto di immagini che è certamente suggestivo, ma manca di rigore. Le immagini orientano certamente
nella buona direzione, quella della verità; ma non bastano per comprendere questa verità in maniera razionale e completa. Le
immagini sono dei pannelli indicatori che ci indicano la direzione, ma che non ci accompagnano lungo la strada.
È la stessa cosa per il Credo: si tratta di una professione, ma non di un testo preciso e teologicamente ben bilanciato. È impossibile
fare altrimenti! Noi siamo obbligati a utilizzare certe volte delle immagini per suggerire chi è Dio, ciò che è, ciò che dice, ciò che
fa. La conoscenza che ci permette questo linguaggio è approssimativa e parziale. Ma il nostro amore non si ferma alle frontiere del
nostro pensiero.
59 E’ la stessa cosa per quanto riguarda il tempo. Una volta morto e risorto, Gesù sfugge alla nostra cronologia. Resuscitare, salire
al cielo, sedersi e rivenire non si succedono per Lui. Gesù lascia il nostro tempo. Giovanni arriva fino a suggerire che la morte di
Gesù coincide con la sua resurrezione e che dalla croce egli invia il suo Spirito: “Emise lo Spirito”, lo Spirito Santo di Pentecoste,
e non soltanto il suo ultimo sospiro. Ecco ciò che Giovanni sembra voler dire. Dal punto di vista divino, morire, resuscitare e salire
al cielo coincidono. Perché Dio sovrasta il tempo. Dobbiamo allora collocare nell'universo delle leggende i racconti toccanti del
giorno di Pasqua, la settimana pasquale (otto giorni dopo), il tempo di Pasqua o i 40 giorni che conducono all'Ascensione? Niente
affatto! Perché l'evangelista Luca ci tiene a conservare questi riferimenti spazio-temporali tanto nel suo Vangelo che negli Atti. A
noi basta sapere che questa rappresentazione del tempo non è quella di Dio e che i racconti della Pasqua, situati in questa
concezione di tempo, rappresentano molto più che una semplice cronologia. Non si tratta di stare al calendario, orologio alla mano.
Bisogna imparare a guardare con gli occhi della fede che, da sola, svela la portata vera di questi racconti. Questi ultimi servono
utilmente la fede e la sua credibilità. Ci dicono: è vero!
Da dove verrà a giudicare i vivi e i morti
60. Il giudizio finale di Dio alla fine dei tempi è spesso descritto come un giorno di paura e di lacrime (lacrimosa dies - un giorno
di lacrime cantava la liturgia dei defunti). Dio si pronuncerà con severità, domanderà conto delle nostre minime azioni?
L'immagine che noi conserviamo davanti agli occhi è l'affresco di Michelangelo, il giudizio universale, conservato nella Cappella
Sistina a Roma. Vediamo il Cristo giudice, sulle nubi del cielo, alzare un braccio minaccioso, mentre Maria tenta di trattenere
questo braccio. E’ questa una rappresentazione adeguata? È innegabile che il giudizio significa che ci sarà una fine dei tempi e che
allora dovremo render conto delle nostre azioni. Se Dio ci ho creato liberi, noi possiamo accogliere o rifiutare ciò che ci offre e ciò
che ci comanda. Noi, pertanto, siamo pienamente responsabili di ciò che abbiamo fatto od omesso. Il ritorno di Gesù metterà un
termine al relativismo morale che confonde bene e male, questi infatti saranno ormai chiaramente definiti. Il bene sarà svelato e il
male smascherato. Ecco una buona novella.
Ma il ritorno di Gesù rappresenta molto di più ancora. Non è anche e soprattutto l'incontro ultimo con il Signore Gesù? Sappiamo
bene che Gesù era amico dei pubblicani e dei peccatori, tutto pieno di compassione. Sarebbe così cambiato fino a diventare duro e
inflessibile? Se è il giudice, di fatto resta comunque il Salvatore. Nessuno conosce la parola di salvezza che il giudice ci rivolgerà
l'ultimo giorno: ogni volta che voi l'avete fatto a uno di questi piccoli, che sono miei fratelli, l'avete fatto a me... tutte le volte che
non l'avete fatto a uno di questi più piccoli, non l'avete fatto a me (Mt 25, 31 -46). Non si tratta tuttavia di puntare come qualcosa di
acquisito sulla sua misericordia, come se si trattasse di un semplice lasciapassare accordato ai peccatori: sarebbe uno sbaglio
imperdonabile!
Può darsi che noi vivremo quello che Giovanni ha sperimentato a Patmos: "Alla sua vista, io caddi come morto ai suoi piedi, ma
egli posò su di me la sua mano destra e disse: non aver paura, io sono il Primo e l'Ultimo, il Vivente; io sono morto, ed ecco, sono
vivente per i secoli dei secoli, e tengo la chiave della morte e dell'Ade."(Ap 1,17 -18). Il giudice sicuramente aggiungerà non aver
paura... ciascuno di noi potrà allora rispondere: Signore guarda la misura del mio povero amore; riempila con la sovrabbondanza
della tua infinita misericordia. "Chi crede in lui non è giudicato" (Gv 3,18a). Noi potremmo aggiungere: Signore ho creduto e ho
amato, magari molto poveramente. "Alla fine di questa vita, dice di Teresa di Lisieux, io apparirò davanti a voi con le mani vuote,
perché non vi domando, Signore, di contare le mie opere. Ogni nostra buona azione ha delle macchie ai vostri occhi”, (Offerta di
me stessa... all'amore misericordioso del Buon Dio).
LO SPIRITO E LA CHIESA
Credo nello Spirito Santo
62. L'amore del Padre e del Figlio è così profondo che si espande fino a integrare una terza persona autonoma: lo Spirito Santo. Il
loro amore reciproco non è dunque qualche cosa, ma Qualcuno.
Lo Spirito è ben misterioso e, lungo il corso della storia della rivelazione, noi abbiamo imparato a conoscerlo molto lentamente e
progressivamente. Dio ha impiegato dei secoli per svelare il suo Spirito, e continua a farlo. Gli occorre tutta la storia della Chiesa
per farci capire in profondità lo Spirito.
Lo Spirito è talmente inafferrabile per il nostro pensiero, che la Scrittura utilizza delle immagini per parlarci di Lui: lo Spirito è
forte e inafferrabile come il vento, dolce come il respiro, misterioso e scorre lentamente come una sorgente; caldo, chiaro e mobile
come un fuoco; tenero come una colomba; curativo e profumato come il balsamo; scoppiettante di energia vitale come la natura...
63. Ancora, la Scrittura non c'insegna soltanto chi è lo Spirito, ma anche ciò che realizza: egli ha parlato attraverso i profeti,
Spiegherà tutto ciò che Gesù ha detto, Testimonierà per noi davanti ai tribunali. Abita in mezzo a noi e prega dentro di noi.
E’ questo Spirito, disceso su Gesù in occasione del suo battesimo nel Giordano, che, in seguito, è stato sparso sul mondo intero
dall'alto della croce. E’ sceso sugli apostoli riuniti nel cenacolo in occasione della Pentecoste, discende ancor oggi su di noi
attraverso la Parola, il battesimo, la confermazione, come pure in tutti gli altri sacramenti.
Lo Spirito risiede nel più profondo del nostro cuore: "Voi vivete nello Spirito perché lo Spirito di Dio abita in voi" (Rom 8,9). È lui
che ci rende ora attivi, ora raccolti o in preghiera, silenziosi o capaci di portare una testimonianza. È ancora lo Spirito che
dall'interno, fa di noi dei cristiani. Ci riempie “D'amore, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fede, dolcezza, dominio di sé"
(Gal 5,22 -23a).
Lo Spirito abita anche nella Chiesa, ne è la sua anima. E attraverso la Chiesa, si spande come soffio vivificante anche sul mondo e
sulla sua storia. "Sì, lo Spirito del Signore riempie la terra e, poiché contiene l'universo, conosce ogni suono" (Sap 1,7). Lo Spirito
cambia tutto.
“Senza lo Spirito, Dio è lontano,
il Cristo resta lontano nel passato,
il Vangelo è una lettera morta,
l'autorità una dominazione,
la missione una propaganda,
il culto una semplice rievocazione
la vita cristiana una morale da schiavi.
Con lo Spirito il mondo è innalzato
e aspira alla nascita del Regno,
il Cristo risuscitato è presente,
il Vangelo è la forza di vita,
la Chiesa rivela una comunione nella Trinità,
l'autorità è servizio liberatore,
la missione un avvenimento di Pentecoste,
la liturgia memoriale e anticipazione
e l'agire umano è divinizzato".
(Metropolita Ignazio di Lattaquié, Consiglio Mondiale delle Chiese, Upsala, 1968)
Credo nella Chiesa
64. La Chiesa non è frutto di puro caso, è stata voluta da Dio e occupa un posto unico nel piano divino. Gesù stesso ha veramente
voluto la Chiesa.
Vista dall'esterno, la Chiesa è un'istituzione che somiglia a tutte le altre, con dei capi e dei membri, una legislazione e delle regole
giuridiche. Come ogni istituzione, è anche, data la sua lunga storia, colpita da logoramento e da sclerosi sul piano del pensiero,
della parola e dell’azione. Inoltre la Chiesa appare sovente, a torto o a ragione, incatenata a una dottrina rigida, a una morale
stereotipata, soprattutto per quanto concerne la sessualità. E infine spesso si dice che è sommersa nei cavilli e rende schiavi. E
tuttavia nel Credo noi diciamo: Io credo alla Chiesa
Se l’abito della Chiesa è consumato, per il credente, questo non impedisce che la Chiesa sia il corpo mistico di Cristo. Anche se gli
stessi cristiani la criticano, non possono farne a meno. Senza di lei soffocano. La Chiesa è per loro una riserva di ossigeno, un
luogo vitale senza il quale essi morirebbero come dei pesci sulla terraferma.
La Chiesa dà un'anima al mondo, è custode dell'amore, della verità, nutre la fede, coltiva la speranza e conserva la carità. Come la
sposa del Cantico dei Cantici, può dire: “Sono nera, ma bella... non fate attenzione se sono scura, se il sole mi ha abbronzato..."
(Cant 1, 5.&6). Anche pallida, resta bella. La Chiesa è questa sposa senza macchia né ruga (Ef 5,27). Ma tutto questo non è
accessibile che con gli occhi della fede.
65. Lungo tutta la storia, la Chiesa resta ininterrottamente legata agli apostoli. Grazie alla Scrittura, alla tradizione e ai suoi pastori,
resta legata a loro e, attraverso loro, con il Cristo. È per questo che la si chiama apostolica. Anche oggi essa si mette all'ascolto di
questa stessa parola che Gesù ha indirizzato i suoi apostoli. La Chiesa resta la stanza al piano superiore dove fece irruzione lo
Spirito di Pentecoste, Colui che fece comprendere ai discepoli tutto ciò che Gesù aveva loro detto. Secolo dopo secolo e sotto il
soffio dello stesso Spirito, la Chiesa avanza verso la verità tutta intera.
66. La Chiesa è pure una: forma un grande Corpo mistico, quello di Cristo, e racchiude in se stessa tutto ciò che è necessario per
radunare tutti i popoli nell'unità. È per questo che la chiamiamo cattolica, che vuol dire universale. “Dopo questo vidi una folla
immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Stavano ritti davanti al trono e davanti all'Agnello,
avvolti in vesti bianche" (Ap 7,9). Noi viviamo tenendo presente questa visione di unità universale.
67. La Chiesa è santa, e va oltre la somma della santità dei suoi membri, perché è il santo Corpo di Cristo. Essa dispone di tutti i
mezzi per santificare: la Parola e i sacramenti, specialmente il battesimo e l’eucaristia. Essa è la "Sapienza (che) ha costruito la sua
casa e intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso le sue bestie e preparato il suo vino e lei stessa ha imbandito la tavola. Ha inviato i
suoi servi, ha gridato il suo invito dalle alture della città: ‘Se c'è un uomo semplice, venga qui!’ A chi ha smarrito il senso dice:
‘Coraggio, mangiate il mio pane, bevete il vino che ho versato’" (Prov 9,1-5). Fortunati quelli che ascoltano e aderiscono al suo
invito!
Noi riconosciamo pure lo Spirito dai suoi frutti, presenti nel profondo del nostro animo, come dice San Paolo nell'epistola ai Galati:
amore, gioia, pace, pazienza, bontà, benevolenza, fede, dolcezza, padronanza di sé (Gal 5,22 -23). Ma vi sono pure dei frutti esterni
che sono opera dello Spirito Santo: la comunione dei santi e il perdono dei peccati. È Lui che realizza in noi la resurrezione della
carne ed è sempre Lui che ci conduce verso la vita eterna.
La comunione dei santi
69. È uno degli ultimi articoli della professione di fede che fu aggiunto alla fine del sesto secolo. Insomma, un'aggiunta. Ma non
per questo secondaria, perché è una spiegazione dell'articolo relativo alla Chiesa. Si tratta di una specie di radioscopia dell'essenza
profonda della Chiesa: Corpo mistico di Cristo, comunione dei santi.
Non possiamo vivere ed essere felici senza gli altri. Quando siamo soli ci sentiamo incompiuti e tristi. Del resto tutta intera la ogni
nostra personalità dipende dagli altri e si riferisce ad essi. Lungi dall'essere un peso, questa forma di dipendenza è una ricchezza.
70. La Chiesa non è solo una comunità visibile. A prima vista è ciò che noi constatiamo, ma gli occhi della fede ci permettono ad
andare molto più lontano e di scoprire una comunità nello stesso tempo visibile e invisibile. Che gioia avere ancora dei fratelli e
delle sorelle invisibili e sapere che esiste tutto un mondo composto da angeli, da santi e da questi innumerevoli persone morte
prima di noi. Il muro che ci separa non è che una membrana. E’ una forza sapere che ci sono tanti santi.
Essi formano un corteo interminabile. Come noi, hanno vissuto e sofferto su questa terra. Hanno conosciuto la morte e vivono
ormai presso Dio, lodandolo e magnificandolo. Sono numerosi e il calendario ne sovrabbonda. C'è Pietro, Paolo e Giovanni,
Ignazio di Antiochia, il papa Leone il Grande, Benedetto e Gregorio, Domenico e Bernardo, Francesco e Chiara, Ignazio di Loyola,
Teresa d'Avila e Giovanni della Croce, Francesco Saverio e il curato d'Ars, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Charles de
Foucauld, Madre Teresa, Giovanni XXIII, padre Damiano. Quanti amici intercedono presso Dio e, sopra tutti, troneggia Maria, la
Madre del Signore e regina di tutti i santi.
La storia della Chiesa annovera innumerevoli persone che hanno creduto che tutto è possibile a Dio. Con semplicità e fedeltà, essi
hanno bruciato per lui l'incenso delle loro preghiere e gli hanno offerto le loro vite in sacrificio. Hanno amato Lui come pure gli
uomini, anche i loro nemici. "Felice il popolo che ha Dio per Signore!" (Sal 114,15), senza dimenticare tanti fratelli e sorelle che
hanno raggiunto la santità.
La remissione dei peccati
71 Lo dice il nome stesso di Gesù: Egli è Colui che salva il suo popolo dai suoi peccati (Mt 1,21). Fin dalla sua prima apparizione
ai discepoli, la sera di Pasqua, dona loro lo Spirito e il potere di perdonare i peccati. "Allora, di nuovo, Gesù disse loro: ‘La pace
sia con voi’... dopo avere detto questo, alitò su di loro e disse: ‘Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimettere i peccati saranno rimessi, a
chi non la rimetterete se resteranno non rimessi’” (Gv 20,21a & 22 -23).
In una professione di fede, San Paolo dichiara: “Vi ho trasmesso in primo luogo ciò che io stesso ho ricevuto: Cristo è morto per i
nostri peccati, secondo le Scritture" (1Cor 15,3). La morte di Gesù sulla croce attesta che "Colui che non aveva conosciuto peccato,
Dio l’ha identificato col peccato per noi" (2Cor 5,21a) per la nostra salvezza e la nostra santificazione.
Fin dalla sera di Pasqua, il Cristo ha affidato alla sua Chiesa il potere di rimettere i peccati, un potere che essa esercita attraverso il
battesimo e il sacramento della riconciliazione.
La resurrezione della carne,
la vita eterna
72. C'è qualcuno che, nel più profondo del suo cuore, non desidera essere eternamente felice? Questa speranza di immortalità che è
in noi, non potrebbe essere che un'illusione, una fata morgana? Una bulimia? E se fosse così, da dove verrebbe quest'illusione?
Non da Dio, comunque?
Si troveranno sempre molte persone che diranno: ho vissuto la mia vita, non ho bisogno di una vita eterna. Eppure, questo
desiderio di eternità è presente nel più profondo dell'essere umano. Se alcune persone o ideologie combattono così violentemente
questa idea, questa è la prova che è profondamente ancorata nell'uomo. Perché lottare con tanta forza se non si tratta che di
un'illusione?
Questa vita eterna tuttavia non deve essere considerata come una compensazione per quanto non abbiamo avuto o per le nostre
sofferenze di questa terra, una forma di consolazione futura per le nostre prove presenti. La vita eterna è molto più di una specie di
indennità per ciò che non abbiamo avuto quaggiù. È la realizzazione del nostro desiderio di felicità, ben oltre tutto ciò che
avremmo potuto sperare.
Ma questa felicità potrebbe essere piena se il nostro corpo non potresse partecipare a questa vita eterna? Del resto come saremmo
senza corpo? Un essere umano incompiuto! Saremmo ancora dei veri umani? Noi non abbiamo un corpo, ma lo siamo! La
resurrezione deve pur integrare il nostro corpo, se vogliamo parlare di un complimento e di una felicità perfetta. Noi ritorniamo a
Dio che sigilla e completa tutto l'amore che noi abbiamo potuto vivere e condividere: solo l'amore resta.
73. Ma la nostra fede ci dice che, se Cristo è risorto dei morti, pure noi risusciteremo con Lui, compreso il nostro corpo. La
resurrezione del corpo è la pietra angolare del Credo, il sigillo posto sul simbolo della nostra fede. Se dovesse sparire la fede nella
resurrezione, quella di Cristo e quella del nostro corpo, sarebbe il crollo dei 12 articoli del simbolo
Fin dall'inizio del cristianesimo, la resurrezione corporale, quella di Cristo e la nostra, è stata la pietra d'inciampo per gli uditori.
Quando Paolo ha rischiato di parlarne all’Areopago di Atene, chi assisteva rifiutò di seguirlo. "Alla parola "resurrezione dei morti"
alcuni lo prendevano in giro, altri dichiararono: ‘A questo riguardo ti ascolteremo un'altra volta’" (At 17,32).
Questa convinzione poneva problema anche ai Corinti, specialmente per quanto riguarda la nostra resurrezione corporale. Paolo
l’aveva ben capito per cui scrive a loro così: "Ma mi direte, come i morti resuscitano? con che corpo ritornano?” (1Cor 15,35). Una
tale credenza è in effetti una sfida per il nostro pensiero naturale, è in contraddizione totale con la nostra esperienza quotidiana. Un
cadavere finisce per sparire. Come potrebbe sussistere? E Paolo contrattacca: “Insensati!" (1Cor 15,36). Fa riferimento allora a
quanto avviene nella natura. "Insensato! Ciò che semini prende la vita solo a condizione di morire. E ciò che semini non è la pianta
che deve nascere, é un semplice chicco di grano o d'altra cosa. Poi Dio gli dà corpo, come lo vuole e a ogni seme in una maniera
particolare... E’ la stessa cosa per la resurrezione dei morti: seminati corruttibili, risorgeremo incorruttibili; seminati spregevoli,
resusciteremo nella gloria; seminati nella debolezza, resusciteremo pieni di forza; seminati corpo animale, resusciteremo corpo
spirituale. Se c'è un corpo animale, c'è pure un corpo spirituale!" (1Cor 15, 36 -38 & 42 -44).
74. Felice chi può credere che il Cristo è risuscitato e che pure noi resusciteremo dai morti al suo seguito. E Paolo aggiunge, non
senza una nota di disprezzo appena dissimulata: "Se i morti non risuscitano, mangiamo e beviamo, perché domani moriremo"
(1Cor 15,32b).
Vivere eternamente, è prima di tutto e soprattutto vedere Dio cosi’ come egli è, senza più alcun velo. È la realizzazione di ciò che
Giobbe intravedeva: “So bene che il mio redentore è vivo... io lo contemplerò, sì, io! I miei occhi lo vedranno, e lui non sarà uno
straniero. Il mio cuore arde di questa certezza nel profondo di me" (Giob 19,25 a & 27).
Tra le prime parole del Credo (io credo) e le ultime (amen: è veramente così), ci sono molte affermazioni vere buone e belle.
Poterle credere, possono essere fonte di una grande e vera felicità. È una bella professione (1 Tim 6,13). Sì, felice il popolo che ha
per Dio il Signore (sal 144,15).
III. Il Credo nella liturgia
e la vita dei credenti
Il Credo è centrale nella liturgia come nella nostra vita quotidiana. E’ al centro della nostra preghiera, delle nostre celebrazioni e
delle nostre attività.
Il Credo del battesimo
75. La Chiesa utilizza il Simbolo degli Apostoli nella liturgia battesimale. Il futuro battezzato è interrogato per tre volte sulla sua
fede cristiana. La formula battesimale è di per se stessa un Credo: "Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo". È una formula che concentra ciò che costituisce il cuore della professione di fede. C'è la stessa cosa nella consegna che
Gesù fa alla fine del Vangelo di Matteo: "Andate dunque: fate discepoli tutte le nazioni, battezzando nel nome del Padre e del
Figlio dello Spirito Santo" (Mt 28,19).
Storicamente, è a partire dal battesimo che è nata la struttura tripartita del Credo. Tutto il resto è solo uno sviluppo.
Col passare del tempo, la Chiesa ha istituito un periodo di preparazione al battesimo, il "catecumenato". Tutto quello che si faceva
aveva come scopo ultimo la preparazione alla professione di fede battesimale e farla penetrare nel cuore del candidato, Il battesimo
infatti presuppone la fede del catecumeno.
76. Quando abbiamo a che fare con dei bambini in tenera età, allora si tratta della fede dei genitori, del padrino della madrina e di
tutta la Chiesa. Con la generalizzazione del battesimo dei bambini, il tempo del catecumenato è sparito in quanto tale, ma resta il
fatto che le esigenze essenziali del battesimo devono essere assunte, in seguito, personalmente dal battezzato.
77. Ora che il battesimo degli adulti è più frequente, anche nelle nostre regioni, il catecumenato ha ripreso vita,. A questo scopo, il
Concilio Vaticano II ha previsto un rituale specifico, applicabile su un periodo abbastanza lungo. Anche per quelli che sono già
battezzati, questo rituale è un'occasione preziosa che permette di riappropriarsi delle tappe essenziali del catecumenato. Queste
sono l’ascolto della Parola di Dio, l'accoglienza del Vangelo, la pratica della preghiera, la conversione personale, la confessione
esplicita della fede personale e il rinnovo annuale delle promesse battesimali, nella notte di Pasqua. Sono precisamente queste le
principali tappe del catecumenato classico. Esse formano un buon schema e un modello adatto per favorire la crescita della fede
personale.
Il Credo come inno e come preghiera
78. La confessio o "professione" riveste molti significati in latino. Vuol dire prima di tutto e soprattutto una proclamazione, ma
anche una confessione dei propri sbagli (confessione). Ma la confessio indica pure la lode e l’azione di grazie, come nei salmi,
dove ritorna spesso l'espressione: io confesso la grandezza e l'amore di Dio. La confessio della fede diventa allora un atto di culto,
una preghiera. In questa linea anche il Credo è pure una lode di Dio. E’ per questo motivo che spesso è cantato. Diventa allora un
pezzo lirico, un'acclamazione e un'azione di grazie. Del resto nella liturgia, il Credo assume un carattere di dossologia (di lode). È
uno sviluppo del Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo, che conclude ogni salmo della liturgia delle ore.
Il Credo nell'eucaristia
79. Nell'eucaristia, il Credo viene subito dopo l'annuncio della parola e l'omelia, come un sigillo posto sull'annuncio della parola.
Dopo aver ascoltato la Parola divina, noi vi acconsentiamo nella fede. È la nostra risposta alla Parola di Dio, in quanto la fede
nasce dall'ascolto e costituisce la nostra risposta a ciò che Dio ci dice.
Dopo la proclamazione della Buona Novella c’è l'omelia, che spesso affronta un solo aspetto della fede, il Credo situa questa
nell’insieme della fede cristiana. Ciò che ha sviluppato l'omelia va ora messo accanto a tutto ciò che potrebbe e dovrebbe ancora
essere detto. La nostra risposta di credenti non riguarda mai un solo aspetto della fede. È nella rivelazione divina tutta intera che
noi crediamo. Dopo l'ascolto della Parola di Dio, il Credo riprende immediatamente come una lode riconoscente per tutto quello
che abbiamo ascoltato e per la nostra fede intera. Come i pastori davanti al presepio, lasciamo la liturgia della parola con questo
sentimento: "I pastori se ne tornarono, cantando la gloria e la lode di Dio per tutto ciò che avevano sentito e visto" (Lc 2,20).
80. Grazie al Credo, la parola detta si esprime in una lode ancora più forte: quella del sacramento. Il Credo fa da cerniera tra la
parola pronunciata e la presenza costante di Cristo nel pane e nel vino dell'altare. Anche se la proclamazione della Parola rende già
presente il Cristo, i segni sacramentali del pane del vino consacrati sono, in se stessi, permanenti. La natura del segno inutilizzato è
decisiva per la maniera e l'intensità della presenza di Cristo. Infatti, tutta la celebrazione eucaristica è racchiusa da due professioni
di fede nella Santa Trinità. Comincia con il segno della croce d'apertura e termina con una benedizione trinitaria. La Chiesa
conserva la sua eucaristia in questo scrigno prezioso che è il Credo.
La mia fede e la fede della Chiesa
81. Non è raro che i Credo ufficiali della Chiesa siano percepiti come stereotipi, astratti e difficili da comprendere, sembrano
riflettere una fede imposta con autorità. Ora molti nostri contemporanei sono allergici ad ogni forma di imposizione. Come molti
non cristiani, i fedeli di oggi sono soprattutto interessati dal mio, dalla mia fede piuttosto che dalla nostra fede. Non possiamo
negare che credere è un atto eminentemente personale, che richiede un impegno personale intenso. Come questo pensiero può
conciliarsi con una formulazione identica per tutti? Non avrei il diritto di esprimere la mia fede alla mia maniera? Di qui la
tendenza a costruire una professione di fede personale, o ancora una formulazione adatta a quella circostanza particolare, a quella
festa o a quella comunità celebrante, una professione di fede " alla carta". È in questo modo che stanno apparendo dei credo
alternativi.
Cosa pensare? Credere in effetti è un atto eminentemente personale, che non può scaturire che dalla propria coscienza. L'impegno
di credente è personale, ma anche se la mia professione di fede nasce dalla mia libertà, non è da meno espressione della fede
ecclesiale. Se é mia scelta personale credere, l'oggetto di questa adesione appartiene a tutta la Chiesa, e il nostro atto di fede è
integrato nel suo.
82. La fede appartiene alla Chiesa: è ciò che esprimono i Credo, sia il Simbolo degli Apostoli che il Credo Niceno-
costantinopolitano. Se l'atto di fede è mio, il contenuto viene dalla Chiesa. I Credo alternativi possono avere un certo valore,
esprimere una eccellente fede personale, ma scaturiscono dalla fede individuale e non dalla liturgia ufficiale. Inoltre può capitare
sovente che i Credo alternativi siano soggettivi, parziali, frammentari. In fin dei conti sovente sono degli impoverimenti. Il Credo
non è l'espressione di sentimenti, di idee o di emozioni personali, è il consenso a ciò che Dio rivela alla sua Chiesa.
83. Il Credo è spesso anche un incoraggiamento a spostare le frontiere ben oltre i nostri sentimenti e i nostri interessi: allarga
l'orizzonte limitato della mia propria fede. D'altra parte, il Credo è una chiave per costruire l'unità della Chiesa e per la legare le
generazioni. Sia verticalmente che orizzontalmente, fa il legame tra noi e i nostri predecessori nella fede, i credenti che seguiranno
e quelli di oggi, sparsi sull'intero pianeta. La mia fede non può crescere se non si radica nella terra feconda della Chiesa di ieri e di
domani, così pure nell'eredità della Chiesa attuale, sparsa nel mondo intero. Il credo comune allarga e dilata lo sguardo. Ben
lontano dal restringerlo, lo libera.
Infine il Credo ci lega a tutti gli altri fedeli d'Oriente ed Occidente, che confessano tutti la stessa fede. Ha pertanto anche una
grande portata ecumenica, è come la carta dell'universalità della nostra fede.
Il credo e la vita di fede
84. Vivere da cristiani è perseverare nella fede. Si tratta di una iniziazione permanente, sempre incompiuta, di una riappropriazione
continua del nostro battesimo. L'iniziazione cristiana passa attraverso diverse tappe: dapprima l'annuncio, poi l'insegnamento, la
catechesi, la pratica della vita cristiana, l’invio per annunciare agli altri. Tutte queste tappe sono sempre da riprendere e da
riattivare.
Il primo annuncio, il Kerigma, è la proposta, breve ma forte, di quello che costituisce il nocciolo del messaggio cristiano: Cristo è
nato, è morto ed è risuscitato per noi. Questo primo annuncio tocca il cuore e lo spinge alla conversione. Segue poi lo sviluppo
sistematico e ragionato di ciò che il Kerigma sintetizza troppo: è la catechesi. "La catechesi è un'educazione della fede dei ragazzi,
dei giovani degli adulti, che comprende specialmente un insegnamento della dottrina cristiana, data in generale in modo organico e
sistematico, in vista di iniziare alla pienezza della vita cristiana" (CEC 5).
85. La fede richiede sempre nuovo nutrimento e approfondimento. Il cammino di fede pertanto non è mai concluso. "Io credo!
Vieni in soccorso della mia mancanza di fede!" (Mc 9,24), dice a Gesù il padre del ragazzo posseduto da un demonio. Questa frase
accompagna ogni cristiano lungo tutta la sua vita. La fede cresce come una seme nel terreno del nostro cuore, ha bisogno di acqua e
di sole, il sole della preghiera e l'acqua di una catechesi permanente.
La Chiesa ci fornisce degli strumenti: il Catechismo della Chiesa Cattolica (1992 e attualizzato nel 2005) così pure il libro della
fede dei vescovi belgi (1287). Innumerevoli iniziative di formazione sono proposte ogni anno dalle diocesi in migliaia di posti.
Esiste il settimanale Dimanche come pure i periodici diocesani. Si elabora sempre più una vera catechesi per adulti, sviluppata su
tutta la vita, ma ci sono dei momenti forti per la crescita della fede. Quante persone maturano nella loro fede in occasione di tappe
importanti della vita quali il matrimonio, il battesimo di un bambino, la comunione solenne e la confermazione oppure i funerali?
Oppure in occasione di pellegrinaggi nei numerosi santuari mariani, vicini o lontani. I pellegrinaggi a Lourdes sono sovente sia una
vera catechesi sia una specie di ritiro spirituale.
86. Così il Credo ci accompagna lungo tutta la nostra vita, dal battesimo alla morte, lo recitiamo ogni domenica e ogni anno, in
occasione della veglia pasquale.
Nel momento della nostra morte, la Chiesa prega in questi termini:
"Ora puoi lasciare questo mondo, anima cristiana.
Lascialo, nel nome di Dio, il Padre onnipotente, che ti ha creato,
nel nome di Gesù Cristo, Figlio di Dio vivo, che ha sofferto la morte per noi,
nel nome dello Spirito Santo che ha posto la sua dimora in te;
Che oggi tu viva in pace, e la tua dimora sia presso Dio, nella Chiesa del cielo,
con la vergine Maria, la santa Madre di Dio, con San Giuseppe,
con tutti gli Angeli e i santi di Dio"
(sacramenti per i malati, 217).

I vescovi belgi
settembre 2009