Coi piedi per terra - 21.07.2013


don Marco Pedron
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)
Vangelo: Lc 10,38-42   
 

Gesù in viaggio verso Gerusalemme si ferma dalle sue amiche Marta e Maria (sorelle di Lazzaro). A noi sembra un gesto normale, ma Gesù in realtà rompe con gli schemi convenzionali.
1. Innanzitutto perché va a casa di due donne e non vi sono uomini presenti! Il gesto a quel tempo non poteva che venire letto come dubbio se non scandaloso, o provocatorio. Non si poteva incontrare una donna senza la presenza di un uomo.
In Gv 4,27 i discepoli sono sorpresi che Gesù parli con una donna (la samaritana) e pensano: "Perché parla con lei?".
2. Poi perché la legge proibiva alle donne, come ai pagani, di conoscere il mistero di Dio. La donna (diceva la Legge) non poteva testimoniare in tribunale, non era abile ad educare i figli, non poteva neppure recitare la preghiera alla tavola. C'era il detto in giro: "Si brucino le parole della torà, ma non siano comunicate alle donne".
Le donne non potevano leggere la Bibbia del tempo (la Torah), non potevano partecipare alla s.messa (le liturgie alla sinagoga o al tempio), non potevano neppure andare in chiesa (alla sinagoga potevano accedere solo se nessuno le vedeva o dietro una grata) e tanto meno frequentare le scuole.
Gesù se ne infischia di tutte queste regole assurde e stupide ma tenute in considerazione da tutti, uomini e donne, e va nella casa di queste due donne e parla loro proprio di Dio. Perché ogni volta che una legge è contro l'uomo è contro Dio. E' un atto sovversivo: facendo così Gesù vuole rovesciare un modo di pensare e di agire.
Pensate che cosa dovevano provare i maschi del tempo e gli uomini della legge quando lo vedevano agire così! Come non potevano considerarlo eretico? E per la legge lo era! Ma non per il cuore...!

 

Gesù fu condannato e ucciso come eretico, bestemmiatore e amico del diavolo! Fu condannato perché la sua esistenza era equivoca, dubbia, amorale, provocatoria, areligiosa. Ciò che è drammatico della sua esistenza è che Dio (il Figlio) è stato condannato come non-Dio, come anti-Dio.
E pensate che cosa dovevano provare le donne che finalmente si sentivano amate, rispettate, degne di esserci.
Ogni uomo libero è così: tanto è amato da chi cerca la libertà (proprio per la sua libertà), tanto è odiato da chi non cerca la libertà (proprio per la sua libertà).
Gesù non fu l'uomo di pace che intendiamo noi. Noi siamo cresciuti con l'immagine del Gesù "buono e dolce", di quello che non litiga mai, che appiana ogni contrasto, che non entra in conflitto. Le immaginette che una volta si vendevano lo presentavano con gli occhi azzurri e con una faccettina angelica.
Ma nel vangelo Gesù non è assolutamente così. Gesù è stato un punto di rottura, un rivoluzionario, un uomo che rompeva con schemi, idee e falsità. Non dobbiamo mai dimenticare che Gesù fu ucciso non perché il suo messaggio era "buono", ma perché era "Nuovo".

Storicamente dev'essere successo questo: Gesù arriva dal viaggio, è stanco fuori e soprattutto dentro.
Marta si agita a preparargli da mangiare, a far sì che tutto sia in ordine, ad accoglierlo esternamente.
Maria, invece, lo accoglie dentro: lo ascolta, ascolta il suo cuore, le sue difficoltà e le sue paure.
Nel tempo poi l'episodio è diventato un modello dell'ascolto della Parola e della priorità dell'essere rispetto al fare. Le parole di Gesù che Maria ascolta e Marta no, sono diventate poi la Parola da ascoltare.

La scena si svolge nelle relazioni che avvengono fra i tre personaggi: Marta, Maria e Gesù.
La relazione fra Marta e Gesù. Marta non è cattiva, anzi. E' lei infatti che accoglie Gesù. Il vangelo dice che lo "accoglie nella sua casa". E' un'espressione molto simbolica: gli vuole veramente bene e lo vuole per davvero accogliere nel suo cuore. Quell'uomo Gesù gli è entrato dentro e lo porta, lo conserva, nella sua parte più intima (casa). Non è questo il punto e il problema. Il guaio è che Marta ha stabilito lei di cosa deve aver bisogno Gesù.
Qual è il primo bisogno di ogni uomo? Essere accolti.
Tuo figlio viene a casa da scuola. E' stato quattro, cinque ore sotto pressione per la possibile interrogazione; ha ricevuto decine di domande e ha dovuto dare decine di risposte; ha dovuto rendere conto all'insegnante e confrontarsi con i suoi compagni. E' un luogo di forte tensione emotiva. Arriva a casa e la prima cosa che tu gli domandi è: "Come è andata a scuola?". Lui dentro di sé pensa: "Ancora! Ancora domande? Ancora rendere conto? Basta, pace, pausa!". Siccome è gentile ti dice: "Bene, mamma!", che tradotto vuol dire: "Lasciami in pace!". Allora tu insisti: "Ma cos'avete fatto? Chi mancava? Ti ha interrogato? Cos'hai preso? Come è andato il compito di ieri?": una valanga di domande. Giustamente lui si sente assediato: "Ma basta!". Allora tu ti arrabbi: "Ma è possibile che con te non si possa mai parlare!". Secondo te di cosa ha bisogno tuo figlio se non di un po' di pace, un po' di staccare, un po' di essere abbracciato. Il resto verrà, ma non adesso. Accoglilo e vedrai che poi lui si aprirà.
Arriva tuo marito dal lavoro. Tu sei a casa in maternità (tuo figlio ha tre mesi). Non vedi l'ora che arrivi perché non hai parlato tutto il giorno con nessuno e sei un fiume in piena. E poi hai voglia di farti una doccia: con questo caldo! E poi vuoi uscire un attimo, anche solo a portare giù la spazzatura o ad andare fino all'alimentari tanto per fare due passi. E poi vorresti telefonare anche a tua madre che è una settimana che non la senti. Lui non arriva e allora lo chiami al telefonino: "Sei in ritardo! Ma dove sei finito! Ma sono ore di arrivare!". Come arriva: "Dai che non faccio in tempo a fare la spesa; ah, ricordati di chiamare l'idraulico; guarda se in frigo c'è questo; è arrivata quella bolletta, dacci un'occhiata, ecc". Lui allora sbuffa e tu gli salti addosso: "Ma non pensi a me che tutto il giorno sono chiusa in casa? Tu te ne sei stato fuori e in giro; io invece sono rinchiusa in queste quattro mura domestiche! Se non volevi un figlio ci dovevi pensare prima, perché adesso ce l'abbiamo!". Di che cosa ha bisogno tuo marito? Di staccare un attimo, di un pizzico di pausa, di un bacio, di un abbraccio, di sentirsi aspettato e poi ti aiuterà, terrà il bambino, ti ascolterà e ti darà una mano.
Arrivando a casa tutti, adulti e bambini, abbiamo bisogno di essere festeggiati, accolti, coccolati; solo dopo, ci faremo le domande su come è andata, faremo i lavori di casa e ciò che c'è da fare.
Quando Gesù arriva in casa di Marta e Maria, di che cosa ha bisogno? Non ha bisogno di mangiare, di bere, di una casa pulita. Ha bisogno di essere accolto, abbracciato, rassicurato, ascoltato.

Marta è il modello di quelle persone che si distruggono dal lavorare. Ad uno sguardo superficiale di fronte ad una che si è distrutta dal lavoro per te, che ti ha fatto da mangiare, che ti ha sistemato la casa, che ti lava, che ti stira, come fai a chiedere qualcos'altro? Si può dirle qualcosa? "Con tutto quello che faccio per te? Chi è che stira qui in casa? Chi lava? Cosa vuoi ancora?".
Molti genitori si schermano dietro a frasi del tipo: "Ho dato la mia vita per te! Ci ho rimesso la salute! Ho vissuto per te! Lavoravo anche sedici ore per portarti a casa il pane!". Allora uno si sente in colpa; di fronte ad uno che ti dice così, cosa puoi addurre? Cosa puoi dire?
Eppure questo è un modo per non lasciarsi mettere in gioco. "Siccome ho fatto questo per te, non puoi chiedermi altro". "Siccome stiro, lavo, pulisco e lavoro tutto il giorno non chiedermi anche di accoglierti, di ascoltarti, di esaudire i tuoi bisogni".
Dire: "Mi sono distrutto per la mia famiglia; ho dato la mia vita per la parrocchia; do la mia vita per questo lavoro; sono tutto per i figli" può essere solamente un modo per giustificarsi e per non cambiare, per non mettersi in gioco, per mettersi la coscienza a posto. Non basta!
Anche Marta si sentiva al sicuro: "Me desfo par tì (mi distruggo per te)". Faceva tanto, è vero, ma non quello che serviva a Gesù.

In realtà Marta ha lei un gran bisogno di essere riconosciuta e accettata da Gesù. Ma il suo bisogno non è chiaro a lei, non lo riconosce, non lo esprime e così accusa Gesù e sua sorella.
Ha bisogno di fare bella figura con Gesù, così che lui possa dire: "Ma che brava che sei! Ma che buon cibo! Che bella casa! Ma come ti sei data da fare per me: grazie!".
Una donna mi invita in casa sua perché vuole festeggiarmi (dice lei). Mi mostra la casa e in effetti è una bella casa anche se non secondo i miei gusti. Dopo un po' mi dice: "Ma non mi dici neanche che ho una bella casa!". "Bellissima!", dico io (e fu contenta per tutta la serata: avrei potuto chiederle tutto!). Era il suo bisogno di sentirsi dire: "Ma che bella casa!", che voleva dire: "Ma che brava che sei!".
"Non mi telefoni mai!". Sii più chiaro e dimmi: "Avrei piacere di sentirti; avrei piacere che tu mi cercassi!". "Non sei mai a casa!". Sii più chiaro e dimmi: "Vorrei che stessimo più insieme!". "Ti fai sempre gli affari tuoi!". Sii più chiaro e dimmi: "Ho bisogno (avrei bisogno) del tuo aiuto". "Non mi ascolti mai!". Sii più chiaro: "Ho bisogno che tu ti sieda, che mi ascolti, che tu mi dia tempo".
Quante volte ci diciamo: "Sei sempre in giro... ci sei per tutti gli altri ma non per me... sei fuori anche stasera?..., ecc". Perché non manifestiamo direttamente, apertamente il nostro bisogno: "Ho bisogno di te; ho bisogno che tu stia con me; ho bisogno di sentire il tuo amore; ho bisogno di sentire che valgo, che sono importate per te". E' chiaro perché non lo facciamo: il farlo ci farebbe sentire vulnerabili.
Allora facciamo come Marta: accusiamo. Perché è più facile accusare che manifestare i propri bisogni; è più facile colpire che mostrarsi vulnerabili e bisognosi (e quindi poter essere colpiti).

Per Marta Gesù si deve trovare bene e deve trovare ogni confort in modo da poter dire: "Che brava donna!". Questo però è il suo bisogno ma non quello di Gesù.
Marta ha già deciso lei di che cosa Gesù deve aver bisogno. Ha le sue categorie in testa e i suoi schemi e non si è minimamente posta il problema: "Chissà di che cosa avrà bisogno?". Lei aveva già deciso
Perché non ha chiesto a Gesù: "Di che cosa hai bisogno?". Era così semplice! Invece no, si è indaffarata come una matta per poi risentirsi e sentirsi vittima, delusa, perché lui non l'ha riconosciuta.
E quando Gesù se ne sta con Maria lei si sente offesa: "Ma come con tutto quello che faccio per lui?". Ma è il tuo bisogno, non il suo. Sei tu che vorresti che tutto fosse a posto, secondo le regole. Sei tu che vorresti essere riconosciuta da lui e fare bella figura con lui. Questo è il tuo bisogno.
Spesso noi proiettiamo sugli altri i nostri bisogni e siccome poi gli altri non li esaudiscono, ci arrabbiamo con loro. Ci sembrano cattivi, ci sentiamo offesi perché non hanno fatto secondo le nostre aspettative. Appunto hanno fatto secondo le loro esigenze!
Devo imparare a riconoscere i miei bisogni ed esprimerli. Devo imparare a riconoscere le mie aspettative e a non proiettarle sugli altri arrabbiandomi perché poi non vengono esaudite.
"Tutte le volte chi io l'ho invitato a cena da me... lui, mai una volta!". "Io le ho chiesto di farmi da testimone di nozze ma lei non si è neanche degnata di chiedermelo!". "Chiede a tutti di fare il catechista e a me no!". "Parla con tutti (abbraccia tutti) e me no!".
Hai bisogno di qualcosa: lo dici chiaramente perché non hai una televisione in testa in cui gli altri possano leggere i tuoi bisogni. Sono i tuoi bisogni e tocca a te esprimerli. E poi impari ad accettare la risposta "sì" e anche la risposta "no".

Gesù usa due parole per definire ciò che sta vivendo e facendo Marta: "merimnas" e "thoribaze".
"Merimnas" vuol dire preoccuparsi nel senso di affannarsi, di angustiarsi, di essere in pensiero: è l'ansia del fare. "Thoribaze" vuol dire agitarsi; "thoribos" è il tumulto, la confusione, il mormorio di voci dentro di noi.
I due verbi indicano il frullare dei pensieri in testa di Marta che diventano azioni. E' chiaro: arriva Gesù, è un personaggio importante, è una persona a cui Marta vuole bene. Vuole fare una gran bella figura e vuole sentirsi stimata da lui. Ma è preoccupata di deluderlo, di non essere come lui si aspetta.
Allora fa', fa', fa', fa', fa', si agita e si dimena come un'ossessa. Allora emergono tutti i pensieri della mente: "E sarà contento? E sarà soddisfatto di essere stato qui con noi? E gli andrà bene quello che gli preparo da mangiare? E lo deluderò? E se brucio il cibo? E non è in ordine tutto?".
Quando si innesca questo meccanismo è la fine. Perché i pensieri diventano un ossessione che si ripete all'infinito. E finché non dici basta, tutto diventa possibile e pericoloso.
Incontri un ragazzo che ti piace. Sarebbe una bella cosa se finisse tutto qui. Ma poi "merimnas" e "thoribaze" iniziano a dire: "Chissà se gli sono piaciuta? Che si sia accorto che non mi ero depilata? L'abbinamento del vestito era quello giusto? Che mi abbia detto la verità? Chissà se mi chiama? Non è che faccia così con tutte? E se ne ha un'altra? E se non è affidabile? Piacerà ai miei amici? E a mia madre?". Quando inizi a pensare così è la fine.
Fai un incontro di lavoro: "Avrò risposto bene? Sarò piaciuto? Quella cosa potevo non dirla; quell'altra avrei dovuto accentuarla di più; se sorridevo di più sarebbe stato meglio. Che sia stato sufficientemente credibile? Mi prenderanno? Perché mi ha salutato freddamente? E' la fine!"
Pensate nel corso della giornata di oggi quante volte "merimnas" e "thoribaze" vi hanno rovinato l'esistenza: "Oddio farà caldo anche domani! Domani ritorna il rompiballe del collega! Fino a fine mese non ci sono ferie! Mia madre sta male: e se ha un "brutto male"? Riuscirò a spiegarmi con mia moglie? E se finisce il nostro amore? E se non ce la faccio? Mi capiranno? Sarò accettato? Andrò bene? Mi vorranno? E se perderò il lavoro? E se ci sarà una crisi? E se avrò una malattia? E se non riesco ad uscirne?".
E' la fine. Perché tutto è possibile, a ben pensarci, ma non c'è ancora e quindi è inutile preoccuparsi per ciò che non esiste. La realtà è che tutto è possibile, ma il possibile non c'è ancora. Quindi angosciarsi per ciò che potrebbe accadere, capitare, succedere o avvenire (ma che non c'è ancora) non ci fa altro che soffrire senza motivo.
Quando si innesca "merimnas" e "thoribaze" (il frullatore della testa) bisogna dirgli: "Basta, smettila! Realtà! Piedi per terra! Questa cosa c'è? No. E allora non prendiamo paura di ciò che non esiste. Se verrà l'affronterò, ma per ora non c'è, non c'è motivo di aver paura".
Anni fa venne un uomo a parlare e mi disse: "Sa, padre, sono terrorizzato". "Ah si, e da che cosa?". "E se vengono gli alieni e ci sequestrano?". Non sapendo che rispondere dissi: "Beh, in effetti è un bel problema!". "Lo sapevo che lei avrebbe concordato con me. Ha visto che faccio bene ad angosciarmi!".

Marta e Maria non si parlano mai, non si dicono niente.
Perché Marta non è diretta con sua sorella? Perché non glielo dice in faccia? Perché mugugna sotto? Perché cerca di portare dalla sua parte Gesù contro Maria?
Marito, moglie e figlia di dodici anni. La madre: "Non è vero Chiara che il papà dovrebbe essere un po' più in casa?". Ma diglielo a lui, perché cerchi di coalizzarti con tua figlia? Perché cerchi di avere la superiorità di due (tu e lei) a uno (lui)?
A volte le persone chiamano: "Senta io ho dei problemi con mio marito, non è che ci potrebbe parlare lei?". Ma è tuo marito, perché ci dovrei parlare io? Parlaci tu!
La madre al figlio: "Quando viene a casa tuo padre ti sistemerà lui per le feste!". Perché non gli parli tu? Perché non agisci tu? Perché devi chiamare in causa l'autorità di un altro? Tu non ce l'hai?
Sembrano i fratelli che quando succede qualcosa si dicono: "Lo dico alla mamma!".
Quanta gente è incapace di affrontare le persone con le quali ha una questione? No, va dal vicino, dal collega, dal fratello e parla di quel problema. Ma che c'entra lui? Hai una questione con Caio va da Caio. Hai un conto in sospeso con Tizio, vai da Tizio. Andare da un altro non serve se non che a farti compatire e perché lui (che non conosce la situazione) ti dica: "Poverino, hai ragione!".
Così la moglie si sfoga con le amiche di quanto il marito sia insensibile, chiuso e pensi solo a quello. E il marito si sfoga con gli amici che lei è paranoica, pensa sempre all'ordine e che non le si può dire niente.
Parlatevi! Ditevi ciò che non va! Trovare consensi dagli amici rinforza solo l'idea di essere dalla parte del giusto, della ragione, per cui l'altro è dalla parte del torto. Ma non risolve la questione.

Maria, invece, coglie il bisogno di Gesù e lo ascolta.
Maria non ha deciso prima di che cosa deve aver bisogno Gesù. Lo ascolta quando arriva. Maria non dice una sola parola, si fa vuoto, spazio, perché Gesù possa entrare.
Quando all'inizio ascoltavo le persone "merimnas" e "thoribaze" mi perseguitavano: "Di che cosa parleremo oggi? Riuscirò a gestire il discorso? Dove andremo a finire, a parare? E se non ne viene fuori niente? E se mi pongono domande a cui non so rispondere? E riuscirò a capirli? Sarò efficace? Riuscirò?".
Ma adesso quando viene qualcuno a parlare l'unica cosa che faccio è ascoltarlo. Il resto viene da sé.
All'inizio pensavo di dover cambiare le persone (e inconsciamente tentavo di gestire io il cambiamento). Ma adesso ho capito che non devo cambiarle, se vorranno lo faranno loro e a modo loro. Io le ascolto solo e do loro uno spazio dove possono vedersi, guardare le loro paure, i loro mostri e le loro energie per quello che sono; io garantisco uno spazio dove possano sperimentare che sono i Figli prediletti di Dio, gli amati da Lui.
Quando questo succede, avvengono anche le trasformazioni, ma sono loro a decidere come e quali. Il mio compito è solo quello di fornirgli un campo d'amore, di protezione, dove poter ritrovare dignità in sé.
Maria fa questo: crea uno spazio vuoto dove Gesù può entrare e mostrarsi per quello che è. Questa è l'ospitalità che tutti noi cerchiamo: qualcuno dove poter essere noi stessi senza essere giudicati.

Il vangelo dice che Maria stava ai piedi di Gesù.
Stare a contatto con la terra (humus) o con i piedi indica l'atteggiamento di umiltà (humilitas) che contraddistingue quell'uomo (homo). Maria è lì tutta per lui. E Gesù lo sente.
"Puoi stare qui; puoi raccontarmi tutto ciò che vuoi e io non ti giudicherò; sono qui tutto per te; sono felice che tu sia qui; qui sei a casa; qui sei amato; qui puoi spogliarti e farti vedere per quello che sei; puoi essere te stesso qui; sei degno di vivere e di essere quello che sei; qui non c'è nulla che devi nascondere". Questo è l'amore!
Trovare Maria è trovare uno spazio d'amore dove poter esprimere le proprie paure, le proprie angosce, le proprie aspettative, i propri bisogni, i propri amori, le proprie contraddizioni, le proprie ambiguità, i propri lati d'ombra, le proprie cazzate, i propri sogni realistici e quelli impossibili; uno spazio dove piangere e dove ridere; uno spazio dove disperarsi ed essere abbracciati e accarezzati; uno spazio dove si è al sicuro, protetti, dove rifugiarsi e dove essere avvolti. Questo è l'amore.
Invece di costruire case e palazzi costruiamo "campi d'amore", "case d'accoglienza" e tutto il mondo sarà migliore. Di questo noi abbiamo bisogno. Poi verrà Marta con il lavoro, il cibo, le cose da fare, i problemi, le pulizie, il riordinare e quant'altro. Ma prima di tutto Maria: questa è l'unica cosa di cui c'è veramente bisogno. Questo è l'essenziale che non ci può essere tolto altrimenti soffriamo e muoriamo dentro.

Pensiero della Settimana
Se vuoi non pensare, senti!