Conosco Dio, perché lo ho incontrato - 23.06.2013


 

don Marco Pedron
 
XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (23/06/2013)
Vangelo: Lc 9,18-24   
Ci troviamo nel capitolo 9 di Lc: è un capitolo di svolta per il vangelo di Lc. Da questo punto in poi (9,51) Gesù prende la grande decisione di andare a Gerusalemme, costi quel che costi, ben sapendo di rischiare molto e cosciente di che cosa avrebbe potuto accadergli. 
 
Il vangelo inizia dicendo che Gesù si trovava in preghiera (9,18). 
Se noi prendiamo il vangelo di Lc troviamo che nei momenti importanti Gesù è sempre in preghiera. 
Al Battesimo (3,21) "Gesù stava in preghiera" e finché pregava sente la Voce: "Tu sei il figlio mio prediletto" (3,22). Qui Gesù sente di essere amato da Dio in maniera incondizionata, aldilà di tutto e di tutti. La preghiera è quel "clima" dove aldilà di tutte le mie brutture e le mie sozzure sento che a Dio vado bene. 
Gesù guarisce un lebbroso (5,16) e tutti lo cercano: allora lui "si ritirò in luoghi solitari a pregare". La preghiera aiuta Gesù ad essere centrato: quando sei "importante, famoso o potente" se non stai attento perdi la tua direzione, la "Trebisonda". La preghiera aiuta Gesù a non perdere la sua strada, la sua missione, ciò per cui Lui c'è ed è venuto. 
Quando sceglie i Dodici (6,12), prima si ritira tutta la notte a pregare. Prima delle grandi scelte c'è bisogno di preghiera, di luce, di aver chiaro cosa fare e cosa scegliere, cosa è buono, cosa no e cosa è importante. 
La trasfigurazione avviene finché sta pregando (9,29): solo nella preghiera, solo in un profondo contatto con sé, solo collegati con le sorgenti vitali e interne, si può capire la propria vera e ultima essenza. 
Sul Monte degli Ulivi (22,39-46) prima della sua morte, in un momento di estrema sofferenza e angoscia interna, Gesù ancora prega e prega intensamente. La preghiera qui gli serve per ottenere quella forza, quella fiducia, quel coraggio, per poter andare fino in fondo alla sua missione. 
In croce Gesù prega (23,34): "Padre perdonali, perché non sanno quel che fanno" e morirà ancora pregando, con in bocca un verso del Salmo 31: "Padre nelle tue mani consegno il mio spirito" (23,46). 
Lc ci presenta Gesù che in ogni momento importante, decisivo, focale, della sua vita, pregava. 
 
Noi confondiamo preghiera e preghiere. Pregare è molto di più, infatti che dire preghiere. Ci chiediamo: ma come pregava Gesù? 
Gesù diceva le preghiere. Come tutti gli uomini del suo tempo alla mattina e alla sera diceva lo Shemà (Mc 12,29) e le Diciotto Benedizioni. 
Ma Gesù soprattutto pregava. Cioè: più che recitare parole viveva un sentimento profondo di fiducia e di legame con suo Padre. Vediamo alcune caratteristiche della sua preghiera. 
 
1. Si alza spesso al mattino e se ne va in luoghi solitari e pregare, a volte prima dell'alba; altre volte, lontano da tutti, pregava da solo al tramonto e per molta parte della notte (Mc 1,35; 6,46; 14,32-34). 
Quindi più che il luogo Gesù cercava il clima. Il silenzio e il distacco dalle persone gli permettevano di non essere distratto, di essere centrato e concentrato, di entrare dentro di sé per incontrare Lui. 
Non è il luogo, la chiesa, che di per sé fa preghiera. E' il clima che c'è dentro. Se in chiesa vi è silenzio fuori e dentro, concentrazione, se non vi è dispersione mentale ed emotiva, allora vi può essere preghiera. 
Non è il luogo che fa la preghiera (il luogo certo aiuta) ma l'atteggiamento interiore. La chiesa è un luogo di preghiera ma non è detto che sia preghiera. C'è preghiera ogni volta che il mio animo sa aprirsi, emozionarsi, elevarsi, percepire la presenza dell'infinitamente Grande (Dio) nell'infinitamente piccolo (l'uomo). 
Sappiamo scientificamente che la preghiera cambia, modifica la realtà e le persone. Se si prega e si benedice sull'acqua, l'acqua assume conformazioni armoniche e piene di amore. Se si prega sull'acqua della pasta, bolle più rapidamente. 
La preghiera è l'unione delle energie delle persone che si sintonizzano su di un canale e su di una frequenza divina, un canale che le trasforma e che trasforma. In certi momenti incontri, in certe meditazioni, in certe liturgie, si può veramente sentire l'Energia di Dio che scorre. 
Ma non basta dire una preghiera (cioè una serie di parole) perché sia preghiera. Non basta dire "amore" perché ci sia l'amore. Il legame e il sentimento di amore sono tutt'altro dalla parola "amore". 
 
2. A volte pregava in piedi come ogni buon ebreo, a volte prostrato a terra come nel Getsemani. Sappiamo che aveva l'abitudine di "alzare gli occhi al cielo" (Mc 7,34; Gv 11,41; 17,1) cosa non frequente visto che gli ebrei rivolgevano lo sguardo verso Gerusalemme. 
Sappiamo che preghiere di gioia, di benedizione, di contemplazione, gli uscivano in qualsiasi momento. Così benedice i piccoli, gli esclusi (Mt 11,25-26); benedice gli ammalati (4,40) e i bambini (Mc 10,16). Cioè: tutto, ogni emozione, ogni stupore, ogni meraviglia, poteva diventare preghiera e invocazione a Dio. 
Preghiera è emozionarsi e ringraziare Dio per gli occhi lucidi di tua moglie che ti ama, per il sorriso dei tuoi figli che ti riempie il cuore, per un passo o un passaggio fatto e raggiunto, per tutto ciò che c'è di bello, di vero, di meraviglioso intorno a me. 
Preghiera è benedire (cioè dire bene), mentre satanico è maledire, giudicare e vivere sempre nella rabbia. Preghiera è piangere di gioia e commuoversi, sorridere e dirci tutto il nostro amore. Per chi ha un cuore vivo, basta poco per pregare. Ma per chi ha un cuore morto, nulla è preghiera. 
 
3. Non ha preghiere fisse, rituali. Anche il Padre Nostro, l'unica preghiera di Gesù che i vangeli riportano l'abbiamo secondo due tradizioni ben diverse (Lc 11,2-4; Mt 6,9-13). Questo ci fa capire che non c'era una preghiera rigida, ma piuttosto un canovaccio da seguire che poi ciascuno adattava a sé. 
In Mt 6,7-8 dice chiaramente che la preghiera non è una ripetizione meccanica o magica: "Quando pregate, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate come loro: il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancora prima che gliele chiediate". 
La preghiera non è una recitazione, una ripetizione, ma un esporre, un aprirsi a Dio, un entrare in comunicazione con Lui. E' una comunicazione con l'Altissimo e una disponibilità ad ascoltare cosa Lui ci dice. 
L'essenza della preghiera di Gesù l'abbiamo in Mc 14,36: "Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu". La preghiera di Gesù è fiducia totale in Dio e in suo Padre. 
La preghiera per Gesù è poter dire: "Sì" a qualunque cosa. E quando una cosa è difficile, allora prego di più non per piegare la volontà di Dio alla mia ma perché io possa accettare ciò che mi sta succedendo. Preghiera è dire come Dag Hammarskjold: "Per tutto ciò che è stato grazie, e per ciò che sarà sì". 
I discepoli di due famosi maestri si trovarono insieme. Allora i discepoli di uno dei due maestri iniziarono ad elencare l'incredibile serie di miracoli, di prodigi e di guarigioni che il loro maestro faceva. Alla fine chiesero: "E il vostro maestro che miracoli fa?". "Da voi è miracolo se Dio fa la volontà di un uomo; da noi è miracolo se un uomo fa la volontà di Dio". 
 
Finché è in preghiera Gesù chiede ai suoi discepoli (9,18): "Chi dice la gente che io sia?". 
Gesù parla bene, compie miracoli, guarigioni, ha un notevole seguito e successo. E' normale che le persone si chiedano: "Ma chi è costui?". Erode stesso, qualche versetto prima, si era chiesto la stessa cosa: "Erode sentendo parlare di questi avvenimenti, non sapeva che cosa pensare... Giovanni Battista l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui del quale sento dire tali cose?" (9,7-9). 
Le risposte che circolano in giro sono il meglio che ci si può aspettare. Alcuni dicono: è Giovanni Battista, il più grande profeta del tempo. Altri: Elia. Elia, secondo la tradizione, non era morto e sarebbe ritornato alla venuta del Messia. Altri: uno dei profeti, quindi un uomo di Dio. 
Ma poi Gesù approfondisce la domanda. Gesù passa "dagli altri" a "te": "E voi, chi dite che io sia?" (9,20). 
La risposta di Pietro, portavoce degli apostoli è: "Tu sei il Cristo", l'unto, l'aspettato (9,20). Gli esperti della Bibbia dicono: non può essere stata questa la vera risposta di Pietro visto che Gesù mai si è definito così e che nel versetto successivo parla di sé come Figlio dell'uomo (9,22) e non come di Cristo. Cosa rispose Pietro o chi per lui non lo sappiamo ("Cristo" è una risposta post pasquale). Ma rimane la realtà della domanda: "Chi sono io per te?". 
 
Molte persone credono di essere cristiane perché sono battezzate: quella è l'appartenenza. Ma essere discepolo di Gesù è averlo incontrato nella propria vita: "Cos'ha fatto Dio per me?". 
Zaccheo (19,1-10): "Ero un peccatore, un impostore e lui è venuto a casa mia, lo stesso. Mi ha fatto sentire che non serve rubare per compensare le proprie inferiorità interne, perché l'amore colma ogni buco". Lui poteva dire: "Io so chi è perché io l'ho incontrato!". 
Il cieco di Gerico (18, 35-43): "Io ero cieco. Avevo gli occhi ma non ci vedevo. Ero chiuso al sentire, alla vibrazione dell'amore, della gioia, della compassione. Ma adesso ci vedo grazie a Lui. Adesso so quant'è bella la vita, perché adesso ci vedo, non vivo più nell'inconsapevolezza". La cecità è tremenda: pensare che non siamo padroni della nostra vita è cecità; credere che siamo dentro ad un "sistema", che è così e non si può fare niente... che non possiamo guarire da certi mali fisici... che non possiamo meritarci l'amore o di essere felici... che la colpa del nostro malessere è degli altri... tutto questo è cecità. Ma se qualcuno ti apre gli occhi...! 
La donna curva (13,10-17): "Io l'ho conosciuto, io l'ho incontrato. Prima vivevo curva: mi addossavo i problemi di tutti che mi schiacciavano, io non c'ero. Prima venivano sempre gli altri e io vivevo da crocerossina per tutti. Prima io vivevo di regole (il sabato) che dovevo scrupolosamente rispettare. Ma poi l'incontrato e adesso vivo dritta, in piedi, adesso non sono più sottomessa a nessuno. Io so chi è perché io l'ho incontrato". 
L'emoroissa (9,43-48): "Io so chi è, perché Lui mi ha liberato. Prima io perdevo sangue. La mia sessualità era bloccata e la mia femminilità era assente. Ma poi l'ho incontrato e sono guarita. Io adesso so chi è Lui". 
La figlia di Giairo (9,40-56): "Io so chi è. Io prima ero morta, non mangiavo più, ero anoressica, non volevo più vivere, ero piena di odio non espresso per i miei genitori. Ma poi l'ho incontrato e sono tornata a vivere e a mangiare; poi l'ho incontrato e ho avuto la forza di diventare donna, di crescere, di non aver paura di diventare grande. Io adesso so chi sono perché io l'ho incontrato". 
Maria di Magdala (8,2): "Io so chi è. Io ho conosciuto il suo amore risanante. Io ero pazza, sclerata, fuori, da psichiatria: ne avevo sette di demoni dentro di me. Ma il suo amore mi ha guarito e curata. Non serve che mi dicano chi è, perché io l'ho incontrato e ora so chi è Lui". 
 
Guardate il vangelo: tutti quelli che l'hanno seguito lo hanno fatto perché avevano avuto un incontro vivo con Lui. Sono tutte persone che hanno incontrato il Signore: Lui ha cambiato la loro vita e loro non sono più stati gli stessi. L'incontro con Gesù è stato un incontro che ha trasformato radicalmente la loro vita. Lo seguivano perché lo avevano conosciuto, sperimentato: sapevano benissimo chi era. 
Gesù diceva: "Vieni e seguimi" (Mc 1,17; 2,14) o "Vieni a vedere" (Gv 1,39; 1,46). Dio non è un'idea. Se l'hai incontrato, se hai aperto il tuo cuore, se l'hai fatto entrare e Lui ha rovesciato la tua vita, allora sai benissimo chi è. Altrimenti non conosci niente. 
Dio è un'esperienza, un incontro, un "ribaltamento", altrimenti non è niente. Dio è qualcosa che ti coinvolge, che ti fa diverso, che ti porta lontano: per questo chi ha paura non lo può seguire. Dio ti cambia la vita, per questo è irresistibile. 
 
Poi Gesù dice: "Il Figlio dell'uomo deve molto soffrire..." (9,22). 
Nessuno di noi vuole soffrire, è ovvio. Ma è necessario soffrire perché è solo nella sofferenza che si vede quanto profonde sono le tue radici, quanto ci tieni alle cose. 
Quando ti dicono che sei "diverso" da tutti, soffri: ma se ti conformi, se non hai il coraggio di accettare la sofferenza della diversità, come puoi seguire la tua strada e la tua missione? 
Quando cercano di distruggere ciò che fai per invidia, soffri: ma se rinunci vuol dire che non ci tenevi tanto. 
Quando bisogna cambiare modo di pensare, si soffre: pensavi in un modo e adesso devi stravolgere la tua vita. Ma se non cambi, invecchi e ti sclerotizzi. 
Quando ci sono da fare certe scelte si soffre: ma si può accettare tutto nella vita? 
La sofferenza ci purifica e vaglia le nostre radici. Alcune persone soffrono e continuano a soffrire perché non imparano niente; altre, invece, utilizzano la sofferenza per non soffrire più. 
Ai nostri ragazzi imponiamo delle "sofferenze", cioè delle cose dure. "Vuoi il motorino? Te lo compri con i tuoi soldi anche se io potrei comprartelo". "Vuoi quel maglione? Hai finito la paghetta mensile? Aspetti!". "Vuoi andare in vacanza da solo? Quando sarai maggiorenne!". "Vuoi una cosa? Impara la fatica che serve per averla". 
Passeggiando in campagna un uomo scorse un tale che stava armeggiando con una corda accanto ad un albero. Si era legato un capo della corda ai fianchi, con un nodo scorsoio, e stava tentando di far passare l'altro capo sopra un grosso ramo. "Che cosa fa?", gli chiese incuriosito. "Mi sto impiccando", rispose l'altro. "In questo caso", suggerì il passante, "il nodo deve farselo passare intorno al collo". "Ci ho già provato - disse l'uomo - ma in quel modo soffoco". Molti vorrebbero fare grandi cose ma non hanno nessuna intenzione di sopportarne la sofferenza o le conseguenze. 
 
Poi Gesù dice: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (9,23). 
Alcune persone hanno interpretato questa frase come umiliarsi, non vivere, sacrificarsi. Ma Gesù non ha vissuto così. Gesù, in certi momenti ha dovuto dirsi: "No". Rin-negarsi vuol dire proprio questo: "Mi dico di no!". 
Amarsi è dirsi di sì ma amarsi è anche, per il mio bene e la mia coerenza, dirmi di no. Di fronte a certi atteggiamenti o a certe situazioni devo dirmi: "No!". 
Idee del tipo: "L'uomo non piange mai; non si chiede aiuto a nessuno; io ce la faccio da solo; meglio non ascoltare quello che si ha dentro". No, se faccio così accantono, muore la mia anima. Mi devo dire: "No!". 
Il capo o il collega approfitta di noi. E' difficile dire: "Adesso basta, adesso se ne parla, adesso si tira fuori la cosa anche se è difficile e anche semi fa paura". 
Tua moglie dice di amarti ma tu lo senti che lei è lontana o altrove. E' difficile dirsi: "No, non si può far finta di niente, adesso bisogna affrontare la questione". 
Vivi scappando da te, facendo un sacco di cose per stordirti, per non sentire il vuoto che c'è dentro: "Adesso basta, non posso andare avanti sempre così, adesso mi devo fermare e ascoltare": 
E' difficile dire: "No" ai nostri pensieri, dire: "Non è la verità questa". "Nessuno si occupa di me; nessuno mi vuole bene; ce l'hanno tutti con me; a me tutto va storto; cos'avrò fatto di male io per meritarmi tutto questo; perché tutte a me". E' difficile dirsi: "Smettila di piangerti addosso: non è niente vera che il mondo ce l'ha con te". 
E' difficile dirsi: "No", quando provo gusto a sparlare degli altri e a giudicare. "No, non mi fa bene: parlo male degli altri solo perché io non riesco a vivere la mia vita. Devo smetterla": 
E' difficile dirsi: "No... smettila... basta...", ma è necessario. Perché se non so rinnegarmi, dirmi di no, come possono essere veri i miei sì. 
Un uomo pregava tutte le sere Dio che lo facesse vincere al Superenalotto. Dopo svariati mesi, non successe niente. Allora l'uomo gli disse: "Ma perché non mi ascolti?". "Ma io ti ascolto ogni sera". "E perché non ho mai vinto?". "Perché alla tua richiesta, ho risposto di no!". 
 
Poi Gesù chiude il vangelo dicendo: "Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà" (9,24). 
Quel verbo "salvare", sozo, vuol dire custodire, risparmiare, preservare. Salvare quindi nel senso di risparmiarsi, di preservarsi. Vi ricordate la parabola dei talenti (Mt 25,14-30)? C'erano tre servi: due, avuti i talenti, li impiegarono e fruttificarono. Uno, per paura, andò a nasconderlo. 
E' così: chi vuol preservare la propria vita, chi non vuol rischiare, chi non vuol mettersi in gioco, perde la propria vita. Chi non la osa, la perde. 
Quante persone vivono sulla difensiva tutta la vita: non osano di cambiare, un comportamento nuovo, di lasciare dei vecchi amici, di cambiare paese, di cambiare idee, di mettersi in gioco. E' triste: perché chi vive così, sulla difensiva, perde la sua vitalità, la sua anima, la sua vita. 
 
Ma la frase è ancor più profonda. Il termine vita, in greco psiché, indica i nostri contenuti psichici. Ci sono delle persone che sono "morte" piuttosto che cambiare i propri contenuti psichici. Perché ciò che non può essere cambiato (se è il caso) ci farà morire. Piuttosto di cambiare le proprie visioni interne, alcune persone muoiono. Che tristezza! E' un peccato che non sia riportata la frase successiva: "Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi si perde o rovina se stesso" (9,25). 
C'è un ragazzo che lavora con il padre. Il padre è il suo mito, ma quel lavoro non è per lui. Ma piuttosto che deludere il padre, si sta condannando a fa un lavoro che non vuole. Perché morire dentro? 
C'è una donna che non ha ancora lasciato il suo ex. Lei, inconsciamente, lo attende ancora, per questo non trova nessun altro. Sta preferendo "morire" d'amore piuttosto che accettare la verità e il dolore che lui se ne è andato e che non tornerà. 
C'è una donna che fin da piccola ha imparato che amare=sacrificarsi. Lei era la più grande e ha dovuto tirar su i suoi fratelli. Per lei non c'era mai spazio. E' chiaro che dietro a questo comportamento c'è un buco d'amore, un abbandono. Oggi fa lo stesso: lei si disfa per gli altri e si giustifica: "Bisogna amare gli altri, lo dice anche il vangelo!" (vero, ma dice anche di amare se stessi!). Se non accetta il dolore dell'abbandono della bambina, dell'essere stata sola, morirà nell'anima (perché per quanto faccia non basta mai). 
Un uomo ha imparato a non esprimere mai la rabbia. Sembra così buono, ma non è buono, ha solo paura. Il suo corpo è rigido, soffre di colite e la schiena si blocca sempre. Se non si permetterà di esprimere la rabbia, soffrirà tantissimo. Perché vivere così quando si può vivere sani? 
Gli orientali hanno questa storia. Tutte le notti i mostri andavano a far visita ad un discepolo. Lui faceva finta di niente e li lasciava fuori di casa. Diceva: "Finché sono fuori, non facciamoci problemi". Ma ogni notte i mostri aumentavano di più. E una notte se lo mangiarono! 
 
Pensiero della Settimana 
 
Se ti amo ti ho nel cuore 
e se ti ho odio ti ho nella mente.